di Dino Crivellari (avvocato) Avvocato presso lo Studio legale Crivellari & Partners.

Condono bancario utile per tutti. C’è anche precedente

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I crediti deteriorati delle Banche in Italia ammontano a circa 360 miliardi. Di questi poco meno di 200 miliardi sono sofferenze. “Sofferenza “vuol dire che è altamente probabile che la banca creditrice non riuscirà a recuperare gran parte del credito. Infatti le banche hanno già svalutato questi 200 miliardi per circa 120 miliardi. Il valore netto nei bilanci è quindi di 84 miliardi circa. Queste sofferenze rendono poco efficiente e vulnerabile il nostro sistema bancario, i cui corsi di borsa difatti soffrono da anni, ed in particolare in questo 2016 durante il quale sono crollati, esponendolo a gravi rischi compreso quello di essere “colonizzato” dalla finanza straniera.

In tanti dicono che l’unico modo per salvare il Sistema è che le banche si alleggeriscano dalle sofferenze cedendole sul mercato dei NPLs (crediti deteriorati) invece che gestirle in prima persona come normalmente si fa.

In questo momento ICCREA, Unicredito, MPS, banche venete ecc. stanno organizzando operazioni di cessione di sofferenze per circa 50 miliardi (1/4 del totale).

Chi è disposto a comprare?

I fondi anglossassoni liquidi e “avidi”, che offrono però prezzi molto bassi perché corrono il rischio e comunque vogliono guadagnare a tassi di rendimento tra il 10 ed il 20%.

Proviamo a fare un esempio, in gran parte puramente teorico. Ipotizziamo che le banche italiane vendano tutti insieme i 200 miliardi di sofferenze: potrebbero spuntare un prezzo che va dai 20 ai 40 miliardi. Poiché in bilancio li valutano più o meno 80 miliardi, perderebbero tra i 60 ed i 40 miliardi. Ne deriverebbe che le banche dovrebbero ricapitalizzarsi (cioè vendere proprie azioni nuove ai risparmiatori) almeno per la stessa cifra. In questo momento ricapitalizzarsi è molto difficile perché con i tassi sotto zero le banche guadagnano molto poco e quindi i loro dividendi sono magri e non “conquistano” nuovi investitori. Insomma è un cane che si morde la coda.

Sorge quindi spontanea una domanda: ma se le banche ritengono di recuperare soltanto 80 miliardi dei 200 miliardi, perché continuano a pretendere dai loro debitori 200 miliardi? Perché non offrono ai singoli debitori di pagare ciascuno la propria quota di debito di quegli 80 miliardi e chiudono la partita? Perché non promuovono un “condono bancario”?

Alcune eccezioni:

  1. 1. non tutti i debitori sono disposti o in grado di pagare la loro quota di 80 miliardi, perché non hanno a disposizione quel denaro o provano a sottrarsi all’obbligo! Se così fosse, e se questo fosse vero anche in prospettiva, gli accantonamenti delle banche (120 miliardi su 200 miliardi) sarebbero insufficienti e se fossero insufficienti i loro bilanci non sarebbero veri. Possibile, ma improbabile. In ogni caso il ragionamento ai fini del condono non cambierebbe. Varrebbe solo per quelle posizioni per le quali le banche registrano un valore netto di bilancio corrispondente alla capacità restitutoria del debitore. Abbiamo motivo di ritenere che siano la maggioranza.
  2. Il condono potrebbe indurre altri debitori a non pagare, aspettandosi che prima o poi venga offerta la stessa possibilità anche a loro. Questo è un fattore molto critico e determinante: abituare i debitori a non dover pagare i debiti è certamente pericoloso. Tutto il sistema creditizio, che è basato sulla fiducia tra banca e cliente nel rispetto di reciproci obblighi, potrebbe esserne scosso.

Forse però questo è meno vero di quanto si possa temere. In Italia abbiamo visto fare condoni fiscali con una certa, inopinata, frequenza, non per questo la maggioranza dei contribuenti ha smesso di pagare le tasse!

