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(WSI) – Un anno fa minacciava di utilizzare il prezzo del barile come
arma politica. Oggi batte in ritirata e afferma: «Possiamo sopravvivere
anche con il petrolio a cinque dollari». Il presidente
iraniano Mohmoud Ahmadinejad si conferma uomo avulso alle
mezze misure. Messo alle strette dagli economisti dell’Fmi
ha ribattuto: «Così come la crisi bancaria mondiale non ha avuto
impatto sull’economia dell’Iran, tanto meno lo avrà la caduta
del prezzo del petrolio».
Di tutt’altro avviso sono gli economisti
di mezzo mondo. A partire, appunto, da quelli di Washington
che, in agosto, affermavano: «Con il barile al di sotto dei
75 dollari, il Paese rischia di accumulare un deficit di bilancio
insostenibile, visto il suo isolamento finanziario». Ancora più
scettico Mohsin Khan, un economista di Citigroup, che ha fissato
a quota 90 dollari al barile la soglia «garanzia» che assicura
alle autorità iraniane la parità di bilancio (prezzo di break-
even). Difficile dire se abbiano ragione.
Quel che è certo è
che il crollo delle quotazioni del greggio metterà a dura prova
le finanze pubbliche dei grandi esportatori medio-orientali. Oltre
all’Iran, tra i più vulnerabili compare l’Iraq – Khan fissa il
prezzo di break-even addirittura a quota 110 dollari al barile,
mentre quello di Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti
dovrebbe aggirarsi intorno ai 58 dollari. Infine, secondo gli
esperti dell’Institute of International Finance, Bahrain e
Oman avrebbero un prezzo di pareggio pari, rispettivamente, a
72 e 76 dollari al barile. Visto il recente crollo del greggio al di
sotto dei 50 dollari, qualora avessero ragione, chissà che anche
gli sceicchi non siano costretti a stringere la cinghia.
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