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BORSELLINO: «MI FAREI GIUSTIZIA DA SOLO»

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(WSI) – «Mio fratello, Paolo Borsellino, diceva di Bruno Contrada: “Solo a fare il nome di quell´uomo si può morire”. Io sono disposto ad accettare la sua scarcerazione se tirano fuori Paolo dalla bara, vivo. Invece, lo stanno uccidendo ancora, perché Contrada conosce i segreti degli uomini delle istituzioni deviate, che restano in libertà. Adesso ho solo voglia di farmi giustizia con le mie mani, dato che la giustizia in questo nostro sciagurato paese non esiste più». Salvatore Borsellino, il fratello del giudice assassinato il 19 luglio 1992 assieme ai cinque poliziotti di scorta, cita Leonardo Sciascia («Lo Stato non può processare se stesso, diceva. Aveva ragione») e accusa l´ex superpoliziotto: «Le indagini nei suoi confronti devono proseguire».

Contrada però si è sempre proclamato innocente, ribadendo di essere rimasto un funzionario fedele dello Stato.
«Non ha mentito. Ma a quale Stato è rimasto fedele? Credo a quello deviato».
È anche la tesi dei giudici che l´hanno condannato. I processi hanno accertato che la famiglia dell´ex 007 del Sisde continua a vivere in una casa popolare.

Contrada non si è arricchito. Secondo lei, quale sarebbe stato il prezzo dell´infedeltà di cui è accusato?
«La risposta non c´è ancora. Contrada è il solo che finora ha pagato fra tutti coloro, rappresentanti delle istituzioni, che hanno trattato con la mafia. Quella trattativa ha ucciso mio fratello».

Cosa aveva scoperto Paolo Borsellino dopo la morte di Falcone?
«Contrada sa, ma non parla. Il primo luglio 1992, mio fratello stava interrogando il pentito Gaspare Mutolo sulle collusioni di Contrada con le cosche. All´improvviso, fu chiamato al telefono, per incontrare il ministro Mancino, al Viminale. Lì vide Contrada che usciva dalla stanza del ministro, rimase molto turbato. Tornò velocemente da Mutolo, per completare l´interrogatorio».

Mancino sostiene di non ricordare l´incontro con Borsellino.
«È un altro mistero. Ma mio fratello ha segnato l´incontro nella sua agenda grigia».
L´agenda rossa di Paolo Borsellino è invece scomparsa dal luogo della strage.
«Contrada deve anche dire come faceva a sapere, pochi istanti dopo l´esplosione di via D´Amelio, che era stato ucciso Borsellino. Si trovava in barca. Bisogna continuare a indagare sulle sue telefonate. E anche su quelle passate dal Cerisdi, una scuola di eccellenza per manager, in realtà un centro dei servizi deviati: si trova sul Monte Pellegrino che sovrasta la strada dove è stato ucciso Paolo».

Lei non accetta neanche i domiciliari per motivi di salute?
«In carcere Contrada sarebbe stato curato benissimo. La verità è che è stata orchestrata un´incredibile campagna mediatica per la sua scarcerazione: chi poteva metterla in atto, se non i poteri forti? Sono riusciti a tirarlo fuori per evitare che potesse svelare prima chissà cosa».
In carcere resta l´ex capo della Mobile di Palermo, Ignazio D´Antone, anche lui condannato per mafia, a 10 anni.
«È la dimostrazione che Contrada non ha fatto tutto da solo. Chi sono gli altri complici?».