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BARBECUE TRA BUSH E BERLUSCA

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Il clou della visita sarà il barbecue nel prato del ranch presidenziale di Crowford, domenica sera. C’è poco da ironizzare. Solo chi non ha vissuto negli states e in particolare nell’orgoglioso e indipendente Texas, può ridere sotto i baffi. Il barbecue estivo è una istituzione inattaccabile, anzi un rito fondante. E’ l’evento sociale con il quale si celebra la festa nazionale. Senza salsicce e bistecche (il Texas, poi, c’è la regina delle bistecche, la T-bone) non esiste 4 luglio. Alla grigliata all’aperto non possono accedere tutti. E’ una cosa da fare con gli amici, i veri amici. Dunque, il simbolismo è evidente: Silvio Berlusconi per George W. Bush è un «close friend». Forse non ancora come Tony Blair (che ha ricevuto ben 17 standing ovation al Congresso). Ma è molto più di un alleato.

Pochi capi di governo italiani sono stati così vicini non tanto agli Stati Uniti, ma a una amministrazione americana. Certo si può citare Alcide De Gasperi con Harry Truman, ma era ancora fresca la sconfitta e la liberazione. Ci ha provato Bettino Craxi con Ronald Reagan, poi c’è stata Sigonella. Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato hanno associato Bill Clinton nel club dell’ internazionale democratica. Ma non sono mai giunti al barbecue.

Non è vero che l’Italia abbia compiuto una conversione filo-americana. Nessun governo italiano è mai stato anti-americano. Il massimo di distanza si raggiunse con Aldo Moro ai tempi della guerra in Vietnam. Ma lì anche l’America era contro se stessa. Non è nemmeno vero che non si siano verificate prima spaccature clamorose in Europa sulla politica estera. Con la Francia da una parte e l’Italia dall’altra.

La vera novità è che con Berlusconi è cambiato non tanto il rapporto con gli Usa, quanto il rapporto con l’Europa. Gli europeisti ortodossi temono che i confini si allarghino a dismisura (fino a comprendere la Russia o Israele) annacquando il progetto dell’Unione e trasformandola in una grande area di libero scambio e in una zona di scurezza che coincide più con gli interessi della Nato e in definitiva degli Stati Uniti.

Incontrando ieri Valéry Giscard d’Estaing, il capo del governo italiano ha ribadito il suo impegno per una Europa «unita, libera da ogni egemonia e protagonista autorevole». E ha ottenuto la promessa solenne che il nuovo trattato verrà firmato a Roma. C’è anche una data: il 9 maggio 2004. Berlusconi ha ripetuto che farà tutto il possibile per ricomporre le divisioni interne e difendere «con realismo» la proposta di costituzione. Il viaggio in Texas è un appuntamento importante anche per questo.

I dossier principali dei colloqui (ci sarà anche un téte à téte ai bordi del laghetto di Crowford) riguardano i rapporti euro-atlantici, l’Iraq, il Medio oriente, la guerra al terrorismo e la «strategia di controproliferazione» delle armi di distruzione di massa. La questione più spinosa è il coinvolgimento dell’Onu nel dopo Saddam.
Il ministro degli esteri russo Ivanov ha chiesto una nuova risoluzione. Spagna e Gran Bretagna sperano che l’Onu torni in campo, ma non si esprimono sulla nuova risoluzione. La Francia e la Germania non vogliono che diventi una legittimazione ex post dell’intervento. La Casa Bianca sostiene che basta la risoluzione 1483. Ma ormai sa con chiarezza che non potrà gestire da sola la ricostruzione. I GIs vogliono sapere quando torneranno dalle loro famiglie. Però, non ci sono abbastanza truppe per rimpiazzarli, neppure gradualmente.

L’Italia condivide l’obiettivo di un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni multilaterali e insiste che sia la bandiera della Nato a sventolare in Mesopotamia. «Se ci fosse un coinvolgimento della Nato, sia operativo sia politico, basato su una risoluzione Onu, per noi sarebbe perfetto», spiega una fonte diplomatica. Sarebbe lo stesso schema usato in Bosnia. Se Berlusconi riuscisse a far passare questa ipotesi, otterrebbe un importante successo diplomatico, una riaffermazione di quel ruolo mediatore e «federatore» che la politica estera italiana si è conquistata nel tempo. Rinnovamento, dunque, ma nella continuità.

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