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BORSA: «LA CRISI NON E’ AFFATTO FINITA»

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(WSI) – Rimane ancora pessimista sul mercato John Mauldin, gestore statunitense molto apprezzato di fondi di hedge fund. Già a ottobre 2007, con i listini azionari sui massimi storici, aveva messo in guardia i lettori di B&F dall’investire in equity, indicando come unici comparti interessanti l’energy e le materie di base; a luglio 2008 aveva poi consigliato di starsene alla larga da Wall Street e anche a novembre era negativo sull’azionario.

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E come contraddirlo? È vero che da inizio anno l’S&P500 è salito del 10% e ha guadagnato il 47% dai minimi di marzo, ma questo lungo rally non ha fatto altro che riportare le quotazioni sui livelli dei primi di novembre 2008. Ora la sua view è ancora negativa, tanto da non trovare alcun appeal nell’investimento in titoli azionari. «Abbiamo assistito semplicemente a un bear market rally – spiega Mauldin – e, a mio giudizio, in questo mercato Orso ci rimarremo ancora a lungo. La crisi è tutt’altro che al termine e non vedo particolari motivi per tornare a essere ottimisti».

Quali sono i motivi che la rendono ancora così pessimista, mister Mauldin?

Sul mercato azionario siamo a un livello critico; è vero che il rally è stato potente, ma ora mi attendo una correzione. È l’economia reale, però, che preoccupa. Il recupero è solamente un fatto statistico: a una fase di destocking (la decisione delle imprese di consumare le scorte senza rinnovarle, ndr) ha fatto seguito un necessario periodo di ricostituzione delle giacenze e questo fatto ha permesso di mascherare parzialmente la gravità della situazione. Del resto basta guardare ai dati relativi al consumer spending.

Vale a dire?

L’indice mostra l’andamento del credito concesso agli individui con esclusione dei mutui. La caduta è stata verticale e ora è negativa. Gli americani stanno iniziando a risparmiare, un fatto quasi storico, ma che si ribalta negativamente su un prodotto interno lordo che storicamente si regge anche grazie ai consumi. Inoltre, sul fronte delle banche, tamponati i problemi per le grandi banche, ora le preoccupazioni sorgeranno per gli istituti di medie dimensioni, quelli regionali. Le racconto un episodio.

Dica…

Un banchiere di uno di questi istituti di taglia media, nel corso delle scorse settimane, mi diceva come loro non solo non stiano facendo pubblicità per raccogliere nuovi clienti, ma come, al contrario, li rifiutino. Un segno evidente di come la fiducia su cui si regge l’intero sistema sia veramente ai minimi termini. E con questi chiari di luna non mi sembra facile essere ottimisti.

Quindi i segnali che si leggono di fine della crisi sono ingannevoli? Penso per esempio alla disoccupazione o ai dati sull’immobiliare.

Distinguerei fra le due situazioni. Sul versante della disoccupazione mi sembra, ancora una volta, più un fatto statistico che un sintomo di ripresa. Se togliamo i disoccupati ormai scoraggiati e usciti dalle statistiche e le persone passate part-time per motivi aziendali, ecco che torniamo a numeri decisamente più elevati rispetto alle statistiche ufficiali.

E invece per l’immobiliare?

Qui la situazione è diversa. La lunga discesa sembra essersi ormai arrestata, ma aver toccato il fondo non significa necessariamente che vi sia una ripresa duratura, che prescinda dal rimbalzo cui stiamo assistendo ora e che mi appare fisiologico. E questa non è una bella notizia per l’economia, visto che il real estate ha sempre rappresentato una voce importante per il prodotto interno.

Come vede il dollaro?

In progressivo rafforzamento. L’ipervenduto è ormai eccessivo e visto che fino a qualche mese fa nessuno puntava sul greenback, ecco che ora la ripresa sarà più forte, dato che molti istituzionali dovranno ribaltare le proprie posizioni.

Fra azioni e obbligazioni, quindi, su cosa è meglio puntare?

Ripeto, starei lontano dalle azioni. Forse sono rimasto l’ultimo Orso ancora in circolazione – anche il mio amico Richard Russell, autore dal 1958 della famosa Dow Theory Letter, ha sostituito il simbolo dell’Orso con il Toro nella sua newsletter – ma personalmente preferisco perdere una parte del movimento del mercato piuttosto che vedermelo andare contro. Quindi punterei su bond governativi e obbligazioni corporate di buona qualità.

Infine, qualche considerazione sugli Emergenti e sull’Asia.

Vedo bene il Brasile, male il Giappone e sarei molto cauto sulla Cina. Per quest’ultima, i tassi di crescita degli ultimi anni non potranno ripetersi ancora per molto. Inoltre il Paese mi pare sopravvalutato: in fin dei conti vale il 7% del Pil mondiale e anche se crescesse dell’8% apporterebbe uno 0,5% all’economia globale, attesa in calo del 2,7% nel 2009.

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