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BIPOP: BANCARIO CON LA VOCAZIONE DEL TECNOLOGICO

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Se ci si prende il disturbo di andare a monitorare un grafico comparativo della dinamica del Nasdaq e di quella del titolo Bipop Carire, la prima domanda che sorge spontanea è se stiamo osservando un bancario o un titolo tecnologico. E in effetti buona parte della storia e della valutazione di questa società resta riassunta in questo dubbio.

Per spiegarci meglio possiamo iniziare col dire che Bipop-Carire è il leader italiano nell’internet-banking, coprendo più del 15% del mercato in termini di numero di transazioni effettuate. Nel solo 2000, la società ha tra l’altro investito ben 110 miliardi di lire per servizi informatici: non stupisce che in una fase di mercato come quella di fine ‘99-inizio 2000, in cui ogni cosa che sapesse anche solo vagamente di new economy era “definitivamente” bollata come tale, Bipop abbia iniziato a essere considerato se non un tecnologico almeno un suo buon succedaneo.

Vivendo a pieno la bolla speculativa delle dot.com, il titolo ha visto lievitare la propria quotazione e ha finito coll’evidenziare (e conservare) tutte le caratteristiche tipiche di una società Internet: elevata volatilità ed elevato beta, fortissima correlazione ciclica con la dinamica macroeconomica e del mercato azionario in generale. Se alcune di queste caratteristiche sono giustificate in ragione di un core business volto all’asset management (se lo scenario macroeconomico è in peggioramento lo sono le borse e di conseguenza quelle società che vivono della gestione dei titoli), le altre appaiono frutto indiretto di una percezione, del cosiddetto sentiment di mercato (per non dire della suggestione).

E’ pur vero che la struttura (atipica nel mercato italiano) di public company con un elevato flottante (65%) rischia spesso di avere un indiretto effetto negativo in termini di volatilità: la facilità con la quale è possibile reperire titoli fa si che sia altrettanto agevole costruire posizioni allo scoperto che “viziano” in alcune fasi la dinamica reale della quotazione. Il titolo così finisce per avere tutte quelle caratteristiche tipiche del value più che del growth stock e quindi dell’investimento adatto a un profilo di rischio elevato.

Ma i numeri, o meglio, i multipli della società cosa dicono?

La notizia è positiva, dato che il PE (price/earnings) e i multipli sul NAV sono ben inferiori rispetto ai peers (società simili), non solo italiani, ma anche esteri. Inoltre, nonostante le prospettive di crescita del comparto si siano ridotte, è difficile credere che una società con un tale modello di business possa essere oggetto di una vera e propria inversione del trend: per cui, sebbene lontane dai massimi target ipotizzati ancora solo 4-5 mesi fa, le attuali valutazioni obiettivo sul titolo da parte delle maggiori case si mantengono su sostanziosi margini di apprezzamento.

Le ragioni reali per essere positivi sul titolo ci sono e vanno ben oltre il superamento con i dati dell’ipotesi di profit warning che circolò sul mercato il 20 dicembre e che portò il titolo ad aprire con un gap down mai tecnicamente richiuso. Il maggior punto di forza dell’istituto bresciano, che la differenzia anche dai più diretti concorrenti italiani (Mediolanum, Banca Fideuram e la stessa Ras attraverso Divalras), è la combinazione di una strategia multicanale (rafforzata dall’integrazione di Fineco Online e Banca Fineco, poi inglobate) con un forte orientamento commerciale e un marchio di estremo valore. Le opportunità di cross selling generate anche da un accorto programma di espansione e duplicazione del modello su un contesto internazionale (Germania, Spagna, Francia) offrono la possibilità per la società di generare alti flussi di capitale e crescita dei margini con basso rischio; con l’effetto positivo di poter usufruire di ulteriori canali distribuitivi in mercati ad elevati tassi di crescita.

Bipop vanta inoltre un ottimo tasso di crescita ed evoluzione nel core business (atteso in grado di sovraperformare il mercato pur in contesto di riduzione del tasso di miglioramento), la ricaduta positiva del controllo da parte di un team di gestione efficiente oltre che efficace strategicamente, la leadership riconosciuta nelle operazioni di e-finance.

