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BORSE USA: E’ UN MOMENTO MOLTO DELICATO

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Momento delicato per le Borse, anche se il clima ferragostano, comprovato da volumi al lumicino, non
lascia intravedere imminenti colpi di scena. All’euforia delle scorse settimane è infatti subentrata maggiore
cautela, giustificata dalle significative performance messe a segno dai listini a partire dai minimi di marz o a fronte
di scenari che, sia pure in miglioramento, rimangono carichi di incertezze.

Un po’ di prese di profitto erano attese,
quasi fossero fisiologiche, ma come già accadde l’anno scorso il rischio è che se la debolezza dovesse perdurare
gli umori cambierebbero e tutto diventerebbe molto più vulnerabile a qualsiasi elemento di disturbo esterno, dagli
allarmi terrorismo alla geopolitica. Livelli psicologici come l’area 8900-9000 per il Dow Jones, 960 per l’S&P 500 o
18.000 per il nostro MIBTEL sono pertanto da seguire con grande attenzione, anche perché la loro eventuale
rottura farebbe entrare in gioco anche considerazioni di analisi tecnica che indurrebbero ad accantonare, almeno
nell’immediato, qualsiasi ottimismo.

Gli elementi di incertezza che in questi giorni stanno riaffiorando sono
numerosi. Il petrolio, per esempio, è tornato sui massimi di periodo, con il Brent oltre i trenta dollari il barile e il
West Texas vicino a sfiorare i 33 dollari, livelli da cui è temporaneamente ripiegato ieri in serat a dopo i favorevoli
dati sulle scorte USA.

Saranno gli allarmi terrorismo, saranno i ritardi con cui la produzione irachena sta ritornando
sui mercati internazionali, fatto sta che il petrolio a questi livelli, più che una minaccia per l’inflazione (anzi, semmai
aiuta a scongiurare il più temuto rischio deflazione…), rappresenta un freno per la crescita economica, con un
effetto zavorra sui consumi delle famiglie e per i costi delle imprese.

Nonostante i segnali più favorevoli dal mondo
aziendale, in particolare dal comparto dei servizi (ultima testimonianza il balzo a sorpresa del suo indice ISM a
quota 65,1), l’andamento della congiuntura americana non appare ancora convincente: il mercato del lavoro è
sempre fermo (la risalita dei licenziamenti resi noti per luglio, da 60mila unità circa ad oltre 80mila, è stata vista
come un’ulteriore conferma di queste difficoltà; oggi test importante per le richieste di sussidio, alla prova della
conferma sotto le 400mila unità settimanali), mentre i consumi delle famiglie in prospettiva risulteranno frenati dalla
risalita dei mutui ipotecari, il cui ingente utilizzo ha rappresentato finora uno dei principali motori della crescita
USA.

Sulla base dell’ultima rilevazione settimanale, ieri i mutui sono stati indicati ancora in crescita dell’1,1,% a
livello complessivo, rispetto alla settimana precedente; il dato riflette però una crescita del 6,9% dei mutui su nuovi
acquisti, a fronte di tassi ipotecari a trent’anni risaliti fino ad un 6,37%, massimo dell’anno (ed è lecito supporre che
molte famiglie abbiano deciso di accendere egualmente un mutuo nel timore di un’ulteriore ascesa dei suoi costi),
ed un nuovo calo, seppur solo del 2,4%, per le domande di rifinanziamento, scese a un minimo dallo scorso
dicembre.

Quanto all’obbligazionario, ieri si è avuto un segnale di risveglio, soprattutto sui Treasuries, in
precedenza penalizzati anche dall’avvio insoddisfacente delle aste di titoli pubblici USA. Quella sui triennali
martedì scorso aveva infatti raccolto adesioni molto scarse (solo 1,3 volte l’offerta), da cui la successiva caduta dei
bond, ma poi ieri si è registrata una riscossa sui quinquennali, con richieste pari a quasi 2,5 volte l’offerta, contro
una media di 1,86x negli ultimi dodici mesi.

