Società

AMERICA, DEMOCRATICA PERCHE’ ILLIBERALE

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Negli Anni Novanta un esperto americano si recò in Kazakistan per una missione sponsorizzata da Washington, quella di aiutare il nuovo parlamento ad abbozzare una legge elettorale. La sua controparte, un membro anziano del parlamento kazako, dopo aver respinto le numerose opzioni illustrate dall’americano, dichiarò: «Vogliamo che il nostro parlamento sia come il vostro Congresso». L’americano inorridì. «Mi sforzai di non pronunciare le tre parole che mi erano venute in mente», raccontò in seguito, «e che, invece, avrei voluto gridare a gran voce: «No, non fatelo!».

Non si tratta di una posizione insolita. In effetti, gli americani tendono a vedere il proprio sistema politico come un ingombrante marchingegno burocratico che nessun altro paese dovrebbe adottare. E il principio ispiratore che sottende la Costituzione americana, evitare di concentrare il potere nelle mani di pochi, è vivo oggi come lo era nel 1789. A dire il vero, però, il Kazakistan sarebbe particolarmente favorito da un parlamento forte come il Congresso americano, capace di porre un freno all’insaziabile appetito del Presidente.

È strano che gli Stati Uniti si facciano tanto spesso paladini di una democrazia allargata. Ciò che contraddistingue il sistema americano non è tanto il suo grado di democraticità, quanto quello di non democraticità, date le innumerevoli forme di limitazione che esso impone alle maggioranze elettorali. Il Bill of Right, dopo tutto, non è che una lista di cose che il governo può esimersi dal fare, a dispetto dei desideri della maggioranza.

Una delle istituzioni cardine dello Stato americano, la Corte Suprema, è guidata da nove persone che non vengono elette democraticamente e che mantengono la loro carica a vita. Il Senato degli Stati Uniti è la camera meno rappresentativa del mondo, con la sola eccezione della Camera dei Lord, assolutamente priva di potere e tutt’altro che stabile. Ogni Stato americano, infatti, invia due senatori a Washington D.C., a prescindere dal numero dei suoi abitanti. Così i trenta milioni di cittadini della California hanno diritto in Senato allo stesso numero di voti dei quattro milioni scarsi dell’Arizona: non si può certo dire che sia rispettato il celebre principio «un uomo, un voto».

Nelle amministrazioni locali e in quelle dei singoli Stati, a essere determinante non è il potere del partito di maggioranza ma la protezione accordata al partito di minoranza, o addirittura a un singolo legislatore. E fondamentale, poi, in tutta la società americana, è il ruolo delle imprese private e di altri gruppi non governativi – quelle che Alexis de Tocqueville chiamava «associazioni intermedie». Proprio il ricco tessuto della società civile americana è stato fondamentale nel determinare il carattere della sua democrazia.

Oggi, tuttavia, esso si sta progressivamente assottigliando e sta dando vita a una varietà di democrazia illiberale squisitamente americana. I problemi degli Stati Uniti sono ovviamente diversi e molto meno gravi di quelli cui devono far fronte i paesi del Terzo Mondo, ma per molti versi li richiamano. In America, l’autorità della legge e i diritti civili sono tuttora fermamente riconosciuti. Le restrizioni meno formali, tuttavia, che costituiscono il nucleo della democrazia liberale, stanno via via scomparendo.

Numerose istituzioni politiche e sociali – partiti, corporazioni di professionisti, club e associazioni -, la cui struttura è decisamente antidemocratica, sono oggi minacciate da un’ideologia che giudica il valore di ciascuna idea o istituzione in funzione del suo grado di democraticità. Il potere è distribuito nel modo più ampio possibile? Tali istituzioni sono, in altre parole, il più democratiche possibile? Il Congresso degli Stati Uniti, democratico per definizione, ha sempre funzionato in modo gerarchico e chiuso, incurante delle pressioni esterne. Ora si è trasformato in un corpo trasparente, aperto alle opinioni e alle pressioni dei suoi membri. E’ diventato più responsabile, più democratico e più inefficiente.

I partiti politici americani, che oggi non sono che mere organizzazioni di propaganda, non svolgono più, nel processo elettorale, la loro storica funzione di selezionatori e arbitri. Visto il ruolo predominante delle elezioni primarie e secondarie, i partiti non sono che contenitori vuoti da riempirsi con l’ideologia più in voga al momento – neoliberista, conservatrice eccetera. L’élite professionale americana, composta principalmente da avvocati, un tempo una sorta di aristocrazia locale con doveri e responsabilità verso la città e i cittadini, oggi ha perso prestigio e autorevolezza e si è trasformata in un gruppo di ansiosi traffichini. I medici, i contabili e i bancari hanno subìto la stessa sorte. Le forze che guidavano la democrazia si stanno rapidamente consumando.

Sono state rimpiazzate dai sondaggi. Gli storici che scriveranno di questi nostri tempi saranno sicuramente colpiti dalla nostra ostinazione nel tastare di continuo il polso della gente. I politici, le corporazioni e i giornalisti spendono tempo, denaro ed energie nel tentativo di prevedere l’orientamento dell’opinione pubblica su qualsiasi argomento, dalla previdenza sociale alla vita dopo la morte, alle bibite gassate. In realtà è una corsa a chi per primo si inginocchia di fronte a essa. Gli esperti di sondaggi sono i moderni indovini e interpretano il rilevamento dell’opinione pubblica con la stessa gravità con cui i loro predecessori leggevano le interiora dei polli.

Certo, anche i sondaggi possono essere ambigui, le persone possono cambiare opinione – cosa che capita, di tanto in tanto, – e a quel punto non resta che inseguire le nuove tendenze. Così l’uomo d’affari che è stato considerato un genio nel 2000 diventa un poco di buono nel 2002. Newt Gingrich, l’artefice del successo dei repubblicani alle elezioni del 1994, dopo un anno era già diventato un estremista confusionario. Quando Bill Clinton era presidente, la sua immagine era ora quella di una canaglia, ora quella di una leggenda politica. In questa frenetica corsa la sola costante è il rituale omaggio al popolo americano.

«Gli americani non sono stupidi» ripetono senza tregua i politici, anche quando devono spiegare il fatto che la gente continua a pretendere tasse più basse e sussidi governativi più consistenti. «Il popolo americano vuole sapere» dice un politico, sebbene sia forse il solo a essere interessato alla risposta. «Abbiamo dato ascolto al popolo americano» dichiara un altro, come se stesse annunciando un’apparizione divina. Se viene ascritta al popolo americano, l’asserzione di un luogo comune ha oggi la forza di una rivelazione biblica.

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