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Petrolio: patto tra Russia e sauditi infiammerà guerra in Siria

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NEW YORK (WSI) – Anche se il portavoce del Cremlino ha negato che l’accordo sul petrolio stretto tra Russia e Arabia Saudita per congelare i livelli di produzione sia una vicenda che non ha nulla a che fare con la Siria, l’intesa minaccia di infiammare ulteriormente la guerra civile nel paese mediorentale.

Il patto stretto questa settimana tra le due potenze mondiali ha l’obiettivo di calmierare le speculazioni al ribasso contro le quotazioni del greggio sui mercati ma nasconde in realtà un secondo fine secondo gli esperti internazionali, quello di reperire finanziamenti preziosi dai ricavi petroliferi per poter aiutare le rispettive fazioni rivali nel conflitto siriano.

Mosca sostiene il governo sciita bahatista di Bashar al-Assad, mentre i sauditi finanziano e addestrano i ribelli anti governativi sunniti, compresi gruppi estremisti e terroristi come il Fronte al-Nusra e l’ISIS.

Insomma, i tentativi disperati di mettere un freno alla discesa dei prezzi del petrolio potrebbero finire per infiammare ulteriormente la guerra civile che in quattro anni nel 2015 aveva già fatto 250 mila vittime.

Come dice a Bloomberg Jamie Dorsey, professore di studi internazionali alla Nanyang Technological University di Singapore “il colmo è che se l’accordo tra Russia e Arabia Saudita ottiene il risultato di stabilizzare o aumentare il prezzo del petrolio, entrambi i paesi avranno fondi extra a disposizione per finanziare la guerra per procura“, in un momento in cui sauditi e turchi hanno minacciato di intervenire militarmente sul terreno.

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Le forze filo governative della Siria, sostenute da russi iraniani, hanno circondato i ribelli ad Aleppo.

Sauditi e turchi non possono permettersi di perdere Aleppo

La Turchia teme per l’espansione e il rafforzamento dei ribelli curdi, nemico giurato di Ankara, e ha già minacciato di inviare truppe in Siria se gli Stati Uniti dovessero lanciare una campagna militare contro l’ISIS. Proprio oggi un attentato sanguinolento ha colpito la capitale turca facendo quasi una trentina di morti: pare sia opera di curdi siriani legati al Pkk, gruppo eversivo separatista che il governo turco definisce terrorista.

Ryihad non è nuova a offensive militari in terra straniera, come in Yemen dove combatte contro le milizie anti governative Houti di matrice sciita. Mosca, da parte sua, è alleata di Iran e Hezbollah in Siria a fianco del regime di Assad, uno dei pochi alleati rimasti ai russi nella polveriera mediorientale.

La settimana scorsa l’Arabia Saudita ha inviato aerei da guerra in Turchia, un paese che a novembre ha abbattuto un jet dell’aviazione russa vicino al confine siriano per una presunta violazione dello spazio aereo.

Per ora l’amministrazione Obama ha evitato il confronto militare diretto in Siria contro le forze del presidente Assad, che godono della copertura degli aerei militari russi. Proprio la decisione di intervenire direttamente nel conflitto presa da Vladimir Putin sta cambiando il corso della guerra e ha già aiutato il regime a fare grandi passi in avanti verso la riconquista di Aleppo. Perdere la città che un tempo era la più popolosa della Siria sarebbe un brutto colpo per i ribelli sostenuti da sauditi e turchi.

Usa, sauditi e Turchia vogliono tutti che Assad lasci il potere. Secondo Dmitry Peskov, portavoce del presidente russo, l’accordo sul petrolio firmato da sauditi e russi difende semplicemente un interesse comune. “Sono questioni distinte”, ha precisato ai giornalisti ieri.

In ogni caso non è detto che l’intesa ottenga i risultati sperati. La maggior parte degli analisti è scettica sull’effetto che il congelamento dei livelli di produzione possa avere sulle quotazioni del petrolio che devono fare i conti con speculazioni al ribasso e con un’offerta in eccesso, vicina ai massimi storici. Anche se gli altri principali produttori di greggio dovessero partecipare – e l’Iran e l’Iraq non sembrano voler cedere su questo punto – difficilmente il valore dell’oro nero salirebbe.

Teheran in particolare non ha intenzione di rinunicare a riguadagnare quote di mercato proprio adesso che è tornata a riaffacciarsi sul mercato dopo anni perduti a causa delle sanzioni economiche internazionali. Per la Repubblica Islamica è un modo di vendicarsi contro gli Stati Uniti, che stanno pagando caro – a suon di default delle sue aziende petrolifere e attive nel gas di scisto – il crollo a candela dei prezzi del petrolio. A giugno 2014 il contratto Wti scambiava a quasi 110 dollari al barile, ora ne vale meno di $30.

Fonte: Bloomberg