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BIN LADEN SI E’ SBAGLIATO

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Mentre le forze militari americane e inglesi continuano la loro campagna contro Osama bin Laden, il terrorista ha commesso l’errore fatale di “talebanizzare” il mondo musulmano. Tom Petrie, finanziere nel settore petrolifero (con diversi contatti nel Medioriente), ritiene che gli attacchi al WTC e al Pentagono potrebbero aver orientato l’ago della bilancia a favore delle forze occidentali.

Petrie afferma che il piano di bin Laden vorrebbe trasformare il Pakistan – la seconda nazione islamica per popolazione – in un paese fondamentalista come l’Afghanistan dei Talebani, il che gli permetterebbe di accedere alle armi nucleari pakistane. Questo gli consentirebbe di far vacillare il governo saudita – che ha accolto gli aiuti occidentali durante la guerra del golfo nel 1990-91 – e di “liberare” i luoghi sacri come la Mecca e Medina.

Bin Laden potrebbe quindi usare le testate nucleari per destabilizzare i produttori principali di petrolio, inclusa la Casata Saudita, che controlla 1/4 della produzione mondiale di petrolio, soddisfacendo 1/6 del fabbisogno statunitense. Altri luoghi sacri potrebbero essere liberati come al-Aqsa Mosque a Gerusalemme.

Il governo pakistano, comunque, appoggia gli Stati Uniti, nonostante le manisfestazioni antiamericane interne. Anziche’ alienare il mondo islamico, l’amministrazione Bush e’ riuscita abilmente a creare una coalizione per scoprire e distruggere al Qaeda, l’organizzazione criminale di bin Laden.

D’accordo con Petrie, la campagna anti-terrorismo non sara’ come nel Vietnam, come pensava bin Laden. Fin dalla crisi petrolifera del 1973, Petrie ha rilasciato delle notizie interne e ha espresso le implicazioni di queste ultime sui mercati energetici e sulle societa’ che estraggono le risorse energetiche. Col partner Jim Parkman, Petrie gestisce la banca d’affari Petrie Parkman con sede a Denver; insieme hanno fornito, in passato, consulenza al governo saudita riguardo la privatizzazione dell’ industria petrolifera.

Quando le Twin Towers sono crollate, Petrie indico’ bin Laden come colpevole, perche’ coinvolto in precedenti incidenti terroristici tra cui quello del WTC nel 93′. “In ogni attentato ci sono stati elementi comuni: un’ organizzazione solida, una complessa rete di finanziatori sostenitori dell’operazione, un tempo impeccabile. Quando ha visto il secondo aeroplano schiantarsi sulle torri non ho avuto dubbi”.

Dopo gli attacchi del’11 settembre, Petri ha ipotizzato che bin Laden si aspettasse la reazione di rappresaglia americana. Secondo il finanziere, proprio come nella guerrra in Vietnam, bin Laden avrebbe ritenuto probabile un ripiegamento delle forze americane, dopo che il contrattacco aveva provocato alcune vittime civili.

Cosi non e’ stato. La risposta americana e’ stata praticamente l’opposto, afferma Petrie.
“Bin laden ha pensato che Bush avrebbe reagito come Clinton nell’ attacco alle ambasciate africane. Invece, raggruppando le forze, Bush ha strategicamente attaccato l’Afghanistan con un’ operazione chirurgica. Il modello e’ cambiato”

Gli osservatori del medio-oriente hanno temuto che la reazione degli Stati Uniti avrebbe mosso l’opnione pubblica a favore di bin Laden.
Invece Bush, inizialmente ha usato le maniere forti con il Pakistan e ha alleggerito la presa.

Ha cercato aiuto dagli stati di Oman, Tajikistan e Uzbekistan. Il presidente americano e’ riuscito a mettere in piadi accordo di intelligence un tempo impensabile con la Russia. Bush ha insistito che che l’aiuto ai civili avrebbe constituito un fattore fondamentale in questa guerra.

“Portando gli Stati Uniti in guerra, bin Laden ha reso il modello del Vietnam incosistente – aggiunge Petrie – L’attacco si e’ mostrato come una grossa minaccia, unendo fortemente il paese in un modo che non avevamo assistito fin dalla seconda guerra mondiale. L’alto livello di sicurezza interna adottato potrebbe scovare le operazioni delle celluele terroristiche negli Stati Uniti. Le azioni che bin Laden ha portato avanti hanno sicuramente diminuito il coraggio di raggiungere tali obiettivi. La capacita’ di privarlo della sua abilita’ di operare e’ una certezza virtuale”.

Cosa accadra’ adesso? Bin Laden ha fatto riferimento ad alcuni principi palestiniani per rendersi popolare nel mondo arabo, ma ha raggiunto meno successo di quello sperato.
Seppur preoccupaati della destabilizzazione procurata dal conflitto, Giordania, Egitto, Arabia Saudita, Kuwait, gli Emirati e Oman sono rimasti taciti sostenitori degli Stati Uniti.

