Economia

Fed alza i tassi Usa. E conferma altri tre aumenti nel 2018

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Come nelle attese, la Federal Reserve ha alzato ieri i tassi di interesse di un quarto di punto portandoli in una forchetta fra l’1,25% e l’1,50%. Si tratta della terza stretta dell’anno e della quinta dell’era Janet Yellen.

Guardando avanti, l’istituto americano di politica monetaria ha confermato di prevedere tre aumenti dei tassi di interesse nel 2018, confermando così le sue stime di settembre sul numero di strette il prossimo anno. Gli analisti non escludevano la possibilità di un quarto rialzo. Per il 2019 sono stati invece confermati altri due rialzi.

La Banca Centrale americana ha poi rivisto al rialzo le stime di crescita per gli Stati Uniti nel 2018 al 2,5% dal 2,1% previsto in settembre. Ritoccate verso l’alto anche le previsioni per il 2019, quando il Pil dovrebbe crescere dell’1,9-2,3% rispetto all’1,7-2,1% stimato in settembre. La Fed ha invece rivisto al ribasso le previsioni sul tasso di disoccupazione, stimato al 3,7-4,0% nel 2018 rispetto al 4,0-4,2% di settembre.

Alla sua ultima conferenza stampa prima della fine del suo mandato, a febbraio, Yellen non si è detta preoccupata del rally dell’azionario e nemmeno di quello di Bitcoin: pur essendo un asset altamente speculativo, la criptovaluta può provocare rischi “limitati” alla stabilità finanziaria. “Non vedo una esposizione significativa” delle istituzioni finanziarie più importanti alla valuta digitale, ha detto.

Rialzo tassi della Fed: i commenti degli analisti

“Come ampiamente atteso, durante il meeting di dicembre la Federal Reserve (Fed) ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base, mettendo a segno il terzo rialzo nel 2017″, scrive Lee Ferridge, responsabile multi-asset strategy per il Nord America di State Street Global Advisors. “Considerando che il mercato aveva già preventivato un 98% di probabilità per tale mossa, la decisione della banca centrale ha destato poche sorprese, dunque si attende una reazione moderata da parte del mercato. Inoltre, sempre in linea con le attese, il FOMC ha lasciato invariato il suo dot plot per i tassi di interesse del 2018 e del 2019″.

“Se dopo la riunione di novembre la Fed aveva definito l’inflazione (escludendo i beni alimentari e l’energia) come “moderata”, il perdurare di robusti dati dell’economia reale ha lasciato pochi dubbi su una stretta monetaria nel mese di dicembre. Le attese della Fed, secondo cui l’inflazione salariale dovrà necessariamente materializzarsi a breve, visto il tasso di disoccupazione estremamente basso, fanno capire che la banca centrale è fiduciosa di riuscire ad alzare nuovamente i tassi di interesse nel 2018. Infatti, abbiamo visto un recente incremento delle attese sull’inflazione e le nostre PriceStats1 evidenziano come, nelle ultime settimane, i prezzi dei prodotti online abbiano avuto un nuovo slancio”.

Sophia Ferguson, senior portfolio manager per l’active fixed income and currency, osserva che “con i future sui Fed Funds che incorporano una probabilità di quasi il 100% per un incremento dei tassi di interesse in occasione del meeting del FOMC, la decisione della Fed di alzare il tasso di interesse target di 25 punti base, all’1,25-1,5%, ha destato poche sorprese. Tenendo anche presente che il tasso di disoccupazione è ai minimi storici, la banca centrale crede fermamente che il paradigma della Curva di Philips tornerà a essere valido. Ritenendo che i rischi nel breve termine per le prospettive economiche siano “abbastanza bilanciati”, la Fed continua a monitorare i dati sull’inflazione, rimanendo però convinta del fatto che i bassi livelli attuali non possano essere mantenuti nel medio termine, vista la forza del mercato del lavoro e le prospettive di crescita”.

“Nel trimestre, le condizioni economiche si sono evolute rimanendo ampiamente in linea con le attese del Comitato. Se da un lato la prospettive sulla crescita per il 2018 sono state riviste al rialzo del 2,5%, quelle legate alla crescita sul lungo periodo restano invariate all’1,8%. Il Comitato, infatti, continua a prevedere tre rialzi dei tassi per il 2018, con la possibilità che queste stime possano essere riviste al rialzo una volta che le ultime misure fiscali verranno completamente incorporate all’interno dell’outlook economico. Mentre la politica fiscale potrebbe continuare a supportare i trend di crescita, allo stesso tempo non ci aspettiamo che le misure possano modificare drasticamente le prospettive per la politica monetaria o il profilo dell’inflazione”.

