Società

ARMI FINANZIARIE
DI DISTRUZIONE
DI MASSA

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Lo sviluppo di strumenti finanziari sempre più complessi e sofisticati ha costituito il propellente per la crescita impetuosa dei mercati finanziari globali. Da quando nei primi anni ’70 due economisti dell’Università di Chicago, Black e Scholes, scoprirono la formula per calcolare il prezzo delle opzioni, il mercato dei derivati su azioni, valute, tassi di interesse, materie prime e quant’altro ha conosciuto un continuo boom.

Negli ultimi dieci anni il volume dei derivati (così chiamati perché il loro valore “deriva” da quello del titolo cui fanno riferimento) trattati nei mercati mondiali è cresciuto in media del 17% all’anno. E negli ultimi anni il trend si è impennato. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, tra il dicembre 2000 e il giugno 2003 il valore di mercato dei derivati scambiato è passato da 3000 a 8000 miliardi di dollari. Di questi la parte del leone l’hanno fatta i derivati sui tassi di interesse che sono cresciuti da circa 1300 miliardi di dollari a oltre 5000.

Fino a non molto tempo fa era opinione dominante che la maggiore sofisticazione e la maggiore disponibilità di strumenti finanziari costituisse un elemento positivo per la stabilità del sistema finanziario. Volendo semplificare, le opzioni, i futures, gli swaps ecc. possono essere considerati dei contratti di assicurazione contro la volatilità dei mercati o contro particolari eventi e quindi aiutano a diversificare i rischi in modo più efficiente. Di recente Greenspan ha sottolineato che l’introduzione di strumenti derivati ha accresciuto la flessibilità del sistema economico e la capacità dei mercati finanziari di superare senza traumi le fasi negative del ciclo.

Ma il consenso su questa visone rosea si era già incrinato quando nel 1998 il fallimento del fondo speculativo Long Term Capital Management mise in crisi la stabilità del sistema finanziario.
Ulteriori dubbi furono innescati dal crack Enron che proprio sui derivati aveva costruito la propria parabola. Anche da ambienti non sospettabili di umori anticapitalistici sono arrivate bordate pesanti. Per esempio Warren Buffet il più stimato finanziere americano ha parlato di «armi finanziarie di distruzione di massa» e Bill Gross, capo di PIMCO, uno dei fondi di gestione più grandi e prestigiosi si è unito alla critica. Non si tratta di illustri casi isolati: un sondaggio condotto dal Centre for the Study of Financial Innovation indica che la maggior fonte di preoccupazione per i banchieri internazionali è proprio la complessità degli strumenti finanziari.

A questo punto occorre una precisazione. Gli strumenti derivati hanno caratteristiche molto diverse. Tra i più diffusi sono le semplici opzioni per acquistare o vendere azioni (o indici azionari), valute o materie prime a un certo prezzo entro una certa data. I mercati dove vengono scambiati sono molto liquidi, spesso le transazioni si effettuano in mercati borsistici ben regolamentati e le clausole contrattuali sono chiare.. Quindi in linea generale si può dire che la loro introduzione è stato un elemento positivo per il sistema finanziario e per le imprese.

Le paure riguardano invece una gran massa di contratti scambiati over the counter, cioè al di fuori di mercati regolari, creati da intermediari finanziari ad hoc per soddisfare le manie speculative dei clienti e quasi sempre poco liquidi. In questo caso le preoccupazioni sono giustificate per due ordini di motivi.
In primo luogo le teorie economiche e i calcoli statistici su cui si basano le valutazioni dei derivati hanno un legame piuttosto tenue con la realtà. Il calcolo del rischio viene fatto con modelli che spesso sottostimano la probabilità di eventi inusuali o di eccezionale gravità.

Questi modelli sostanzialmente estrapolano il futuro analizzando un campione di dati passati. Però i molteplici rischi cui sono sottoposti i mercati sono il risultato di fenomeni la cui natura è sfuggente e le attuali conoscenze matematiche e statistiche non ne consentono una stima accurata. In secondo luogo gli operatori spesso non hanno un quadro preciso delle loro esposizioni perché i contratti contengono clausole insidiose celate da formulazioni oscure.

Al di là dei tecnicismi possiamo dire che il beneficio della diversificazione si materializza solo se la reale portata dei rischi è correttamente valutata da tutti gli attori coinvolti. Il caso Parmalat offre un esempio paradigmatico. In almeno un caso una banca che prestava i soldi a Tanzi si è cautelata contro il rischio di bancarotta attraverso dei “derivati su crediti”. Questi strumenti consentono di riottenere l’intero ammontare prestato in caso l’azienda fallisca. Non si sa bene chi sia stata la controparte di tale transazione. Immaginiamo che la controparte fosse una compagnia di assicurazione, istituzioni cui spesso le banche commerciali si rivolgono per acquistare questi derivati sui crediti.

C’è da chiedersi che competenze e che risorse umane abbia un’assicurazione per analizzare i bilanci della Parmalat o di qualsiasi altra azienda. In altre parole è lecito il sospetto che alcune patate bollenti vengano proditoriamente fatte cadere nelle mani di istituzioni gonfie di soldi e povere di know-how.

Un altro aspetto di cui si parla poco è il fatto che spesso il valore reale delle esposizioni attraverso derivati, secondo i criteri contabili prevalenti, non deve essere riportato in bilancio. La ricerca del profitto, specie in tempi di magra, induce alcune imprese industriali a speculare attraverso derivati, per cui dirigenti, azionisti e analisti hanno solo una vaga nozione delle esposizioni. In un sondaggio sponsorizzato della McKinsey, il 36% dei direttori di grandi società ammette di non capire con chiarezza a quali rischi le loro aziende sono soggette.

In sintesi gli strumenti derivati sono utili per diversificare, ma solo se il calcolo dei rischi è accurato e se l’esposizione viene riportata in modo trasparente nei bilanci. Al momento è dubbio che queste due condizioni siano soddisfatte pienamente. E finché non lo saranno le autorità di vigilanza farebbero bene a non lasciarsi cogliere di sorpresa.

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