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Bossi: “Non possiamo stare al gioco dei finiani”. Berlusconi pensa al voto a gennaio

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(WSI) – Elezioni a fine gennaio. L’accelerazione l’hanno decisa Bossi e Berlusconi. Il leader del Carroccio ne ha discusso con il premier dopo la fiducia in Senato: “Non possiamo stare al gioco dei finiani”, ha insistito Bossi.

Bossi non ci sta a galleggiare, “a farci logorare mesi da questo tira e molla: o si fa un accordo subito, oppure diremo che si deve andare a votare”. Molti consiglieri del premier ritengono ancora un azzardo andare al voto subito, insistono per una tregua con Fini. E tuttavia anche il Cavaliere ormai ha preso atto che la situazione è troppo deteriorata. “Ma devono mandarci al voto i finiani – è il ragionamento che ha fatto con i suoi – non possiamo caricarcene noi la responsabilità”.

Il timing discusso con i leghisti non prevede più le elezioni a marzo ma a fine gennaio-inizio di febbraio. In questo scenario alla fine di ottobre (le tre settimane lanciate ieri da Bobo Maroni al Corriere) ci sarà la crisi di governo. Provocata dai leghisti se necessario.

Seguiranno le consultazioni e – almeno nelle intenzioni del tandem Bossi-Berlusconi – lo scioglimento a metà novembre delle Camere. Dopo la maggioranza ottenuta al Senato, Berlusconi è infatti certo che Napolitano non riuscirà a mettere in piedi un governo di transizione per cambiare la legge elettorale. E non a caso, nel comizio di ieri, il premier ha preso più volte di mira proprio l’ipotesi di un “governo tecnico”.

L’arrocco a palazzo Madama, quella maggioranza “a prescindere dai finiani”, gli dà la sicurezza che ogni ipotesi alternativa non abbia le gambe per andare avanti. “Sarebbe difficile per il presidente della Repubblica – ha detto ieri Denis Verdini – fare un governo che abbia all’opposizione Berlusconi e Bossi, i due vincitori delle elezioni. Le prassi sono importanti ma anche la politica ha il suo peso”.

Ad ogni buon conto in settimana il Cavaliere nominerà quattro nuovi sottosegretari pescandoli tutti tra i senatori. Un modo sicuro per garantirsi amicizie blindate in quel ramo del Parlamento, eletto a “Ridotto della Valtellina”.

Ormai le alternative, come l’idea di vivacchiare ancora qualche mese in attesa che Ghedini sforni un altro coniglio dal cilindro (giacché per il lodo Alfano costituzionale ci vorrebbero mesi), non sembrano più praticabili.

“Le lancette corrono verso le elezioni”, ammette Mario Valducci dopo aver ascoltato i toni del premier al castello Sforzesco. “È il primo comizio della campagna elettorale”, suggerisce Daniela Santanché, da sempre in prima linea per rompere con Fini. Un altro fedelissimo come Mario Mantovani, a cui il Cavaliere ha affidato la macchina elettorale, sintetizza la linea dettata dal capo: “I finiani ci hanno votato la fiducia in Parlamento ma… come si dice dalle parti di Bocchino? Cà nisciuno è fesso. Noi siamo pronti al voto: stiamo mettendo in piedi 61 mila “team della libertà” per raggiungere 22 milioni di famiglie. Porta a porta”.

Con Fini e Futuro e libertà la rottura è insanabile. Berlusconi oltretutto è convinto che il presidente della Camera si muova d’intesa con i magistrati, sincronizzando le sue mosse su quelle dei pm. Per quello ieri a Milano ha parlato di “forze nella magistratura che hanno fatto patti con chi sta in politica garantendo loro protezione”. Mancava il nome di Fini, ma il riferimento è chiaro. “Noi – attacca Osvaldo Napoli – abbiamo la certezza che il presidente della Camera lavori per il re di Prussia. E ieri, legittimando il ribaltone, Fini ha dato un’accelerazione verso le urne”.

Intanto alle sette di questa sera Berlusconi, accompagnato da Gianni Letta, salirà nuovamente al Quirinale. Stavolta porterà con sé il nuovo ministro dello Sviluppo, dopo cinque mesi di interim seguiti alle dimissioni di Claudio Scajola. Il prescelto è Paolo Romani, attuale viceministro con la delega alle Comunicazioni. Se le cose andranno come prevede Maroni, sarà stato destinato a rimanere un ministro “autunnale”.

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(WSI) – Il ministro dell’Interno Roberto Maroni insiste nel chiedere il voto subito, nel caso in cui la maggioranza non dimostri di essere tale. Nella maggioranza, spiega oggi Maroni, intervistato nel corso del programma Mattino 5.

“C’è ancora molta confusione e c’è bisogno di chiarezza. Io voglio capire se le proposte che il governo farà a seguito dell’intervento di Berlusconi sui cinque punti sono condivise da chi ha votato la fiducia e questa è una verifica da fare subito, non tra sei-sette mesi. Se non ci sarà la conferma che la maggioranza esiste, occorre andare al voto subito”.

“Io – ha ribadito Maroni – ho parlato di tre settimane (il riferimento è all’intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera 1, alla quale ieri è seguito un serrato dibattito, ndr) perché nelle prossime tre settimane c’è una serie di scadenze importanti, in cui si potrà verificare la tenuta della maggioranza, come ad esempio il rinnovo delle presidenze delle commissioni parlamentari. E’ interesse di tutti gli italiani capire se hanno un governo che può governare oppure se è meglio tornare a dare loro la parola per vedere da chi devono essere governati”.

Quanto all’ipotesi di votare a marzo, emersa da un colloquio tra lo stesso ministro e il presidente della Puglia, Nichi Vendola, Maroni ha precisato che “a marzo si è già votato e quindi è una data plausibile, se non ci sarà la maggioranza e le Camere verranno sciolte”.

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