Lo Stato, incapace di far pagare le tasse, quando ne ha avuto bisogno, ha fatto i condoni. Chi ne ha beneficiato? Gli evasori. Ma il condono fiscale, si sa, è controindicato se dal giorno dopo l’efficienza nel perseguire gli evasori non migliora e se le sanzioni per chi non ha aderito al condono non sono talmente severe da far preferire, all’evasore, il condono al rischio della sanzione aggravata.

Per le banche questo rischio sarebbe minore, perché nella maggior parte dei casi i debitori insolventi non sono mancati pagatori volontari (come del caso della stragrande maggioranza degli evasori fiscali) ma imprese o privati cittadini che “non ce la fanno” perché la crisi ha sconvolto la nostra economia da quasi un decennio.

E ‘ quindi altamente improbabile che il “moral hazard” del cattivo pagatore si diffonda anche a quelli che ce la farebbero a pagare, se non altro perché la banca non è tenuta a finanziare imprese e privati se non sulla base della propria oculata e professionale disponibilità al rischio e imprese e privati hanno bisogno del finanziamento bancario per far crescere le aziende o comprare casa.

Lo Stato, invece, per quanto inefficiente nel far pagare gli evasori, non può, di massima, non erogare anche agli evasori i servizi pubblici che vengono finanziati con il gettito fiscale cui l’evasore dolosamente si sottrae.

Quindi la Banca si può proteggere meglio dalle conseguenze psicologiche diffuse, teoricamente indotte da un eventuale “condono bancario”. E d’altra parte il “condono” di cui stiamo parlando sarebbe un evento eccezionale, dovuto alla eccezionalità del momento, conseguente alla eccezionalità di una crisi profonda e di lungo periodo. Non ripetibile, né prorogabile.

Nell’ipotesi fatta, ammesso che tutti i debitori possano far fronte al loro debito nella misura ridotta già riflessa nei bilanci delle banche post 120 miliardi di accantonamenti, il sistema avrebbe degli enormi benefici:

  • le banche azzererebbero le sofferenze con conseguente risparmio anche degli ingenti costi legali;
    diminuirebbe il bisogno di aumenti di capitale;
  • i corsi azionari delle banche migliorerebbero con benefici diffusi anche perché, senza le maggiori perdite da cessione, le banche non dovrebbero aumentare gli accantonamenti sui crediti in bonis;
  • alcuni milioni di imprese e cittadini, alleviati dall’ossessione dei debiti bancari che non possono più pagare, potrebbero tornare a vedere il futuro con ottimismo, a far ripartire le loro aziende, ad aumentare i loro consumi ecc. Tutto a beneficio del PIL e della ripresa;
  • si chiuderebbero decine di migliaia di contenziosi, dando respiro al nostro sistema giudiziario in affanno.
    ecc. ecc.

Insomma i benefici sarebbero ben maggiori dei rischi di “mal educare” i clienti della banca a non onorare il debito. D’altra parte, non neghiamocelo, negli anni antecedenti alla crisi, il “moral hazard” ha caratterizzato proprio molte banche che hanno ridotto imprudentemente la severità dei criteri di selezione del rischio, iperfinanziando imprese e privati cittadini spesso oltre il dovuto, ammaliate, le banche, dalla teoria dell’ “originate and distribute” cioè: “ eroga fidi, assumi il rischio e poi lo cedi sul mercato finanziario attraverso le cartolarizzazioni”. Ormai lo abbiamo imparato: le cartolarizzazioni forsennate sono all’origine della grande crisi 2007/2008. Lo dicono anche gli economisti liberisti americani!

Insomma se oggi le banche soffrono per 200 miliardi di sofferenze, in parte è anche colpa loro ed è equilibrato che ne facciano in qualche modo le spese, ma non per questo debbono essere sconvolte da perdite che sono la conseguenza di una crisi sistemica. Nessuna economia si può permettere un sistema bancario inefficiente!

