Economia

Sull’altare Mps il sacrificio di obbligazionisti e azionisti

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MILANO (WSI) – Una domenica di lavoro per il cda del Monte dei paschi di Siena che si è riunito ieri pomeriggio per portare avanti l’operazione di aumento di capitale. Negli ultimi giorni si sono fatti più insistenti i rumor secondo cui la Vigilanza europea che opera all’interno della Bce non concederà i 20 giorni di tempo in più richiesti per cercare investitori internazionali per coprire la ricapitalizzazione da 5 miliardi di euro, onde evitare così di chiedere gli aiuti di Stato.

Rumor di fronte a cui la stessa Bce ha mostrato un certo nervosismo e si dice pronta ad aprire un’inchiesta formale per risalire ai responsabili che hanno messo in giro le indiscrezioni.

Il cda del Monte ha deciso di riaprire la conversione dei 2,1 miliardi di bond subordinati a scadenza 2018, quelli che sono nei portafogli degli investitori più piccoli e meno esperti, esclusi nella prima finestra di conversione per motivi di adeguatezza dei profili Mifid.

Come scrive Repubblica infatti:

“Il piano prevedeva la conversione obbligatoria dei bond in azioni: la trasformazione della natura dell’investimento avrebbe appunto generato problemi rispetto ai vincoli imposti dalla Mifid. Per questa ragione, soltanto i grandi investitori sono stati ritenuti abili ad aderire all’offerta”.

Però per coinvolgere i piccoli obbligazionisti serve un placet ulteriore da parte della Consob che potrebbe chiedere un supplemento di prospetto e l’autorizzazione appare difficile prima che non sia stata inoltrata la formale lettera di diniego della Bce alla proroga di 20 giorni.

Il corso degli eventi per Mps potrebbe nuovamente cambiare con l’approvazione prevista entro metà settimana del decreto del governo per fare da scudo al mondo del credito. Lo schema del provvedimento al quale lavora il Tesoro è sostanzialmente pronto. Come riporta La Stampa il decreto dovrebbe vedere la luce nella seconda parte della settimana, prima o dopo il Consiglio europeo di giovedì e dopo la comunicazione formale della Bce del no alla proroga per la banca senese.

Cosa accadrà ai rispamiatori

Ma chi pagherà realmente il conto per il salvataggio del MPS?

Sono tre gli scenari aperti secondo quanto scrive Il Giornale.

“Il primo, è quello più indolore per i piccoli risparmiatori perché a pagare sarà soprattutto il mercato. Se il piano «A» dei vertici del Monte andrà in porto entro il 31 dicembre a far uscire dal tunnel la banca senese saranno gli investitori privati che decideranno di puntare su Rocca Salimbeni. Anche in questo caso però il cosiddetto retail che ha in portafoglio obbligazioni subordinate della banca senese dovrà dare il suo contributo (…) Seconda ipotesi: in caso di fallimento della prima sarà lo Stato ad aprire il paracadute pubblico. Il Tesoro, già azionista con il 4% di Mps, potrebbe comprare 2 miliardi di euro in azioni acquistando bond junior che lo farebbero salire nel capitale del Monte fino a controllare l’istituto (…) Terza soluzione è il bail in. Ovvero la risoluzione della banca senese con le nuove regole in vigore dallo scorso gennaio, il cui impatto è stato stimato da Mps in 13 miliardi di euro. I 5 milioni di correntisti del Monte, parteciperebbero al riparto delle perdite previste solo per la parte eccedente i 100 mila euro.Se il conto è cointestato la cifra si intende per ciascun intestatario. Ad esempio nel caso di due persone sale a 200mila euro. Insomma, in caso di fallimento, i correntisti più «ricchi» possono essere chiamati a coprire le perdite per la somma che supera i fatidici centomila euro, ma solo dopo gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati. I titoli di questi ultimi verrebbero azzerati. E sarebbero coinvolti anche i titolari di bond ordinari e senior.

Il Giornale continua:

“E gli azionisti? Quelli del Monte sono circa 150mila, tra cui moltissimi «piccoli». Per chi ha azioni Mps in tasca da più di sedici mesi, la perdita di valore supera il 90%. Nel caso di un bail in i titoli azionari vengono azzerati. Al momento, però, le ipotesi di salvataggio sul tavolo non prevedono l’ipotesi del fallimento. In caso di intervento dello Stato, sia che questo avvenga nell’ ambito della legge europea sia che il governo decida di andare incontro ad una procedura di infrazione, gli azionisti potrebbero andare incontro a ulteriori diluizioni e deprezzamenti”.

Cosa accadrà ai rispamiatori

Così scrive Market Insight, riferendosi alle parole proferite da Marco Morelli, amministratore delegato di Mps-.

“Siamo in una fase cruciale della storia della nostra banca, ma qualunque sia l’esito di questo passaggio, torneremo a rivestire e ad avere ruolo importante nel mercato italiano”. Stando a Market Insight “il mercato sta dando credito alla scommessa dell’istituto, nonostante i numerosi elementi che paiono giocare in senso avverso. I titoli dell’istituto segnano alle 10:50 un rialzo dell’8,05% a 21,07 euro. In calo, ma senza crollo, i bond subordinati Upper tier II 2008-2018, quelli in mano al retail oggetto della nuova offerta, in attesa del via libera della Consob. Sulla piattaforma di Mps capital services quotano a un prezzo denaro-lettera di 51-53 euro, mentre alla vigilia dell’assemblea del 24 novembre segnavano un prezzo di 59,5. Durante la seduta del 9 dicembre Mps capital services, che garantisce la liquidabilità dei titoli con operazioni di acquisto e vendita, aveva comprato titoli per un controvalore di 2,8 milioni a un prezzo medio del 52,40% sul nominale. I piccoli investitori che possiedono i subordinati di Mps con scadenza 2018 si trovano ad affrontare scelte non facili. Vendere i bond ora, realizzando una minusvalenza, ma eliminando ogni incertezza. Oppure attendere lo sviluppo degli eventi, che potrebbero portare all’avvio si ultimo tentativo di soluzione privata o all’intervento dello stato. Nel primo caso i detentori dei subordinati potrebbero aderire all’offerta della banca di acquisto dei bond al 100% del nominale, quindi a condizioni favorevoli, ma trasformerebbero il proprio status in azionisti con i rischi connessi. Nel secondo caso il ricorso a denaro pubblico implicherebbe la regola del burden sharing, che imporrebbe ai possessori delle obbligazioni subordinate la conversione in azioni a condizioni che ora non sono conosciute, ma meno convenienti dell’offerta volontaria. Per alcuni dei privati, che rientrano nei parametri stabiliti dalla Mifid, potrebbe poi palesarsi l’ipotesi di un risarcimento i cui termini e soprattutto i cui tempi non sono noti”.