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BANCHE E MAFIA

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(WSI) –
Il questore di Palermo, Giuseppe Caruso,
ieri ha messo a soqquadro il mondo bancario italiano. In un’audizione
presso la commissione Antimafia, ha espresso un giudizio
molto duro nei confronti degli istituti di credito, accusandoli di usare
più attenzione e favori nei confronti dei mafiosi, di quanti invece
non ne riservino allo Stato. Quando lo Stato infatti assume la gestione
di imprese sottratte al patrimonio dei mafiosi, ha detto il questore,
le banche chiedono garanzie reali a fronte della concessione
di crediti assai più severamente di quanto invece non abbiano concesso
mezzi senza troppe difficoltà, quando a chiedere sostegno finanziario
erano i precedenti gerenti appartenenti alla criminalità
organizzata.

È un’accusa grave, ed è comprensibile che l’Abi abbia
subito risposto sdegnata a stretto giro. Ma, al di là del dato di fatto
che tutti sperimentano nella vita del Paese, e cioè che la concessione
di credito grazie a rapporti relazionali – e anche quelli della mafia
lo sono, anzi lo sono in massimo grado – è assai più agevole rispetto
al caso in cui a rivolgersi alla banche sono famiglie o imprese
prive di “reti di promozione”, diciamo così, in margine all’audizione
del questore è un’altra, l’osservazione da fare.

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A emergere con
grande forza non sono stati solo giudizi molto recisi verso gli istituti
di credito e verso il mondo dell’impresa privata in generale, anch’essa
dipinta come molto spesso pronta a far
affari con la mafia senza andar troppo per il sottile.
È nei confronti dell’autorità giudiziaria, che
il giudizio del questore è stato ancor più duro,
accusandola di muoversi con eccessiva comprensione
verso gli accusati di così gravi reati quando
si tratta di confermare e legittimare le richieste di
sequestro patrimoniale di proprietà e imprese. Si
è rotto qualcosa di profondo a Palermo tra forze
dell’ordine e magistratura, se il questore si esprime
in questi termini sul delicato tema della lotta
alla mafia. Varrebbe la pena di approfondire,
non solo sul fronte bancario.

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