Società

BORSA: COME EVITARE RIBASSI ECCESSIVI

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi dell’allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

(WSI) – Se avete accesso a Bloomberg Television e un’oretta di tempo guardatevi la registrazione delle testimonianze al Congresso di cinque illustri economisti il giorno prima dell’intervento di Bernanke. I cinque economisti sono più interessanti (Bernanke è ingessato dal fatto di dovere parlare, nel rapporto semestrale al Congresso, a nome di tutto il Board).

Alice Rivlin, democratica ex Fed, parla ancora la lingua ufficiale della Fed e dice che riusciremo a evitare la recessione. Mark Zandi, brillante chief economist di Moody’s, dice che siamo esattamente nel bel mezzo di una recessione. Nouriel Roubini, ultras democratico di New York University, dice che l’atterraggio sarà durissimo e durerà parecchi trimestri. I senatori e i congressmen, abituati a sentirne di tutti i colori, non battono ciglio su queste diagnosi e restano impassibili anche quando si passa alla parte ancora più interessante, quella sulle terapie consigliate.

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Zandi, coerentemente con la sua analisi, propone tassi al 2 per cento. Senonché dopo di lui interviene il mitico John Taylor, quello della Taylor Rule, che dice che secondo lui, anche tenendo conto della turbolenza dei mercati finanziari, i tassi sono già adesso troppo bassi e che non è proprio il caso di abbassarli ancora, anzi, perché l’inflazione non è alle porte, è già in casa.


La Taylor Rule è una semplice equazioncina, umile e geniale, che indica il tasso d’interesse corretto per mantenere o raggiungere la crescita potenziale e il tasso d’inflazione obiettivo. La regola ha oggi diffusione e consenso universali, ma la confusione sulla sua applicazione è in crescita verticale e rischia, come disse perfidamente Rogoff qualche tempo fa, di renderla inservibile e, aggiungiamo, di precludere il Nobel per il suo autore.


L’intervento di Taylor al Congresso segue di 24 ore il discorso di Mishkin sull’inflazione in cui la Taylor Rule viene usata per raggiungere la conclusione opposta, e cioè che in presenza di un rallentamento della crescita e di un’elevata inflazione headline si può e si deve agire con grande aggressività sui tassi (il messaggio tra le righe è che verranno tagliati ancora).

Alle stesse conclusioni arriva facendo un’altra strada Paul McCulley di Pimco. La sua tesi è che la Taylor Rule va tarata sui tassi dei prenditori finali (in questo momento gravati da uno spread ampio e crescente rispetto ai tassi di policy) e non sui Fed Funds. La conclusione è sempre la stessa. I tassi vanno tagliati ancora.

La questione non è per niente accademica. E’ in gioco l’interpretazione dell’inflazione attuale e futura. Chi è il nemico numero uno, la stagnazione o l’inflazione? I quattro uomini che contano nel Fomc (il triumvirato Bernanke-Mishkin-Kohn e il libero Poole) hanno fatto la loro scelta nel modo più audace. La stagnazione è male assoluto, l’inflazione è male relativo.
La scelta della Fed non è certo presentata come una rottura rispetto al consenso dei due decenni passati secondo cui si garantisce la crescita tenendo bassa l’inflazione. Al consenso si rende anzi continuamente omaggio, ma l’interpretazione è tirata all’estremo e va a posizionarsi in una zona borderline.

Negli ultimi giorni i mercati hanno iniziato a prendere sul serio la fortissima volontà politica della Fed. A questa vanno aggiunte la volontà dell’amministrazione, del Congresso e delle agenzie di regolamentazione, che producono iniziative a un ritmo impressionante. La potenza di fuoco complessiva è ampiamente superiore a quella del dopo 11 settembre.

I tagli aggressivi e concentrati dei tassi, la ripresa della svalutazione del dollaro, il pacchetto fiscale che entrerà in azione a maggio, la pressione sull Asia e sui paesi del Golfo affinché ricapitalizzino le banche americane, il dietrofront dei repubblicani sulle agenzie semipubbliche che comprano e garantiscono i mutui (agenzie odiate in quanto feudo democratico e odiate anche dalla Fed per la loro pericolosità sistemica) che hanno ora via libera ad allargare da subito la loro attività, la pressione fortissima di Spitzer sui monoliners per costrigerli a ricapitalizzarsi in un paio di settimane pena la revisione radicale del modello di business e, nel caso, la nazionalizzazione (pressione coronata da successo), il monitoraggio attentissimo della liquidità. L’America ha sonnecchiato per qualche mese di fronte alla crisi, ma ora combatte con il coltello tra i denti.

Il resto del mondo è più tranquillo, ma sta iniziando a fare la sua parte. L’Europa accetta in silenzio la rottura di 1.50. L’Asia, dal canto suo, sceglie di non combattere l’inflazione con i tassi ma con il cambio, una strategia che le consente di aumentare i consumi e le importazioni. In questo contesto le borse riescono ad assorbire molto bene i brutti dati macro in America e il supereuro in Europa. Per i policy maker è importante coprire il tempo che ci separa da maggio, quando partirà il pacchetto fiscale americano. Bisogna evitare che il flusso continuo di dati pesanti (che da marzo verrà accompagnato da dati societari più brutti di quelli che abbiamo visto finora) provochi avvitamenti e ribassi eccessivi.

Le armi a disposizione sono altri due ribassi dei tassi di qui a giugno, le dichiarazioni quotidiane procrescita della Fed e le misure concrete di stabilizzazione (o di attenuazione dei danni) nell’immobiliare e nella finanza. I mercati sono ancora sottopesati, hanno molto ridotto la leva e sono ancora percorsi da un sentiment negativo che sta però cambiando molto rapidamente. Può darsi che il rialzo in corso prosegua in marzo, ma prima di fine maggio è possibile che il continuo flusso di dati negativi riporti i mercati non sui minimi di gennaio ma sui livelli attuali.

Ci sembra tuttora più sicuro comprare in maggio (pur con la possibilità di dovere pagare più caro di adesso), ma è comunque bene non vendere sul recupero in corso se si è leggeri di rischio.
La scommessa audace della Fed può riuscire o non riuscire. Al momento la Fed prende a prestito tempo dal futuro e rischia, insieme a tutti noi di dovere pagare un prezzo elevato se all’inizio del 2009 ci dovessimo trovare con un’inflazione ancora forte, una crescita in rapida decelerazione una volta svanito l’effetto del pacchetto fiscale e mercati risaliti nel frattempo fin quasi sui massimi.

In tal caso la caduta sarebbe forse anche più forte di quella che abbiamo visto in gennaio, mentre molte armi utilizzate per combattere la stagnazione comincerebbero a essere spuntate. Che si cominci a rientrare adesso sui mercati o che si inizi in maggio è secondario, l’importante, per come si presentano ora le cose, è uscire entro fine anno.

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