Oggi sarà il turno dei decennali, in asta per un controvalore di altri 18
mld di dollari. Non c’è dubbio che si tratti di problemi contingenti, di sola natura tecnica; ma la reazione ed il
sentiment degli operatori in una fase così delicata, dopo la brusca caduta registrata da inizio giugno, con perdite
fino al 15% sui trentennali e di quasi il 10% sui decennali, almeno nel breve termine rappresentano elementi da
seguire con grande attenzione. La nostra idea è che qui, come pure sul Bund, l’attuale correzione potrebbe essere
più o meno conclusa, e che ora il mercato, pur non puntando a rivedere i massimi precedenti, potrebbe comunque
aver trovato sui livelli correnti interessanti basi di rendimento (siamo intorno ad un 4,3% sui decennali e ad un
5,3% sui trentennali USA, in discesa di una ventina di centesimi dai massimi di inizio settimana, e ad un 4,15% per
il Bund decennale).

Razionalmente, obbligazionario e Borse potrebbero muoversi in parallelo, in uno scenario di
crescita moderata e ulteriore disinflazione; ma è invece più probabile che nell’immediato tendano a comportarsi in Momento delicato per le Borse, anche se il clima ferragostano, comprovato da volumi al lumicino, non
lascia intravedere imminenti colpi di scena. All’euforia delle scorse settimane è infatti subentrata maggiore
cautela, giustificata dalle significative performance messe a segno dai listini a partire dai minimi di marz o a fronte
di scenari che, sia pure in miglioramento, rimangono carichi di incertezze.

Un po’ di prese di profitto erano attese,
quasi fossero fisiologiche, ma come già accadde l’anno scorso il rischio è che se la debolezza dovesse perdurare
gli umori cambierebbero e tutto diventerebbe molto più vulnerabile a qualsiasi elemento di disturbo esterno, dagli
allarmi terrorismo alla geopolitica. Livelli psicologici come l’area 8900-9000 per il Dow Jones, 960 per l’S&P 500 o
18.000 per il nostro MIBTEL sono pertanto da seguire con grande attenzione, anche perché la loro eventuale
rottura farebbe entrare in gioco anche considerazioni di analisi tecnica che indurrebbero ad accantonare, almeno
nell’immediato, qualsiasi ottimismo. Gli elementi di incertezza che in questi giorni stanno riaffiorando sono
numerosi.

Il petrolio, per esempio, è tornato sui massimi di periodo, con il Brent oltre i trenta dollari il barile e il
West Texas vicino a sfiorare i 33 dollari, livelli da cui è temporaneamente ripiegato ieri in serat a dopo i favorevoli
dati sulle scorte USA. Saranno gli allarmi terrorismo, saranno i ritardi con cui la produzione irachena sta ritornando
sui mercati internazionali, fatto sta che il petrolio a questi livelli, più che una minaccia per l’inflazione (anzi, semmai
aiuta a scongiurare il più temuto rischio deflazione…), rappresenta un freno per la crescita economica, con un
effetto zavorra sui consumi delle famiglie e per i costi delle imprese.

Nonostante i segnali più favorevoli dal mondo
aziendale, in particolare dal comparto dei servizi (ultima testimonianza il balzo a sorpresa del suo indice ISM a
quota 65,1), l’andamento della congiuntura americana non appare ancora convincente: il mercato del lavoro è
sempre fermo (la risalita dei licenziamenti resi noti per luglio, da 60mila unità circa ad oltre 80mila, è stata vista
come un’ulteriore conferma di queste difficoltà; oggi test importante per le richieste di sussidio, alla prova della
conferma sotto le 400mila unità settimanali), mentre i consumi delle famiglie in prospettiva risulteranno frenati dalla
risalita dei mutui ipotecari, il cui ingente utilizzo ha rappresentato finora uno dei principali motori della crescita
USA.

