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«BORSE? NO, MEGLIO STARE
ALLA FINESTRA»

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(WSI) –
La notizia lo coglie all’improvviso, come tutti. La Federal reserve ha appena deciso di tagliare dello 0,50% i tassi interbancari. Ma per Marc Faber il quadro generale rimane quello di prima: «Gli operatori mostrano troppa faciloneria, danno per scontato che le Borse siano nel mezzo di una correzione passeggera, che presto lascerà spazio a una ripresa. Secondo me non ci sono le condizioni affinchè i listini possano riprendere a salire con fiducia».

Svizzero di nascita, un PhD in Economia con magna laude, l’estroso e dotto «guru» che abita a Hong Kong, fra i pochi a prevedere l’ecatombe di queste settimane, ha le idee chiare: «Anche se mi sbagliassi – prosegue – chi può pensare che i listini azionari faranno nuovi massimi a breve? E allora, perché rischiare la camicia, quando la prospettiva di guadagno appare modesta? Meglio stare alla finestra e aspettare che la tempesta faccia il suo corso».

Lei ha a lungo ammonito sui rischi inerenti alla bolla del credito. Pare che il giorno del giudizio sia arrivato…
Probabilmente sì. Negli anni ’80 il rapporto fra il debito e il pil degli Stati Uniti era di circa il 130%, ora siamo al 330 per cento. Magari salirà ancora fino al 400% ma poi il giorno del giudizio arriverà. E forse è già cominciato in questi giorni.

Lei considera Alan Greenspan, l’ex numero uno della Fed, come il responsabile di questa moltiplicazione della carta finanziaria, non è vero?
Certamente sì. Le sue enormi immissioni di liquidità durante la seconda parte degli anni ’90, e poi in risposta al crollo dei titoli tecnologici, finirà sui libri di storia. È stato lui che ha creato la bolla del credito e quella del settore immobiliare, punto e basta.

D’accordo. Ma ora cosa dovrebbero fare gli investitori? Sono settimane da perdere il sonno…
Insisto a dire, e non da oggi, che i contanti sono lo sbocco migliore. Il punto è che non si hanno mai abbastanza soldi quando i mercati finanziari cominciano a cadere in verticale.

In molti, però, suggeriscono proprio di comprare azioni, se la flessione dovesse essere ancora più marcata. Lei cosa ne pensa?
Io sono piuttosto pessimista sul futuro dell’economia e delle Borse. Ma supponiamo che mi sto sbagliando e che i fondamentali siano tuttora solidi. Penso comunque che dopo una tale batosta, difficilmente gli indici guadagneranno nuovi massimi in un breve arco di tempo. Perciò il rapporto rischio-rendimento non è per nulla allettante.

Forse è opportuno vendere allo scoperto?
Gli specialisti senz’altro troveranno dei titoli che vale la pena di vendere. In un articolo di un paio di mesi fa sul suo giornale suggerivo di prendere in considerazione alcuni Etf che si muovono in senso contrario rispetto all’S&P 500 e guadagnano quando le Borse perdono terreno. Ma adesso quel suggerimento è diventato più rischioso.

Teme un rimbalzo a breve?
Esatto. Bernanke potrebbe decidere di tagliare il costo del denaro pur di salvare Wall Street, innescando forti correnti di copertura. Di conseguenza, aprire posizioni corte non è adesso esente da rischi.

Quindi, il cash prima di tutto. C’è qualche altro asset?
Sì, gli asset meno correlati con i mercati finanziari sono le proprietà agricole. Tenga a mente che le granaglie, il bestiame e i coloniali hanno un grande avvenire, grazie alla domanda di lungo termine che emerge dai Paesi asiatici e all’uso di prodotti come gli eco-carburanti derivati dal mais, dallo zucchero e da altri prodotti della terra. Mi rendo conto che non sono investimenti adatti a tutti, ma in ogni caso raccomando ai tanti gestori che stanno per perdere il posto di acquistare un largo appezzamento agricolo e un trattore, così da non rimanere disoccupati.

Lei diceva che con ogni probabilità le Borse non riusciranno a fare nuovi massimi a breve termine. Può articolare meglio il suo punto di vista?
Siamo in una fase di contrazione del credito. Gli hedge fund scaricano le posizioni; il private equity, le banche e le assicurazioni, che finanziavano le operazioni a leva, ritirano i gettoni dal tavolo; la febbre da M&A, le scalate a debito e il riacquisto di azioni proprie subiranno una forte riduzione al ribasso. Come vede, non è un clima favorevole al Toro.

Durante il grande rialzo partito nel 2002-2003, abbiamo avuto altre correzioni, veloci e raggelanti, ma poi è sempre tornato il sereno. Mi viene in mente il capitombolo dello scorso febbraio o quello di maggio-giugno 2006. Cosa c’è di diverso stavolta?
Partiamo da inizio 2007. Era già evidente la terribile dinamica del comparto immobiliare. Forse qualche lettore ricorderà che nel mio intervento di gennaio 2007, consigliai di vendere allo scoperto la New Century Financial e la Accredited Home Lenders, due società leader nei mutui ipotecari. Entrambe sono praticamente finite a gambe all’aria. A ogni modo il mercato azionario è riuscito a raggiungere nuovi massimi, per poi scivolare indietro nel mese di febbraio.

In effetti ad aprile, gli indici sembravano in equilibrio…
Apparentemente, sì. In realtà la nuova gamba rialzista dava adito a qualche sospetto. In testa alla corsa vi erano i big dell’energia, le multinazionali con una grossa fetta dei profitti all’estero e le società oggetto di scalata. Al contrario, le compagnie finanziarie, che avevano guidato fino a quel momento il mercato, stentavano, fino a che hanno cominciato a cadere sotto il loro stesso peso.

Per quale motivo?
Pochi se ne sono accorti, ma è stato in quel momento che le condizioni del credito si sono fatte meno accomodanti. È bene ricordare che dal 30 giugno 2004 al 29 giugno 2006, la Federal Reserve ha portato il tasso sui fondi federali dall’1% al 5,25 per cento. Ma mentre ciò accadeva, le banche allentavano le loro condizioni del credito proprio per compensare la manovra della Federal Reserve.

Insomma, la Fed stringeva, ma la sua azione risultava vanificata dalle banche?
Sì, è una buona sintesi. In seguito, le banche hanno patito delle perdite sui prestiti sub-prime, e hanno reagito stringendo gli standard di accesso. A quel punto, e solo a quel punto, il mare di liquidità nel quale tutti avevano lussureggiato ha cominciato a prosciugarsi.
A volte, in passato, lei ha speso buone parole in favore di alcuni mercati azionari emergenti.

Pensa che reggeranno l’urto?
Ne dubito. In un recente viaggio negli Stati Uniti ho scoperto che molti fondi pensione e assicurazioni, che erano solite investire esclusivamente entro il perimetro nazionale, si sono lanciate sulle piazze estere. È abbastanza comune trovare fondi pensione con il 50% del portafoglio investito oltreoceano. E siccome siamo in una fase di svendita, tutto finisce in saldo, buono o cattivo che sia l’investimento, inclusi i mercati emergenti.

Insomma, dobbiamo aspettare che la tempesta passi nel porto sicuro del cash?
È al momento la scelta migliore.

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