Economia

Addio curva di Phillips, inflazione “divorzia” dall’occupazione

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Potrà sembrare una questione puramente tecnica, eppure la scomparsa della curva di Phillips potrebbe rivelare qualcosa di molto importante sul com’è cambiata l’economia e la distribuzione dei redditi negli ultimi anni. Con questo concetto viene tradizionalmente descritta la relazione diretta tra occupazione e inflazione: se cresce il lavoro, viene osservato, cresce anche l’inflazione; se, al contrario la disoccupazione è alta, sarà inferiore l’aumento dei prezzi. Dal 1995 questa relazione, un tempo ben visibile, è pressoché scomparsa, come evidenza una carta dell’Economist (in basso) nella quale la curva più in basso rappresenta, con la sua piattezza, il deterioramento della relazione occupazione-inflazione nelle economie avanzate.

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Cosa significa? Una possibilità è che, anche in condizioni di scarsità di lavoratori per via dell’alta occupazione, si siano ridotte le possibilità di chiedere salari maggiori; oppure, che la competizione globale renda difficile alzare i prezzi anche quando la domanda interna cresce in modo sostenuto. Nel primo caso si parlerebbe di un indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori, nel secondo di una difficoltà che grava maggiormente sulle imprese. Non è detto che non possano contribuire entrambi i fattori. Il dato accertato, emerso da uno studio dell’ex capo economista del Fmi Olivier Blanchard, è che rispetto agli anni ’70 la capacità che un crollo nella disoccupazione americana alzi l’inflazione è ridotta a meno di un terzo.
Esclusa la possibilità che l’inflazione sia prodotta dal rincaro dei beni importati (eventualità che non sarebbe in nessun caso ascrivibile alle dinamiche descritte dalla curva di Phillips), l’implicazione di policy è che mantenere i tassi bassi a lungo non costituisce un grosso problema per le banche centrali. Anche se ci sono segnali di rialzo dei salari negli Usa e nel Regno Unito le aspettative sull’inflazione restano contenute.