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ARGENTINA: CROLLA PREZZO DEI BOND IN DOLLARI

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Con l’ aggravamento a spirale della crisi in Argentina, 20 morti nelle strade e le dimissioni del governo, i mercati finanziari hanno definitivamente perso la speranza di un uscita “morbida” dal problema rappresentato dal debito pubblico che ha ormai superato i 132 miliardi di dollari.

Sono state pesanti infatti le perdite subite in giornata dalle obbligazioni argentine denominate in dollari che rappresentano il 75% del debito in valuta estera.

Il bond trentennale emesso all’ inizio dell’ anno vicino ai 100 centesimi con rendimento facciale del 12% e’ arrivato a quotare 24,26 mentre il bond con scadenza dicembre 2008 e’ sceso fino 25,625 con un rendimento effettivo a scadenza (ormai purtroppo solo teorico) del 49,608%.

Secondo alcuni operatori si tratta si una situazione virtuale di ”default”, il mercato cioe’ tratta i bond argentini come strumenti di un emittente vicino all’ insolvenza. L’ economia e’ dunque considerata al collasso.

La soluzione obbligata che dovra’ prendere il prossimo Governo e’ quella di abbandonare la parita’ del peso verso il dollaro, considerato da molti economisti il vero grande imputato della crisi Argentina.

Teoricamente le scelte per riportare il Paese verso valori della moneta piu’ consoni alle sue reali condizioni economiche sono due.

La prima e piu’ probabile e’ quella di svalutare il peso e di lasciare libero di fluttuare il cambio verso il dollaro. In questo modo la moneta nazionale troverebbe da sola il suo equilibrio permettendo al Paese di ritornare competitivo sul fronte delle esportazioni.

I problemi legati a questa scelta sono dati dall’enorme pressione che si riverserebbe sui Paesi limitrofi come il Brasile e dalla probabile crescita a due cifre dell’inflazione all’interno.

Il fatto che oggi la borsa di Buenos Aires abbia chiuso con un rialzo del 17,5% (indice Merval) dimostra, secondo gli analisti, che gli operatori credono a una svalutazione del peso e preferiscono detenere azioni piu’ che moneta.

La seconda scelta potrebbe essere quella di svalutare solo parzialmente il peso verso il dollaro e poi di abbandonarlo per quest’ultimo.

Questa manovra chiamata “dollarizzazione” darebbe certamente meno problemi rispetto alla prima sul fronte dell’inflazione.

Tuttavia, in una situazione di grande tensione sociale – con le rivolte in strada come in questi giorni – e’ probabile che il prossimo Governo fara’ appello ad una sorta di “orgoglio nazionale” per uscire dalla crisi.

Difficilmente quindi il nuovo esecutivo rinuncerebbe a quello che e’ considerato uno dei principali segni di “sovranita’”: il potere di stampare e battere la propria moneta.