Conclusa la campagna “condono” e liberatesi dalle sofferenze, le banche potrebbero tornare a fare il loro mestiere di erogatrici di credito con criteri ben più selettivi di quelli adottati prima della crisi, erogando finanza alle imprese meritevoli e non (come stanno facendo in modo ancora non marginale) alle imprese già in crisi per dare ossigeno ai moribondi piuttosto che energia finanziaria alle aziende del futuro, spesso al solo scopo di procastinare i passaggi a sofferenza del cliente per esigenze di bilancio.
Insomma il “condono bancario” potrebbe essere un toccasana.

L’alternativa è di cedere i NPLs ai fondi speculativi con le seguenti conseguenze:

  • i fondi comprano a meno della metà del loro valore post svalutazione le sofferenze delle banche: 20, max 40, miliardi contro il valore netto di bilancio di 80.
  • Le banche registrano perdite tra i 40 e i 60 miliardi, non trovano sottoscrittori per i necessari “rispristini di capitale”, quindi aumentano la loro inefficienza come intermediari e non possono finanziare l’economia meritevole e quindi la ripresa economica del Paese.

Rischiano, tra l’altro, di doversi ”accorpare“ tra loro mettendo insieme debolezze e non energie, se non addirittura di essere acquistate per quattro soldi da investitori stranieri, per definizione speculativi e comunque certo non “organici” alle esigenze, anche di politica economica, del nostro Paese (tralasciamo qui gli approfondimenti sul tema, ma, se un governo non può contare su un sistema bancario “nazionale”, sarà molto improbabile che riesca a realizzare i suoi progetti, presuntivamente orientati all’interesse dei propri cittadini).

I debitori si trovano di fronte un nuovo creditore, non responsabile della storia del rapporto creditizio e quindi sordo, anzi contro-interessato, a valutare le situazioni caso per caso ed a contestualizzarle. Il nuovo creditore è un fondo speculativo il cui centro di comando è lontano migliaia di chilometri. Non ha nessun interesse agli effetti del fallimento di una azienda rispetto alla filiera o al territorio a cui appartiene perché non ha rapporto alcuno con quella filiera e quel territorio. Non è interessato ad altro che a massimizzare il ritorno dell’investimento, cioè a portare a casa quanto più in fretta possibile il denaro che ha versato alla banca come prezzo di acquisto dei crediti in sofferenza (dai 20 ai 40 miliardi di cui si diceva) e nella misura massima possibile. Qual è la misura massima possibile?

Partiamo da una constatazione. Non è vero che i fondi speculativi sono più efficienti delle banche nelle azioni di recupero: applicano le stesse leggi italiane che usano le banche; utilizzano gli stessi servicer italiani. Non hanno la bacchetta magica! Nella migliore delle ipotesi sono solo più determinati perché i loro uomini seguono policy anglosassoni, hanno sistemi incentivanti più aggressivi, rischiano il posto di lavoro se non portano a casa i risultati. Tutte cose che, volendo, anche le banche italiane potrebbero adottare, e molte lo hanno fatto anche in modo eccellente.

Quindi se le banche non hanno sbagliato a valutare i loro crediti difficili ed hanno correttamente individuato (indovinato) il livello massimo di recupero per ogni singolo cattivo debitore (80 miliardi complessivi nella nostra ipotesi di scuola) i fondi, nuovi proprietari di quei crediti, non potranno portare a casa più di 80 miliardi!

Qual è la differenza? È che, se le banche avessero portato a casa da sé medesime gli 80 miliardi, non avrebbero registrato ulteriori perdite; se i fondi speculativi portano a casa gli stessi 80 miliardi avranno guadagnato tra i 60 e i 40 miliardi che corrisponderanno esattamente alle perdite ulteriori che le banche avranno registrato vendendo le loro sofferenze a 20/40 miliardi.

E’ evidente il vantaggio dei fondi speculativi nell’acquistare i crediti cattivi. Meno evidente quello delle banche specie se raffrontato con le conseguenze benefiche del condono qui ipotizzato.

