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Bond: rialzisti in ritirata, durerà?

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NEW YORK (WSI) – Dopo 35 anni di mercato toro nei titoli del debito governativo ritenuti più sicuri, i rialzisti sono in ritirata.

Anche se è probabile che il rendimento dello 0,08% registrato dal Bund decennale in aprile sia il punto più basso dell’attuale fase, è ancora presto per parlare di mercato orso nell’obbligazionario.

Vedere i rendimenti tornare a salire, ma a un ritmo moderato, è quello che dovrebbero augurarsi tutti. Indicherebbe che le paure di una disintegrazione dell’area euro e di una minaccia deflativa stanno svanendo. Una ripresa seppur modesta dei tassi dei Bond governativi del mondo industrializzato è proprio ciò che potrebbe materializzarsi nel prossimo futuro.

Come osserva Gareth Isaac, manager dei fondi a reddito fisso presso Schroders, “ogni qualvolta ci sono significative correzioni, è importante che gli investitori si ricordino dove era il mercato prima della discesa e quali sono le motivazioni di tale movimento”.

Le vendite pesanti viste sinora sono state causate dalle tante fragilità in Europa, ma “si sono verificate partendo da valutazioni che erano sui massimi di tutti i tempi“.

I titoli del reddito fisso hanno corso così tanto e raggiunto prezzi così alti dopo l’annuncio del programma di Quantitative Easing della Bce. L’obiettivo del piano di acquisto di titoli di Stato era cambiare tale orientamento negativo dei dati macroeconomici.

“Le aspettative sull’inflazione erano ulteriormente spinte al ribasso dal persistente calo del prezzo del greggio, iniziato a metà del 2014. Gli investitori, sapendo che la Bce avrebbe acquistato obbligazioni fino al 2016, sono stati costretti a spostarsi ulteriormente lungo la curva dei rendimenti; spinti sui titoli a 10, 20 e 30 anni per trovare un rendimento”.

Nonostante ciò, il supporto derivato dal QE è stato eccessivo e ad aprile, i rendimenti dei Bund erano solo di 7 punti base. “Anche senza nessuna aspettativa di crescita economica o di inflazione di lungo termine, le valutazioni delle obbligazioni a tali livelli non riflettevano alcun rischio di eventuali errori sulle stime macro economiche”.

Dopo un momento no economia e petrolio sono tornati a crescere, anche se le performance hanno “probabilmente poco a che fare con il programma di allentamento quantitativo della Bce. È invece, molto probabilmente, l’apice degli effetti dell’introduzione della BCE dei tassi negativi, delle Targeted Longer-Term Refinance Operations (TLTROs) e della finalizzazione dell’Asset Quality Review, che ha tenuto ben capitalizzate le banche europee”.

In pratica i prezzi delle obbligazioni si sono mossi a “livelli irragionevoli tra gennaio e aprile”. Con il recupero del prezzo del petrolio in atto, il ritorno della crescita e il programma di Qe della BCE destinato a continuare, “una parte del rischio tassi e del rischio inflazione è stata nuovamente inclusa nei prezzi delle obbligazioni, durante la fase di correzione dei mercati”.

Alla luce di tutte queste considerazioni l’analista non ritiene che siamo all’inizio di un mercato “orso” duraturo per le obbligazioni. Anche perché i tassi Usa sono ancora allo zero e negativi in Europa.

“Finché non ci saranno modifiche ai tassi, gli strumenti monetari non saranno un’alternativa per gli investitori. Le obbligazioni, anche con rendimenti bassi, sono in confronto allettanti”. Se e quando i tassi inizieranno effettivamente a salire, gli investitori dovranno chiedersi se le obbligazioni varranno il rischio che rappresentano”, ma ancora non siamo giunti a questo punto.

Le minute sulla riunione di aprile della Federal Reserve, che verranno rese note oggi pomeriggio, potrebbero fare luce sul timing con cui le autorità di politica monetaria vorranno iniziare la strategia di uscita dalle manovre di politica monetaria accomodanti.

(DaC)