Sulla base dell’ultima rilevazione settimanale, ieri i mutui sono stati indicati ancora in crescita dell’1,1,% a
livello complessivo, rispetto alla settimana precedente; il dato riflette però una crescita del 6,9% dei mutui su nuovi
acquisti, a fronte di tassi ipotecari a trent’anni risaliti fino ad un 6,37%, massimo dell’anno (ed è lecito supporre che
molte famiglie abbiano deciso di accendere egualmente un mutuo nel timore di un’ulteriore ascesa dei suoi costi),
ed un nuovo calo, seppur solo del 2,4%, per le domande di rifinanziamento, scese a un minimo dallo scorso
dicembre.

Quanto all’obbligazionario, ieri si è avuto un segnale di risveglio, soprattutto sui Treasuries, in
precedenza penalizzati anche dall’avvio insoddisfacente delle aste di titoli pubblici USA. Quella sui triennali
martedì scorso aveva infatti raccolto adesioni molto scarse (solo 1,3 volte l’offerta), da cui la successiva caduta dei
bond, ma poi ieri si è registrata una riscossa sui quinquennali, con richieste pari a quasi 2,5 volte l’offerta, contro
una media di 1,86x negli ultimi dodici mesi. Oggi sarà il turno dei decennali, in asta per un controvalore di altri 18
mld di dollari.

Non c’è dubbio che si tratti di problemi contingenti, di sola natura tecnica; ma la reazione ed il
sentiment degli operatori in una fase così delicata, dopo la brusca caduta registrata da inizio giugno, con perdite
fino al 15% sui trentennali e di quasi il 10% sui decennali, almeno nel breve termine rappresentano elementi da
seguire con grande attenzione. La nostra idea è che qui, come pure sul Bund, l’attuale correzione potrebbe essere
più o meno conclusa, e che ora il mercato, pur non puntando a rivedere i massimi precedenti, potrebbe comunque
aver trovato sui livelli correnti interessanti basi di rendimento (siamo intorno ad un 4,3% sui decennali e ad un
5,3% sui trentennali USA, in discesa di una ventina di centesimi dai massimi di inizio settimana, e ad un 4,15% per
il Bund decennale).

Razionalmente, obbligazionario e Borse potrebbero muoversi in parallelo, in uno scenario di
crescita moderata e ulteriore disinflazione; ma è invece più probabile che nell’immediato tendano a comportarsi in Momento delicato per le Borse, anche se il clima ferragostano, comprovato da volumi al lumicino, non
lascia intravedere imminenti colpi di scena. All’euforia delle scorse settimane è infatti subentrata maggiore
cautela, giustificata dalle significative performance messe a segno dai listini a partire dai minimi di marz o a fronte
di scenari che, sia pure in miglioramento, rimangono carichi di incertezze.

Un po’ di prese di profitto erano attese,
quasi fossero fisiologiche, ma come già accadde l’anno scorso il rischio è che se la debolezza dovesse perdurare
gli umori cambierebbero e tutto diventerebbe molto più vulnerabile a qualsiasi elemento di disturbo esterno, dagli
allarmi terrorismo alla geopolitica. Livelli psicologici come l’area 8900-9000 per il Dow Jones, 960 per l’S&P 500 o
18.000 per il nostro MIBTEL sono pertanto da seguire con grande attenzione, anche perché la loro eventuale
rottura farebbe entrare in gioco anche considerazioni di analisi tecnica che indurrebbero ad accantonare, almeno
nell’immediato, qualsiasi ottimismo. Gli elementi di incertezza che in questi giorni stanno riaffiorando sono
numerosi.