Allora come mai il titolo, che dal novembre del 1999 al marzo del 2000 si era apprezzato più del 230%, oggi quota circa sette euro in meno dai massimi (-60% circa)? Vale sicuramente l’osservazione fatta precedentemente del legame con il ciclo macroeconomico e in aggiunta la suggestione che fa percepire il titolo come semitecnologico non aiuta con un Nasdaq che oscilla sui minimi dell’autunno del 1998. Ma altri fattori hanno contribuito.

Bipop ha messo a segno con successo l’acquisizione della tedesca Entrium, concludendo la più grossa operazione mai portata avanti in Germania da una banca non locale. In questo modo la società si è costruita un valido accesso ad un mercato in forte espansione sia nell’Internet banking che nella gestione di fondi, accaparrandosi al contempo un asset fondamentale della Entrium: il maggior database clienti disponibile in Europa. I vantaggi dell’operazione sono indubbi, grazie anche all’effetto delle vendite incrociate e della diversificazione territoriale, ma è pur vero che qualche critica Bipop in questo caso se l’è attirata a causa dell’opera di rafforzamento (quando non di riorganizzazione) del management che è stata costretta a porre in atto nella controllata tedesca.

Ecco perché la testa di ponte della Safei in Spagna, con accesso a un mercato atteso in crescita del 38% fino al 2003, è stata meglio accolta (nonostante il prezzo a premio a causa della concorrenza con Dexia, Merril Lynch, HSBC): possibilità di sviluppo nel trading on line e nelle sinergie di investimenti tecnologici, con la disponibilità di un immediato canale di distribuzione dei prodotti. Ma la vera pecca dell’operazione di OPS Entrium è stata indiretta e legata al quantitativo di azioni che i detentori tedeschi hanno riversato sul mercato quando è scaduto a fine gennaio il primo lock up. Si è arrivati a quel punto a temere una defezione anche dei soci stabili (tra i quali Putnam, gruppo Bertoli…), ma è giunta secca la smentita del principale, la Fondazione Mondadori. Semmai un po’ di malumore serpeggerebbe nelle fila degli azionisti “minori”.

Oggi il titolo si salva da una capitolation simile a quella che si è vissuta a febbraio grazie al sostegno di voci speculative, che in queste fasi incerte di mercato tendono (anche se ingiustamente) a generare extra valore: una possibile Offerta pubblica d’acquisto (Opa). Anche se va detto che all’inizio del rincorrersi dei rumors di mercato si è assistito al paradosso di un titolo possibile oggetto di Opa in flessione.

I nomi dei pretendenti (specie stranieri) si sprecano: da Ing ad Axa (che ha smentito), da Allianz a Deutsche Bank (perchè mai la banca tedesca dovrebbe continuare a impiegare tante risorse in acquisizioni che la farebbero valere meno della somma delle sue parti?), Putnam (dopo che Putnam Investment ha ridotto la quota dal 3,8% al 2%?), Intesa, Unicredit e Mediolanum (senza valutare che per queste tre l’operazione sarebbe a diverso titolo distruttrice di valore), MPS (che dovrebbe fronteggiare problemi di diluizione delle quote delle fondazioni?), Ras.

Con la bassa valutazione raggiunta dal titolo, pur ammettendo un premio del 30%, la possibilità tecnica c’era: le azioni sarebbero state pagate meno di quegli €8,5 da poco sborsati dal socio Ardesi per la quota della Sbh. Ma questo solo se si fanno i conti senza l’oste, nella fattispecie la Banca d’Italia. Nessuno può possedere partecipazioni in una banca italiana superiori al 5% senza l’approvazione del Governatore Antonio Fazio, che non si capisce perché dovrebbe gradire un qualunque candidato estero in Bipop Carire dopo i ripetuti no a Bbva su BNL. Che il mercato per un po’ ci abbia creduto lo provano i massicci quantitativi di call con scadenza aprile-maggio acquistati alla fine di marzo con basi davvero elevate (5,5/5,6€).

Ma alla fine è molto più facile pensare che tutto si risolva in un rimbalzo legato a ricoperture degli hedge fund in occasione della scadenza del trimestre in pieno window dressing, cioè manovre per sostenere i loro titoli e far apparire migliori i loro investimenti.

La società ha presentato un bilancio 2000 di tutto rispetto con un Roe più che significativo e un incremento di dividendo (+30%). Si parla anche di un buyback in un grado di creare maggior valore per gli azionisti. E il piano 2001-2003 parla di obiettivi ambiziosi. Il management c’è e la struttura certo non manca…ma il mercato?

*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo Banca Popolare di Vicenza.