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BENE L’ EUROPA, MEGLIO
WALL STREET

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(WSI) – LE RAGIONI DEL TORO «La sorpresa del 2006 potrebbe venire da Wall Street – dice al telefono Jean-Luc Buchalet, del centro studi e consulenza FactSet – La Borsa newyorchese nel 2005 è stata zavorrata dal dollaro forte e dall’azione restrittiva della Fed. Ma entrambi questi fardelli con buona probabilità verranno a mancare nel 2006. Dalla nostra parte dell’Atlantico – continua lo strategist – guadagni nell’ordine del 7-10% sono del tutto realistici per l’anno in corso». Su un punto, però, Buchalet è d’accordo con Ben Funnell, il collega di Morgan Stanley che ha invece una visione meno rosea dei 12 mesi a venire (vedi articolo nella pagina accanto): non sarà l’anno dei titoli finanziari. Ma partiamo da un fatto di cronaca: il braccio di ferro tra Mosca e Kiev ha catapultato di nuovo le quotazioni del greggio oltre i 60 dollari al barile.

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Mister Buchalet, ritiene che prima o poi il rincaro dei carburanti possa far precipitare in una recessione o fornire l’innesco a una fiammata dell’inflazione?

Al momento direi di no. A parte l’imbarazzante fragilità endemica dell’Europa relativa agli approvvigionamenti energetici, direi che l’accordo trovato quantomeno pospone i problemi a un futuro distante. Sono tendenzialmente ottimista, e prevedo la stabilizzazione del petrolio attorno ai 60 dollari al barile fino alla primavera prossima e poi una discesa graduale in estate.

Ritiene che la successione al premier israeliano Sharon sia in grado di procurare qualche vuoto d’aria nel mercato dei prodotti raffinati o in quello azionario?

No, i problemi in quella parte del mondo sono cronici piuttosto che acuti e non vedo un aggravamento.

Abbiamo vissuto una stagione d’oro per i margini aziendali. Qualche commento?
È vero. L’indice S&P500 ha appena archiviato il quindicesimo trimestre consecutivo di espansione degli utili. A livello nazionale essi rappresentano il 10,9% del prodotto nazionale, oltrepassando il record precedente del 1997. Se guardiamo alle statistiche, ci accorgiamo che, in rapporto alla dimensione dell’economia, i profitti non erano mai stati tanto buoni dal 1964.

E la prospettiva?

Dato il punto di partenza, alcuni concludono che lo spazio di miglioramento sia modesto. Ma le previsioni di consenso indicano per il 2006 un ulteriore allungo del 12,7 per cento. Forse è troppo, non lo nego. Tuttavia bisogna tenere a mente due fattori.

Quali?

Il primo, ampiamente riconosciuto dal pubblico, è l’imminente fine della normalizzazione dei tassi negli Usa. Se n’è parlato molto, quindi non insisto. Il secondo è l’aspetto valutario.

Si riferisce al dollaro?

Esatto. Nel 2005, il rimbalzo del biglietto verde ha superato il 10%, facendo la fortuna degli esportatori europei. Al contrario, il dinamismo della valuta statunitense, unito alla strategia della Banca centrale americana, di certo non ha agevolato Wall Street. Ora io dubito che il 2006 rechi in sé i presupposti per assistere a un secondo anno di dollaro forte.

E una divisa meno muscolare offrirebbe una boccata d’ossigeno all’America societaria?

Certamente sì.

Concentriamoci adesso sull’Europa. Dopo un 2005 strepitoso, cosa porta in grembo il 2006?

Le Borse continentali sono tuttora sottovalutate. Multipli contenuti e liquidità abbondante dispensano i loro effetti benefici, ma l’euro gioca a sfavore per quanto abbiamo appena asserito. Inoltre, la Bce alzerà il costo del denaro, seppure solo in misura contenuta.

La conclusione?

Propendo per un equilibrato aumento delle quotazioni. Se vuole una cifra, forse il 7-10%, in linea con lo sviluppo degli utili societari europei. A vantaggio delle azioni giocano pure i rendimenti obbligazionari: l’inflazione è muta ovunque e le aspettative sono state ben contenute dalla cura operata dalla Banca centrale americana. Ciò mi induce a pensare che il tasso d’interesse sui titoli governativi a 10 anni scenderà sotto il 4% in America e retrocederà al 3% da noi. Queste sono notizie positive per il mercato azionario.

Quali sono i suoi settori preferiti?

Mi piacciono i titoli ciclici come quelli dell’industria di base e le compagnie petrolifere minori. Insomma, per intenderci, non i colossi Total o BP, ma le imprese di ingegneria mineraria e petrolchimica e le raffinerie. Suggerisco anche una decisa esposizione sul settore aurifero, che segue un ciclo tutto suo.

E cosa non le piace?

Siamo soprattutto neutrali sui titoli finanziari, per via dell’evoluzione dei tassi d’interesse e dell’appiattimento della curva.

Diversi resoconti indicano finalmente una ripresa sostenibile nell’area euro. Condivide?

Sì, l’ottimismo è giustificato dai dati. Ciò aiuterà l’autorità monetaria di Francoforte a dare il via libera a un paio di strette aggiuntive nel corso del 2005.

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