Economia

Il Polo Nord è il nuovo Eldorado per la Cina

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L’Artico nuovo polo attrattivo commerciale. Questo quello che pensano in Cina dove esporti e studiosi stanno spingendo il governo di Pechino a prepararsi alle opportunità strategiche che offre il Polo Nord per una certa parte dell’anno.

Con lo scioglimento dei ghiacciai per colpa del riscaldamento globale sono resi ora navigabili tratti finora non praticati e come tale diventano meta ambita di paesi come il Canada, la Danimarca, la Russia e ora anche la Cina che sarebbe in procinto di varare una nuova politica pensata proprio per l’Artico.

A dirlo in un lungo e articolato dossier, Linda Jakobson, ricercatrice del SIPRI, una think tank svedese secondo cui Pechino si starebbe preparando alle ripercussioni economiche derivanti dalle spedizioni previste nel Polo Nord.

Quali sono queste ripercussioni economiche? In primis i risparmi che la Cina avrebbe dalle esportazioni: con il disgelo dei mesi estivi il percorso Shanghai- Amburgo si accorcerebbe di 6400 chilometri, una cifra non da poco considerando che Pechino basa il 70 per cento delle sue esportazioni via mare.

A ciò si aggiunge il fatto che l’Artico – secondo gli ultimi dati resi noti dall’US Geological Survey – custodisce circa il 30% delle risorse di gas e il 13% delle risorse petrolifere mondiali ancora inesplorate, oltre a commodities come carbone, rame, tungsteno, zinco, argento, oro, nickel, manganese, cromo e titanio. Spiega la Jakobson:

“È certamente possibile, durante i mesi estivi, che la spedizione dei beni via mare attraverso un Artico aperto comporti dei costi minori per la Cina ma il cambiamento climatico ha di sicuro un impatto estremamente negativo su Pechino. Forse, e sottolineo ‘forse’, ci sarebbe un contrappeso sul fronte commerciale, anche se si dibatte sul ‘quando’, queste rotte diventeranno praticabili. Dal punto di vista delle risorse, invece, è fondamentale evidenziare che la maggior parte di quelle non sfruttate, al momento, si trova in zone che non sono al centro di dispute. Potrebbero sorgere tensioni sulle risorse inesplorate: chi può sapere cosa giace oltre i 200 chilometri delle zone sotto il controllo degli stati costieri”.