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Abrogazione Glass-Steagall Act e moral hazard, dove poggiano radici crisi

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Il Glass-Steagall Act del 1933 fu la risposta del Congresso degli Stati Uniti alla crisi finanziaria iniziata nel 1929 che, proprio all’inizio del 1933, mise in ginocchio numerose banche americane. Essa mirava ad introdurre due misure per contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari e prevenire le situazioni di panico bancario.

La prima misura fu quella di istituire la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) con lo scopo di garantire i depositi e prevenire eventuali corse allo sportello; la seconda prevedeva l’introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento.

In base alla legge Glass-Steagall, le due attività non poterono più essere esercitate dallo stesso intermediario, realizzando così la separazione tra banche commerciali e banche di investimento.

La ratio di quest’ultimo provvedimento era quella di evitare che il fallimento dell’intermediario comportasse ache il fallimento della banca tradizionale: in questo modo si impediva di fatto che l’economia reale fosse direttamente esposta al pericolo di eventi negativi prettamente finanziari e speculativi.

Infatti fu proprio per via della sua abrogazione, avvenuta nel 1999 sotto la presidenza Clinton e che avvenne senza alterare le disposizioni inerenti la FDIC, che nella crisi del 2007 si verificò esattamente lo scenario che la legge Glass-Steagall evitava: l’insolvenza nel mercato dei mutui subprime, iniziata nel 2006, ha scatenato una crisi di liquidità che si è trasmessa immediatamente all’attività bancaria tradizionale, data la commistione di quest’ultima con l’attività di investimento (in questo caso immobiliare).

L’abrogazione della legge tramite queste modalità diede il via libera a quello che nel linguaggio assicurativo prende il nome di moral hazard (azzardo morale), cioè la percentuale di probabilità che un determinato evento coperto da assicurazione si verifichi, a causa della mancanza di attenzione posta nel prevenirlo da parte di chi ha stipulato il contratto assicurativo.

Tolta la distinzione tra tipologie di banche ma mantenuta intatta la FDIC, è chiaro che le banche si sentirono libere di fare investimenti con minor prudenza, proprio perché forti dell’assicurazione sui depositi garantita dal governo. A maggior ragione nel caso in cui si trattasse di banche particolarmente grosse (le famose “Too Big To Fail“, ovvero troppo grandi per fallire), che i governi lascerebbero fallire in condizioni davvero remote, per evitare l’enorme dissesto che si creerebbe.

Nasce quindi in quel momento del 1999 segnato dall’era Clinton la spinta ultrafinanziaria che caratterizza lo scenario attuale e che ha generato le peculiarità negative della crisi.

Sono in molti a chiedersi come mai non venga reintrodotta una legge prevedente la distinzione tra istituti bancari tradizionali e di investimento (In Italia la proposta è già stata lanciata dall’economista Nino Galloni). In questo modo, ognuno potrebbe decidere dove mettere i propri soldi sapendo le modalità con cui opera ogni istituto bancario e si arginerebbe notevolmente il fenomeno della speculazione, come molti problemi di default bancari che vanno a ricadere sui correntisti: si vedano infatti a tal proposito il recente decreto salva banche ed il bail-in.

Diceva Honoré de Balzac: “Non è scandaloso che alcuni banchieri siano finiti in prigione; scandaloso è che tutti gli altri siano in libertà”.

Se la legge è stata, prima, abrogata lasciando inalterata la FDIC ed in seguito, neanche col senno di poi, si è pensato ad una sua reintroduzione, significa che qualcuno ha delle convenienze più grandi dei dissesti che crea.

“La finanza è l’arte di far passare i soldi di mano in mano, finché non scompaiono” (Robert W. Sarnoff).