Il petrolio, per esempio, è tornato sui massimi di periodo, con il Brent oltre i trenta dollari il barile e il
West Texas vicino a sfiorare i 33 dollari, livelli da cui è temporaneamente ripiegato ieri in serat a dopo i favorevoli
dati sulle scorte USA. Saranno gli allarmi terrorismo, saranno i ritardi con cui la produzione irachena sta ritornando
sui mercati internazionali, fatto sta che il petrolio a questi livelli, più che una minaccia per l’inflazione (anzi, semmai
aiuta a scongiurare il più temuto rischio deflazione…), rappresenta un freno per la crescita economica, con un
effetto zavorra sui consumi delle famiglie e per i costi delle imprese.

Nonostante i segnali più favorevoli dal mondo
aziendale, in particolare dal comparto dei servizi (ultima testimonianza il balzo a sorpresa del suo indice ISM a
quota 65,1), l’andamento della congiuntura americana non appare ancora convincente: il mercato del lavoro è
sempre fermo (la risalita dei licenziamenti resi noti per luglio, da 60mila unità circa ad oltre 80mila, è stata vista
come un’ulteriore conferma di queste difficoltà; oggi test importante per le richieste di sussidio, alla prova della
conferma sotto le 400mila unità settimanali), mentre i consumi delle famiglie in prospettiva risulteranno frenati dalla
risalita dei mutui ipotecari, il cui ingente utilizzo ha rappresentato finora uno dei principali motori della crescita
USA.

Sulla base dell’ultima rilevazione settimanale, ieri i mutui sono stati indicati ancora in crescita dell’1,1,% a
livello complessivo, rispetto alla settimana precedente; il dato riflette però una crescita del 6,9% dei mutui su nuovi
acquisti, a fronte di tassi ipotecari a trent’anni risaliti fino ad un 6,37%, massimo dell’anno (ed è lecito supporre che
molte famiglie abbiano deciso di accendere egualmente un mutuo nel timore di un’ulteriore ascesa dei suoi costi),
ed un nuovo calo, seppur solo del 2,4%, per le domande di rifinanziamento, scese a un minimo dallo scorso
dicembre.

Quanto all’obbligazionario, ieri si è avuto un segnale di risveglio, soprattutto sui Treasuries, in
precedenza penalizzati anche dall’avvio insoddisfacente delle aste di titoli pubblici USA. Quella sui triennali
martedì scorso aveva infatti raccolto adesioni molto scarse (solo 1,3 volte l’offerta), da cui la successiva caduta dei
bond, ma poi ieri si è registrata una riscossa sui quinquennali, con richieste pari a quasi 2,5 volte l’offerta, contro
una media di 1,86x negli ultimi dodici mesi. Oggi sarà il turno dei decennali, in asta per un controvalore di altri 18
mld di dollari.

Non c’è dubbio che si tratti di problemi contingenti, di sola natura tecnica; ma la reazione ed il
sentiment degli operatori in una fase così delicata, dopo la brusca caduta registrata da inizio giugno, con perdite
fino al 15% sui trentennali e di quasi il 10% sui decennali, almeno nel breve termine rappresentano elementi da
seguire con grande attenzione. La nostra idea è che qui, come pure sul Bund, l’attuale correzione potrebbe essere
più o meno conclusa, e che ora il mercato, pur non puntando a rivedere i massimi precedenti, potrebbe comunque
aver trovato sui livelli correnti interessanti basi di rendimento (siamo intorno ad un 4,3% sui decennali e ad un
5,3% sui trentennali USA, in discesa di una ventina di centesimi dai massimi di inizio settimana, e ad un 4,15% per
il Bund decennale).

Razionalmente, obbligazionario e Borse potrebbero muoversi in parallelo, in uno scenario di
crescita moderata e ulteriore disinflazione; ma è invece più probabile che nell’immediato tendano a comportarsi in maniera del tutto divergente, quasi a confermare, tramite anche il successivo impatto sulle asset allocation,
l’imporsi degli scenari di convincente crescita rispetto a quelli di perdurante stagnazione, se non addirittura “alla
giapponese”. Un dilemma che ci sembra ancora tutto da sciogliere.

Michele Pezzinga e’ capo strategist di Eptasim