Economia

Banche e l’arma dello smart working

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Il diffondersi della variante Delta della pandemia di Covid ha scombinato in parte i piani di “back to office” predisposti dalle principali banche di Wall Street, tutti o quasi vogliosi di riavere i loro dipendenti in ufficio dopo il lungo periodo di smart working imposto dall’emergenza coronavirus.

Wells Fargo ha posticipato la riapertura dei suoi uffici di un mese all’inizio di ottobre. Stessa strada è stata intrapresa da BlackRock, il più grande gestore patrimoniale del mondo, che salvo ulteriori rinvii farà tornare i dipendenti alle loro scrivanie alla fine di ottobre. Tra chi invece non appare intenzionato a fare retromarcia spiccano J.P.Morgan Chase e Goldman Sachs, i cui vertici da inizio pandemia si sono mostrati critici verso il lavoro da remoto, tanto che David Solomon, numero uno di Goldman Sachs, lo ha bollato come “un’aberrazione”.

L’ansia da ritorno in ufficio per le banche è dettata dal fatto che lo smart working ha dei punti oscuri. Il ceo di J.P.Morgan Jamie Dimon, per esempio, ha posto l’accento sul fatto che questa modalità non funziona per i più giovani, per coloro che vogliono fare carriera e anche in termini di generazione spontanea di idee.

Banche, diversità di vedute per lo smart working

Da un lato della barricata ci sono quindi i nostalgici dell’ufficio come Solomon e Dimon. Il lavoro a distanza ha avuto sì successo durante la pandemia, ma a loro parere perché i dipendenti avevano accumulato una riserva di buona volontà, collaborazione e coesione, dall’aver lavorato insieme di persona.
La pandemia li ha costretti a ridurre parte di questa riserva e l’unico modo per ricostruirla è tornare in ufficio. Di contro, c’è chi vede l’avvio di una nuova era con la capacità di offrire ai lavoratori maggiore flessibilità come potenziale vantaggio competitivo nell’attrarre e trattenere il talento. Tra questi la nuova ceo di Citigroup, Jane Fraser, che ha delineato per i suoi dipendenti un programma ibrido tra casa e ufficio a lungo termine. Wall Street in effetti ha dimostrato di poter garantire ricavi enormi pur lavorando da remoto.
“Va rimarcato come diversi cambiamenti legati alla pandemia hanno avuto implicazioni materiali per i lavoratori del settore. Ad esempio, il fatto che i banchieri d’investimento possano fare molte più proposte al giorno su Zoom rispetto al dover viaggiare ha creato sostanzialmente più lavoro per i banchieri junior, indipendentemente da dove lavorano, il che è probabilmente insostenibile dato l’attuale livello di stress lavorativo”, argomenta Richard Ramsden, managing director presso Goldman Sachs.

L’opzione ibrida

Il modello ibrido appare destinato a prendere piede anche in alcune importanti realtà del Vecchio continente. Tra le voci fuori dal coro del back to office a marce forzate c’è Ubs che opterà per un ritorno soft in ufficio permettendo a ben due terzi dei suoi dipendenti di alternare il lavoro a casa e in ufficio. Una scelta che stando a indiscrezioni accreditate potrebbe essere permanente nell’ottica di offrire un modello altamente flessibile nella gestione del luogo in cui svolgere il lavoro e allo stesso tempo mettersi nelle condizioni di attirare i migliori talenti del settore bancario, strappandoli a concorrenti che magari opteranno per un approccio più rigido. Una rivoluzione che dovrebbe riguardare ben i due terzi dei dipendenti, ossia quelli che occupano mansioni adatte al lavoro ibrido.

In Italia a lavorare a un progetto ibrido casa-ufficio c’è Unicredit. Il group operating officer del gruppo, Ranieri de Marchis, ha anticipato che nell’ultimo trimestre dell’anno partirà un progetto pilota di lavoro ibrido che poi dovrebbe andare in pieno regime nel 2022 e che si collocherà dentro i paletti del contratto nazionale che consente sino a 10 giorni di smart working al mese. L’ipotesi è di due giorni a settimana di possibilità di lavoro da casa per personale amministrativo e di sede, mentre i dipendenti delle filiali potranno godere di un giorno a settimana di smart working.
Un progetto che riguarderà anche la ripartizione degli spazi nelle sedi del gruppo guidato da Andrea Orcel. Quindi meno scrivanie in cambio di più spazio per ogni persona e l’aggiunta di più aree comuni.

Cambiamenti che sono monitorati da vicino dai sindacati, con la Fabi (sindacato autonomo dei bancari) che ritiene si tratti di un passo nella giusta direzione a patto che non diventi uno strumento per ridurre i diritti dei lavoratori.
Il rischio, come paventato da Enrico Moretti, professore di Economia dell’Università di Berkeley, è che si arrivi a un nuovo scenario dove i lavoratori a tempo pieno da remoto vengano pagati meno, a seconda della loro posizione (in tal senso si sono mossi colossi quali Google e Facebook).
Proprio il nodo stipendi è un argomento incandescente oltreoceano dopo la rivolta di 13 giovani analisti della divisione investment banking di Goldman Sachs, vittime del cosiddetto burnout, ossia sovraccarico di lavoro con settimane lavorative da 100 ore cadenzate da elevate pressioni. Proteste che hanno innescato una serie di adeguamenti degli stipendi per i giovani banchieri da parte non solo di Goldman Sachs, ma di diverse tra le maggiori realtà finanziare statunitensi a partire da JPM.