Ma cosa succedera’ all’Arabia Saudita, il produttore principale di petrolio nel medio-oriente? Ci sono legami economici storici tra USA e Arabia Saudita, e il comportamento consumista della famiglia reale saudita e’ diventato l’oggetto privilegiato delle ire di bin Laden

E inoltre, dice Petrie: “Il regime saudita ha atttraversato un periodo di transizione negli ultimi 5 anni. La politica del principe Abdullah bin Abd al-Aziz ha permesso lo sviluppo di un periodo economico favorevole per l’intera nazione, che trascende l’interesse familiare”.

Nonostante la condanna da parte dell’Iran, della Siria e del Sudan agli atacchi americani, vi e’ stato anchhe un tacita opposizione alla “talibanizzazione” della regione. Per questi regimi bin Laden rappresenta una sfida. L’Iran, per esempio,difende l’Alleanza del Nord, che sta cercando di togliere il potere ai Talibani.

Per quanto riguarda l’Iraq, sebbene nota per aver sempre appoggiato il terrorismo anti-americano, Petrie non vede Saddam Hussein come un alleato di bin Laden. “Sarebbero alleati incompatibili in quanto cercherebbero di eliminarsi a vicenda e l’unica speranza di sopravvivere per Saddam sarebbe quella di sbarazzarsi di bin Laden”.

E cosa accadra’ all’Afghanistan, che e’ stato guidato dai Talebani sin dalla conquista di Kabul nel 1995? Petrie intravede i primi segnali di dialogo tra le 7 tribu’ rivali e tra le piu’ moderate sembra ci sia il desiderio di ristabilire una confederazione sotto un potere legittimo, come quello del re afghano.

“E’ presto parlare ora, ma c’e` il presentimento che nel caso in cui gli Stati Uniti vincano, verra’ creata un’organzizzazione sostitutiva. Tutto questo si trasformera’ in una guerra tra 5 o 6 tribu’ da cui uscira’ vincitore un nuovo gruppo pseudo talebano?
Negli ultimi 30 anni, l’Afghanistan e’ stato segnato da episodi di violenza, e non dovremmo sottovalutare il desiderio di pace, come quella che ci fu prima del 1973 con il regime monarchico.

Gli effetti sul mercato petrolifero sono stati assorbiti nella settimana successiva agli attacchi USA. Il prezzo del greggio e’ crollato da $27 a $23 al barile.
Il petrolio difficilmente scendera’ ancora, ma i mercati mondiali sono gia’ orientati verso un’inevitabile recessione e una compressione dei prezzi. Se gli USA e l’Iraq creeranno un accordo per l’offerta del petrolio, i prezzi potrebbero risalire.

Petrie ritiene che “l’ipotesi di una forchetta di $25-$30 al barile non e’ sostenibie, a meno che bin Laden raggiunga i suoi obiettivi di espansione. Ma cio’ farebbe piombare il mondo in una recessione di inimmaginabile profondita’”.

Petrie e’ convinto che il prossimo anno il petrolio tocchera’ valori medi pari a $22 (oscillando tra $17 e $28), in ribasso da $25, valore medio di quest anno; il gas naturale sara’ in media $2,75 per mille piedi cubici (circa 330 metri cubici), in calo di 4$ quest’anno.

E Petrie prevede una serie di prestazioni positive da parte delle compagnie petrolifere come: Anadarko Petroleum (“produttore indipendente di grande qualita’ nel settore”); Ocean Energy (“posizionata favorevolmente nel Golfo del Messico e in Africa”); Occidental Petroleum (“un 25% di margine di rialzo e un ritorno sugli investimenti che puo’ arrivare al 30%”), Murphy Oil (“risorse di ricerca ampie nei paesi non appartenenti all’OPEC”); Kerr Mcgee e Phillips Petroleum, ciascuno con un margine di rialzo intorno al 35%. “Si tratta di una categoria trascurata, con buonissimi flussi di cassa” e che potrebbe essere ingrandita da ulteriori fusioni e acquisizioni. Per esempio, l’altra settimana Burlington Resources ha stipulato l’accordo di acquisizione di Canadian Hunter per $2,1 miliardi.

Petrie prevede una revisione inevitabile della gestione americana delle riserve interne, specialmente nello sviluppo del territorio slavino.

“La capacita’ di essere flessibili in momenti di crisi e’ profondamente importante”. In Alaska le societa’ potrebbero essere favorite. Phillips e Anadarko hanno scoperto nuovi giacimenti e “hanno una migliore forza contrattuale dovuta all’ottima posizione geografica”.

Altre societa’ tradizionali che potranno esserre protagoniste del settore sono BP e ExxonMobil. Inoltre, l’Alaska gestisce 35 migliaia di miliardi di piedi cubici (12 migliaia di miliardi di metri cubici) di riserve di gas, dei quali 25 migliaia di miliardi (circa 8) sono altamente sviluppati e delle cui risorse potranno beneficiare Willbros Group, Halliburton and Flour.

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