L’aspetto particolare è però dato dal fatto che, nonostante la determinazione con cui il fondo investitore tenterà in ogni modo di massimizzare il recupero, il debitore potrebbe trovarsi di fronte all’opportunità di ottenere una transazione più favorevole di quella che potrebbe concedergli la banca con il condono, per il semplice motivo che, se il fondo ha pagato 20, quando avrà recuperato 40, avrà già avuto un margine del 100% (enorme!) e quindi potrà essere disposto ad aderire ad accordi transattivi che premierebbero i tempi di recupero a discapito del conseguimento del massimo recuperabile.

In pratica – controintuitivamente – il debitore potrebbe avere un vantaggio: questo sì che è “moral hazard”.

A questo punto risulta evidente come la cessione dei crediti sul mercato dei NPLs sia da valutare criticamente perchè servirebbe quasi esclusivamente a trasferire a fondi speculativi redditi che non derivano dalla produzione di ricchezza, ma sono pagati con le perdite delle banche (cioè, alla fine, di tutti noi cittadini, azionisti,imprese ed Erario).

Un non senso anche perché, se si procedesse con il “Condono bancario”, avremmo solo vantaggi. Estremizzando: se le banche fossero disposte davvero a cedere a 20/40 miliardi quello che hanno in bilancio ad 80 miliardi, il limite inferiore del condono potrebbe spingersi a 20/40. Cioè il debitore potrebbe chiudere la partita in sofferenza pagando il 10% o il 20% del suo debito: le banche avrebbero la stessa perdita, che deriverebbe dalla cessione, ma non avremmo trasferito all’estero un guadagno speculativo (spesso sottratto anche all’Erario italiano) realizzato dai fondi acquirenti.

Tutta teoria? In parte. Più che altro è una semplificazione necessaria per lanciare un dibattito. Anzi, una provocazione! Quanto fin qui scritto è in realtà molto più complicato perché le variabili sono moltissime a cominciare dal fatto che i debitori non sono tutti uguali e che non tutti sono in grado di pagare al tempo 0 la loro quota dei famosi 80 miliardi.

Il condono andrebbe accompagnato da norme severe e dissuasive per il futuro. Sarebbe necessario prevedere modalità coercitive gravi per “punire” chi non aderisse al condono, ecc. Insomma ci sarebbero molte cose cui pensare e strumenti da adottare (v. ultimo paragrafo in basso sull’operatività).

Ma se aderisse al condono (per definizione e per legge volontario) anche solo una parte dei debitori (ipotesi più che realistica), sia pur in misura ridotta, i benefici sarebbero identici anche se di portata minore in proporzione al numero degli aderenti. Ragionamento azzardato? Forse neanche tanto.

Come sempre ci saranno soluzioni intermedie: per esempio le sofferenze non risolte con il condono potrebbero ben essere cedute sul mercato, e così via. Il “condono bancario” qui ipotizzato, però, ha un precedente nella nostra storia recente ed è un precedente di successo.

Condono bancario: c’è un precedente

Nel 2006 l’INPS aveva un problema finanziario molto serio dovuto alla corposa evasione contributiva, specie di alcune categorie. L’INPS lo affrontò “cartolarizzando “ diversi miliardi di crediti contributivi relativi ad alcune centinaia di migliaia di contribuenti irregolari o evasori. Ma si rese subito conto che affidarne la gestione solo a Equitalia non stava dando alcun vantaggio finanziario, nonostante l’aggressività dei metodi dell’esattore pubblico.

Tra le categorie più irregolari nei pagamenti vi erano i contribuenti agricoli che, si diceva, non avessero versato da anni i contributi, coperti da una colpevole tolleranza della politica. I contributi agricoli non versati ammontavano a diversi miliardi e riguardavano alcune centinaia di migliaia di contribuenti, tra aziende agricole e coltivatori diretti.

