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BERLUSCONI, DOPO 2 ANNI CALA LA POPOLARITA’

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Sono passati grossomodo due anni dall’insediamento del governo Berlusconi. Ed è inevitabile, quasi obbligatorio, stilare un bilancio. Dal punto di vista degli atteggiamenti e degli orientamenti degli elettori, esso appare per molti versi contraddittorio e, specialmente, passibile di sviluppi in direzioni assai diverse.

Da un verso, a due anni di distanza, la coalizione guidata dal Cavaliere sembra mantenere comunque la maggioranza dei consensi «virtuali», rilevati cioè tramite sondaggi e non attraverso elezioni vere. Anche se, negli ultimi mesi, questo vantaggio è apparso, secondo le rilevazioni della maggioranza degli istituti di ricerca, erodersi in qualche misura, specie nell’ambito del voto per il maggioritario.

Se si analizzano anche altri indicatori di popolarità, il quadro si fa più preciso e, al tempo stesso, più articolato. Ad esempio, per ciò che concerne il trend delle espressioni di approvazione per l’operato del governo, emerge una crescita notevole subito dopo l’insediamento dell’esecutivo e un successivo andamento tendenzialmente decrescente.

Il motivo sta nell’accumularsi delle aspettative nei primi mesi dell’attività del governo, anche in relazione agli impegni presi nella campagna elettorale, e ad un progressivo senso di delusione sviluppatosi successivamente. Era forse scontato che la diminuzione di consensi si manifestasse, com’era accaduto in passato per gli altri governi, principalmente tra gli elettori dell’opposizione. Una parte dei quali, specie coloro che si collocano al centro (ad esempio, un settore dei votanti per la Margherita), aveva peraltro espresso inizialmente un giudizio positivo sull’attività del governo, legato soprattutto alle aspettative di sviluppo economico, che però è andato notevolmente scemando nel tempo.

Meno consueto è invece il fatto che la diminuzione di consenso sull’operato dell’esecutivo si sia manifestata anche nell’elettorato dei partiti che lo sostengono. In misura ovviamente diversa in relazione alle varie forze politiche e, com’era prevedibile, assai più consistente tra i votanti per la Lega Nord. Tanto che appare decrescente perfino l’entità del consenso espresso personalmente verso Berlusconi, ma, anche in questo caso, il 68 per cento dei leghisti conserva comunque un giudizio positivo.

Il fatto significativo è che il disagio appare presente anche all’interno dei votanti per il partito del Cavaliere, Forza Italia. Ove, beninteso, la grandissima maggioranza degli elettori continua a valutare positivamente l’operato del suo leader. Ma ove, al tempo stesso, questo supporto è andato comunque diminuendo rispetto ad un anno fa.

Gli effetti di questo andamento poco positivo all’interno dell’elettorato di centrodestra si sono già visti nell’ultimo periodo. Essi consistono principalmente in una accentuazione delle fratture interne alla coalizione (si sa che quando si percepisce un trend negativo, è assai più difficile mantenere l’unità) che a sua volta ha notevolmente contribuito alla sconfitta elettorale in occasione delle ultime consultazioni amministrative. E ciò malgrado il Cavaliere – che di certo conosce puntualmente l’esistenza di questo andamento in tutti i suoi dettagli – avesse tentato di scongiurarne (riuscendo forse a limitarne la portata) gli effetti, mutando radicalmente il suo stile di comunicazione e concentrandolo assai più sulla sua persona (da sempre molto efficace sul piano comunicativo) che sulle problematiche economiche e sociali del Paese.

Quali sono i motivi di questo trend poco soddisfacente per l’esecutivo? Lo si può evincere in qualche misura dagli esiti dell’ultima rilevazione sulle «questioni più importanti che il governo deve affrontare in questo momento». Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni, esse riguardano principalmente le tematiche del lavoro e dell’economia. E non le vicende giudiziarie del Cavaliere (che paiono interessare solo una quota minoritaria di elettorato), né la questione del conflitto di interessi, che è citata solo da chi è già orientato al centrosinistra e non pare invece toccare gli elettori del centrodestra né far parte, di conseguenza, delle ragioni del disagio rilevato tra questi ultimi.

Viceversa, emerge anche da altre ricerche come la ragione principale della perdita di consenso per Berlusconi e i suoi alleati risieda (secondo la percezione soggettiva – che è però quella che determina poi il consenso elettorale – dell’elettorato, compresa buona parte di quanti lo hanno votato due anni fa) proprio nella mancata realizzazione delle promesse fatte in campagna elettorale. Tra le quali appaiono particolarmente importanti – e prioritarie agli occhi degli elettori – quelle relative al rilancio dell’economia e, in particolare, alla diminuzione della pressione fiscale.

Proprio questo stato di cose rende plausibile l’ipotesi che il trend rilevato sin qui possa assumere in futuro andamenti anche opposti tra loro. Alle prossime elezioni politiche mancano, si sa, ancora diversi anni. Se in questo lasso di tempo il governo riesce a far percepire agli elettori un rilancio dell’economia e una diminuzione della pressione fiscale, è ragionevole supporre che esso possa riconquistare i consensi perduti e, forse, acquisirne anche qualcuno nel centrosinistra. Se questo non accadrà, si può sostenere che la probabilità di una sconfitta elettorale si accresca notevolmente.
La gran parte degli economisti ritiene però che il rilancio dell’economia del nostro Paese – e la conseguente possibilità di diminuire le tasse – dipenda in larga misura da fattori di carattere internazionale che, per buona parte, vanno al di la delle possibilità di azione e di controllo del governo italiano. Che, beninteso, nel caso di una ripresa economica internazionale, deve mostrare di essere in grado di far partecipare pienamente il nostro Paese al trend positivo.

Da questo stato di cose è andata maturando in molti osservatori la convinzione, un po’ paradossale, che l’andamento dei consensi per Berlusconi e il suo governo – e l’esito stesso delle consultazioni politiche e di quelle, assai più vicine, per il Parlamento europeo – siano legati più ad elementi economici internazionali che alle scelte del governo stesso. Si tratta, ovviamente, di una visione semplicistica. Che contiene tuttavia un elemento di verità: senza una ripresa dell’economia a livello internazionale, pare assai difficile arrestare il trend decrescente di consensi per l’esecutivo manifestatosi nei suoi primi due anni di vita.

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