Antoine Lesné, responsabile strategia ETF per l’area EMEA di SPDR ETFs, divisione di State Street Global Advisors, ha sottolineato che il braccio di politica monetaria della Fed ha lasciato invariate le previsione per ulteriori incrementi dei tassi di interesse per il 2018 e per il 2019.

“L’inflazione resta l’elemento verso il quale è rivolta l’attenzione del FOMC, visti i robusti dati dell’economia reale che continuano a crescere, uniti al tasso di disoccupazione ai minimi storici. In questo scenario, stimiamo uno scenario positivo per i movimenti sui tassi di interesse. Visto che ormai ci siamo lasciati quest’evento alle spalle, il recente incremento dei tassi di interesse a breve termine dovrebbe attenuarsi e potrebbe diminuire man mano che gli investitori si concentrano sui bond a breve termine, portando al ribasso i loro rendimenti e creando un certo irripidimento della curva dei rendimenti dei Treasury. Al contempo, dovremmo aspettare l’insediamento di Jerome Powell quale presidente della Fed per poter rivalutare possibili cambiamenti delle proiezioni e per includere qualsiasi ricaduta significativa derivante dalla riforma fiscale”.

Gli analisti di MPS Capital Markets pongono l’accento sul fatto che due membri dell’Istituto hanno votato contro il rialzo dei tassi, spinti dal permanere di “forti perplessità in merito alle dinamiche inflative e dall’impatto marginale che le manovre fiscali dovrebbero avere sull’economia nel lungo periodo”. Tuttavia la “nuvola” dei dots continua ad evidenziare l’ipotesi di tre rialzi nel corso del 2018.

Sui mercati “il tutto si è comunque riflesso in un deprezzamento generalizzato del dollaro, tassi governativi in calo e conseguente recupero dei metalli preziosi. Sul tema riforma fiscale, sembrerebbe essere stato raggiunto un accordo congiunto tra Camera e Senato che aprirebbe le porte ad un’approvazione della riforma già entro la fine dell’anno”.

Ron Temple, Head of US Equities presso Lazard Asset Management, ritiene che l’aumento odierno del tasso e il dot plot non siano eventi significativi. “Quello che realmente conta è chi sarà nominato nel Board della Federal Reserve nel 2018 e ciò che questo comporta in termini di politica monetaria. Nel 2018 l’assetto dei membri votanti del FOMC cambierà, con tre incarichi – quattro se si conta anche quello di Janet Yellen – da attribuire. Questi cambiamenti potrebbero concretamente modificare l’orientamento della politica monetaria”.

“Janet Yellen ha fatto un ottimo lavoro ed è riuscita ad affrontare le correnti contrarie che il Presidente della Fed deve fronteggiare. Guardando al futuro, le sfide maggiori per la Fed sono riuscire a raggiungere un livello di inflazione pari al 2%, non ostacolare la ripresa dei consumi della classe media e mitigare i rischi sistemici attraverso una politica macro prudenziale. Questi obiettivi possono essere raggiunti, ma la Fed dovrà concentrarsi su dati reali più che su modelli teorici, e dovrà riconoscere realmente la diversità di questa ripresa rispetto al passato. Gli Stati Uniti possono sostenere vari anni di ulteriore crescita se la politica monetaria rimarrà sufficientemente accomodante.

Da Jerome Powell ci aspettiamo continuità, ma sappiamo bene che i cambiamenti nella composizione dei membri votanti del FOMC, combinata con la presenza dei quattro nuovi membri, complica ogni possibilità di previsione. Se guardiamo al futuro, le domande chiave per i membri del FOMC sono quanto essi siano disposti a utilizzare strumenti non convenzionali per affrontare la prossima recessione qualora inflazione e tassi di interesse rimangano ai minimi storici e, considerate le sfide imposte da crescita lenta, bassa inflazione, tassi ridotti e bassa partecipazione della forza lavoro, quanto siano inclini a valutare nuovi o diversi obiettivi per portare a termine la loro duplice missione”.