Mercati

Bitcoin, il paradosso: prima osteggiato ora amato dalla grande finanza

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Bitcoin, il paradosso: prima osteggiato ora amato dalla grande finanza

di Christian Miccoli, fondatore di Conio

Lo scorso 6 maggio il nuovo Presidente della Sec, Gary Gensler, già professore di Blockchain al MIT, ha sottolineato la necessità di nuove regole in relazione a due episodi di turbolenza sui mercati: la frenesia intorno a GameStop e la recente implosione dell’hedge Archegos Capital Management che ha fatto crollare i titoli di tutti i colossi bancari.
Due episodi molto diversi ma che il regolatore ha deciso di equiparare per la sottostante dinamica che le accomuna.

Nel corso del 2020, secondo una ricerca di Bloomberg Intelligence circa il 20% delle azioni scambiate sul mercato americano (valore doppio rispetto a 10 anni prima) è passato attraverso il trading del singolo investitore indipendente, per lo più su piattaforme private o OTC.

Da gennaio 2020 ad oggi la base di investitori in bitcoin è praticamente raddoppiata grazie al concatenarsi di una serie di avvenimenti: operatori istituzionali che hanno preso posizione sulle cripto, l’halving di maggio 2020 e il proliferare di wallet, per acquistare e custodire la valuta, sempre più sicuri e semplici da usare.

La corrente indipendentista della finanza

Pandemia e isolamento, insieme ad una nuova, o accresciuta, capacità di risparmio per un’ampia fascia della popolazione hanno contribuito infatti alla creazione di un terreno fertile alla nascita di due fenomeni: l’ingresso nel mondo del trading di profili che finora non avevano avuto possibilità di investire e la nascita di una corrente “indipendentista” grazie al maggior tempo a disposizione per studiare, approfondire e dedicare tempo ai mercati e alle sue dinamiche.

Quello che è successo e sta continuando ad accadere ci ha ricordato che l’innovazione – anche quella finanziaria – è qualcosa che accade da sé, non chiede permesso e quasi sempre parte dalla base.

Da sempre le istituzioni solitamente prima demonizzano, poi la osservano e infine colgono il fenomeno quando è esploso e cammina sulle sue gambe.

E quando intervengono per regolamentarlo rischiano di distorcerlo cercando di imbrigliare iniziative nate per stare fuori dal sistema.

Bitcoin, internet e la democratizzazione della finanza

Quando il bitcoin nacque, il 31 ottobre 2008 l’intento di Satoshi Nakamoto era chiaro: creare un sistema di pagamenti P2P che sostituisse l’elemento fiduciario di terza parte (Banche Centrali e istituzioni finanziarie) con la crittografia, ponendosi l’obiettivo di andare oltre sistema e istituzioni.

Lo scopo fondatore di Bitcoin era quello di democratizzare la creazione e la distribuzione della ricchezza, restituendo il potere di emettere denaro al popolo, permettendo l’accesso a un asset con un potenziale dirompente a chiunque avesse un pc.

Per lasciare una chiara notazione dell’intento dietro ciò che aveva appena creato, Satoshi incorporò nel blocco genesi di Bitcoin, il testo, “The Times 03/Jan/2009 Chancellor on brink of second bailout for banks.”

In questo senso, il bitcoin come strumento di investimento nasce democratico poiché consente a chiunque di prendere parte alla rete: producendo, ricevendo e inviando Bitcoin. La proliferazione di servizi e wallet degli ultimi anni ha inoltre abbattuto gli ostacoli tecnici iniziali permettendo ad una platea sempre più vasta ed eterogenea di operare con un semplice telefono mobile e di poterne acquistare anche poche centinaia di euro.

L’assetto democratico della valuta è evidente anche per l’assenza di un emittente, una proprietà e di alcuna istituzione terza che funga da garante: la sua politica monetaria è definita dal suo algoritmo che ha fissato a 21 milioni il numero massimo di pezzi producibili e le quantità assegnate per la risoluzione di ciascun nodo.

Proteggere l’investitore retail o gli equilibri esistenti ?

Oggi il market cap di Bitcoin ha raggiunto quasi i 900 miliardi di USD e società come JPMorgan, Fidelity, Square, Paypal e Visa hanno preso posizione sulla valuta negli ultimi mesi.

In parallelo stiamo assistendo a una corsa dei regolatori a normare, regolare e tirare le fila di un fenomeno che è nato ed è cresciuto fuori dal sistema. Il già citato Gensler e il segretario del Tesoro USA, Janet Yellen, guardano con sospetto al bitcoin ma considerano l’idea di un “dollaro digitale” – emanazione della stessa Fed e basato sulla tecnologia blockchain – che potrà diventare realtà dopo aver regolamentato il sistema. Come? Non è ancora chiaro.

La proposta europea – la Market in Crypto Asset Regulation (MiCA) – sembra essere invece più una presa d’atto dell’esistenza di una asset class aggiuntiva da “incasellare” nella Direttiva sugli Intermediari Finanziari e nella Mifid già attivi nell’Unione per regolare lo scambio degli altri strumenti finanziari.

Viene spontaneo domandarsi se è davvero la volontà di proteggere l’investitore il motore o è anche, o piuttosto, un tema di equilibri e interessi che rischiano di essere scalfiti.

Bitcoin è passato dall’essere considerato un gioco per appassionati di tecnologia anti-sistema a venir ora guardato come primo vero strumento di messa in discussione dello status quo: in grado di spostare centri di potere e di dare al pubblico indistinto – che il regolatore vede sempre come il “consumatore da salvare” – la possibilità di partecipare alla grande rivoluzione della finanza. Magari riuscendo anche a trarne un guadagno.