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BARILI E BIDONI

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(WSI) – Il prezzo del petrolio in continua ascesa alimenta nei politici il desiderio di interventi di calmierazione e redistribuzione. A questo proposito il governo ha inserito nella manovra sui conti pubblici una Robin Hood tax, che «toglie ai petrolieri per dare a chi ha bisogno di cibo», secondo le parole del ministro Tremonti.

Ma possono davvero i governi «agire sui prezzi per combattere la speculazione», nelle parole ancora del ministro Tremonti? E sono davvero le società petrolifere a guadagnare maggiormente da questa situazione?


L’aumento del prezzo del petrolio è sì in parte motivato da spinte speculative. Il petrolio sembra svolgere in questo momento un ruolo di bene rifugio di fronte a un dollaro debole e senza grandi aspettative di rafforzamento. Lo dimostrano gli elevati differenziali tra il prezzo del petrolio con consegna a 5 anni e il prezzo a breve. Ma poco possono i governi davanti a riaggiustamenti finanziari di tali dimensioni.

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Inoltre, il rincaro del petrolio dal 2000 a oggi è dovuto soprattutto a cause strutturali, in particolare alla diminuzione dell’eccesso di capacità produttiva. Nel 2000 la capacità globale di produzione e di raffinazione di petrolio era del 5-10% superiore alla domanda. Nel 2005 era pari alla domanda. I costi di estrazione del 25% meno efficiente dei produttori sono passati dai 20 dollari circa a barile del 2000 ai 70-80 dell’anno scorso; segno che i produttori sono costretti a ricorrere agli impianti e ai giacimenti più costosi per sostenere l’offerta necessaria.


In sostanza, nuovi investimenti sono necessari per sostenere la crescita della domanda di petrolio e ristabilire quell’eccesso di capacità produttiva e di raffinazione necessario a compensare oscillazioni di domanda e prezzi. Dal 2000 a oggi il tasso di rendimento del capitale investito in energia è cresciuto notevolmente, anche grazie all’aumento del prezzo del petrolio, e quindi sono cresciuti gli investimenti. Questo processo non si è però ancora compiuto e anzi sta procedendo molto lentamente. Jeffrey Currie, esperto dei mercati delle materie prime per la banca di investimenti Goldman Sachs, prevede un ulteriore incremento del prezzo del petrolio nel corso dell’estate sulla base di una simile analisi.


In principio, la produzione di carburanti biologici potrebbe contribuire a limitare la domanda di petrolio e quindi il prezzo nel medio periodo. Ma la produzione più efficiente di carburanti biologici, come ad esempio la produzione di etanolo da canna da zucchero, avviene nell’emisfero Sud.

L’effetto calmieratore sul prezzo dell’energia dei carburanti biologici è quindi ridotto a causa delle varie barriere protezionistiche con cui ad esempio gli Stati Uniti e l’Europa proteggono i propri settori agricoli. La riduzione di tali barriere è uno dei pochi interventi di politica economica possibili per agire efficacemente nel medio periodo sul prezzo dell’energia.


Per quanto riguarda i profitti delle società petrolifere, essi sono essenzialmente dovuti alla rivalutazione dei giacimenti di petrolio, qualora ne posseggano; non a maggiori margini con l’aumento del prezzo del greggio.

In Italia le società petrolifere, con eccezione dell’Eni, non posseggono giacimenti. Raccolgono quindi relativamente poche rendite a seguito dell’aumento dei prezzi del greggio, che esse importano per poi raffinare. È vero però che la componente del prezzo industriale della benzina e del gasolio da autotrasporti (prezzo del greggio più raffinamento e distribuzione alla pompa, al netto delle tasse) è di circa il 10% più elevata in Italia che in Europa. Per quanto diversi possano essere i costi di approvigionamento e di distribuzione, la differenza è notevole e almeno in parte spiegabile da inefficienza e potere di mercato che giustificherebbero una Robin Hood tax.


In ogni caso, il prezzo della benzina alla pompa in Italia è composto per circa il 30% dal prezzo del greggio, per il 15-20% dall’attività di raffinazione e di distribuzione delle società petrolifere, e per oltre il 50% dalle imposte. Tali imposte, pur essendo in linea ad esempio con quelle di Francia e Germania, sono comunque del 15% circa più elevate rispetto alla media europea, e di oltre il 50% rispetto ad esempio alla Spagna.


Per quanto quindi la Robin Hood tax possa avere qualche effetto redistributivo, la sola manovra di politica economica capace di ridurre a breve il prezzo della benzina alla pompa sarebbe una riduzione diretta delle imposte.

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