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BORSA: SAPPIATELO, NON E’ PIU’ TEMPO DI RALLY

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(WSI) – Secondo più di un broker il grande rally di primavera delle Borse è finito. Adesso, tregua (anche se poi ci sono quelli che dicono che non è mai troppo tardi per saltare sul treno dei rialzi). Tregua motivata non da elementi particolari, ma due circostanze di un certo peso e che avranno conseguenze importanti sul futuro dei mercati e delle economie.

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La prima riguarda il fatto che fra un paio di settimane cominceranno a uscire i dati trimestrali (secondo trimestre) delle grandi corporations quotate in Borsa. E quello sarà un momento molto serio per valutare i danni che la Grande Crisi ha provocato sui conti delle imprese e sulla loro velocità di recupero. La semplice logica direbbe di attendersi risultati catastrofici (basta vedere cosa sta succedendo a General Motors e a Chrysler). Ma non è proprio così.

Nel secondo trimestre c’è stata, qui e là, una certa ripresa produttiva (stimolata da aiuti di vario genere) e quindi è possibile che, alla fine, i conti non siano così spaventosi e che le corporations possano anche fare una discreta figura. A sentire i seguaci di questa corrente di pensiero, comunque, la verità (brutta, bruttissima) dovrebbe uscire poi con i conti del terzo trimestre.

Ma, al di là di questi ragionamenti, rimane il fatto che nel giro di quindici giorni i mercati avranno in mano qualche elemento in più per capire che cosa stanno comprando. Per capire, cioè, se i titoli di cui si sono riempiti nelle scorse settimane sono merce buona o ancora parzialmente avariata. E questo giustifica la pausa negli scambi. Anche perché i portafogli delle grandi case e dei grandi investitori (che si erano svuotati durante la crisi), adesso sono di nuovo belli pieni. Se i listini tornano a salire, cioè, si guadagna lo stesso. Quindi si può anche tirare il fiato per un po’.

Poi c’è una seconda circostanza che contribuisce a diffondere prudenza. Per quanto riguarda l’andamento generale dell’econo­mia arrivano infatti segnali molto contrastanti. Se le grandi banche continuano a mandare fuori previsioni molto ottimistiche, con gli Stati Uniti visti in crescita nel 2010 del 3-2,5 per cento, c’è chi è molto più prudente. L’anno prossimo la crescita americana potrebbe essere anche solo simbolica (fra lo 0,5 e l’1 per cento) e già a dicembre la Federal Reserve potrebbe cominciare a ritoccare i tassi di interesse verso l’alto per paura di ritrovarsi dentro l’inflazione. Insomma, finita la lotta alla recessione (a cui non seguirà subito un boom) potrebbe essere necessario marciare contro l’inflazione (con il costo del denaro in aumento, cosa che ai mercati non piace molto).

Dall’Europa, invece, arrivano segnali contrari. C’è chi comincia a sostenere, sia pure a bassa voce, che qui la congiuntura va davvero male e che la stessa Banca centrale europea (un noto covo di rigoristi) sarebbe pronta a tagliare ancora il costo del denaro già a settembre, e poi ancora a dicembre, portandolo così dall’1 allo 0,5 per cento. E questo per dare una mano all’economia che per il 2010 minaccia di crescere solo dello 0,0-0,5 per cento (e in Italia ancora meno, ovviamente).

I mercati, gli operatori (e, forse, anche i governi) stanno attraversando un periodo abbastanza confuso e incerto. E sempre meno gente crede a un 2010 fatto con un’America che vola in alto (sopra il 3 per cento) e il resto del mondo che segue felice, intonando inni e marcette militari.

Si comincia a capire che l’uscita dalla crisi sarà più complessa del previsto. E per niente sincrona. Mentre al di là dell’Atlantico già pensano a aumentare il costo del denaro per fermare il drago inflazione, qui sembra che si sia ancora alle prese con una congiuntura riottosa e che non vuole ripartire. Nella crisi, insomma, siamo entrati tutti insieme, ma ognuno, alla fine, dovrà trovare l’uscita da solo. Prima gli Stati Uniti, poi donne, bambini e Europa. Italia, in fondo alla coda.

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