L’allora Ministro dell’Agricoltura, insieme ad alcune banche e con il coinvolgimento delle associazioni di categoria, organizzò un “condono” che tale non doveva apparire, almeno formalmente, per evitare le spiacevoli conseguenze di origine europea. Fu deciso così che le banche avrebbero comprato quei crediti ad un prezzo prestabilito purché un predeterminato numero minimo di contribuenti versasse entro una data prestabilita il 30% del dovuto.

Nonostante la problematicità di questi crediti contributivi, afflitti da annosissima conflittualità dovuta anche alla complessità regolamentare della materia, l’operazione fu un successo: decine di migliaia di contribuenti accettarono di pagare il condono, consentendo all’INPS di ottenere “cassa” insperata ed in tempi estremamente più brevi di quanto storicamente avvenuto e di quanto preventivato. Naturalmente chi non aderì si trovò a subire le “ganasce“ di Equitalia e a dover pagare tutto o fallire.

Il successo del “condono INPS” dimostra una cosa molto semplice. Se il debitore non è in grado di pagare il dovuto, è inutile e dannoso perseguitarlo per ottenere il 100% del credito. E’ molto più efficiente cercare di capire qual è il suo limite di capacità restitutoria e lavorare con strumenti eticamente, legalmente e professionalmente ineccepibili per raggiungere quell’obiettivo. Cosa che le banche hanno in gran parte già fatto svalutando da 200 a 80 miliardi i loro crediti in sofferenza.

Nel caso del nostro sistema bancario questa strada andrebbe studiata subito e consapevolmente per evitare di tentare di superare il problema con la soluzione peggiore: socializzare le perdite ulteriori delle banche con beneficio dei fondi speculativi. Cosa che in gran parte non accadrà perché il “pricing gap” tra offerta e domanda non si chiude (vedi mia opinione su WSI del 12/7/2016) lasciando il sistema bancario nelle sue attuali difficoltà per chissà ancora quanto tempo.

C’è un altro tema, per me affascinante, che ha però un sapore metagiuridico, ma forse socialmente e politicamente rilevante. E’ corretto, giustificato e utile che il creditore banca accetti di vendere il suo credito ad un valore inferiore a quello che sarebbe disposto ad accettare come pagamento a stralcio del proprio cliente debitore?

Perché se il fondo speculativo compra il mio debito al 10% la mia banca glielo vende, mentre non accetta che io, il suo debitore, paghi il 10% o più del mio debito per “comprare” la sua “quietanza”? Forse la politica è l’unica che può rispondere.

Operatività, alcune ipotesi

 

  1. Sarebbero ammesse al “condono” solo le posizioni con passaggio a sofferenza alla fine dell’anno precedente il lancio del condono

  2. Va fissato un termine ultimo per presentare domanda di condono alla banca

  3. Va fissato il termine entro il quale la banca deve accettare o meno

  4. Per legge chi presenta la domanda non dovrebbe poter compiere atti dispositivi patrimoniali fino alla scadenza del termine di pagamento del condono o a rifiuto motivato della banca

  5. La domanda di condono presentata dal legale del debitore deve contenere una perizia giurata di un collegio di periti indipendenti (elenco del tribunale e assegnazione automatica) sulla consistenza patrimoniale del debitore a valori correnti di liquidazione

  6. La banca deve comunicare formalmente al debitore il valore al netto del suo credito portato in bilancio

  7. Per legge vanno determinate tariffe per legali e periti coinvolti come % del valore netto del credito comunicato dalla Banca. Il costo verrebbe sostenuto al 50% da banca e cliente.

  8. La banca può rifiutarsi di applicare il condono solo se la consistenza patrimoniale del debitore, come da perizia giurata, è superiore del 10% al valore netto del bilancio del credito

  9. Se il debitore non pagherà entro 6 mesi i suoi beni verranno automaticamente ipotecati dalla/dalle Banca/Banche creditrici a parità di grado se non già fatto

  10. Procedure da approfondire per concorsuali

  11. Eventuali conflitti potrebbero essere gestiti sulla base di specifico regolamento in sede di Arbitro bancario e finanziario

  12. Ecc. ecc.