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Bce danza su un filo, Draghi manda segnali da colomba

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Mario Draghi ha mandato un messaggio da colomba – rassicurante per le Borse e i Bond europei – mentre la Bce ha mantenuto lo status quo sui tassi di interesse precisando che rimarranno allo 0% per un periodo prolungato. Il presidente della Bce ha riportato che le autorità di politica monetaria sono pronte ad incrementare di mole e durata il piano di acquisto di asset se si presenterà la necessità. Draghi ha detto che “dobbiamo essere vigilanti, pazienti e prudenti”.

Dal momento che anche i tassi sui depositi sono rimasti invariati, in questo caso sotto lo zero, le banche dell’area euro dovranno continuare a sborsare lo 0,4% di interessi per avere il privilegio di parcheggiare denaro presso i forzieri dell’istituto di Francoforte. Le società finanziarie dell’Eurozona dovranno pagare lo 0,25% per chiedere soldi in prestito dalla Bce.

La Bce ha anche annunciato che il bazooka monetario durerà fino a dicembre e anche oltre quella data “se necessario”, citando il ritmo ancora non soddisfacente di rialzi dell’inflazione. Per paura di scatenare eventuali crisi e gettare nel panico i mercati del debito, Draghi e colleghi preferiscono portare pazienza e non affrettare il percorso di normalizzazione dei tassi e delle politiche monetarie ultra accomodanti.

Gli analisti sono concentrati sulla conferenza stampa successiva alla decisione, con Draghi che dopo le dichiarazioni da ‘falco’ di Sintra, in Portogallo (quando è stata citata la parola reflazione, evento che ha allontanato i rialzisti in Borsa e rafforzato invece l’euro) sta tentando di mantenere un profilo relativamente basso (segui live blog in fondo). Se la Bce dovesse sorprendere tutti, fornendo dettagli sul piano di uscita dal programma di acquisto di titoli obbligazionari, sarebbe il panico sui mercati. Ma difficilmente sarà così.

Naeem Aslam di Think Markets prevedeva che l’approccio sarebbe stato molto cauto e che sarebbero state confermate le linee guida su economia e inflazione. Quello che il mercato aspettava di sentirsi dire dalla Bce è che i funzionari del board hanno affrontato il tema caldo del tapering, ossia la riduzione della mole e della gittata del Quantitative Easing. Così non è stato e l’allontanarsi dello spauracchio di un taper tantrum, ovvero di una riduzione troppo affrettata dei piani di allentamento monetario, ha fatto bene anche all’euro e non solo a Bond e titoli azionari. La moneta unica si rafforza su dollaro e sterlina.

Il paradosso in cui si trova la Bce è che proprio ora che la crisi del debito sovrano sembra ormai alle spalle, se dovesse essere raggiunto l’obiettivo del 2% dell’inflazione prima del previsto, la stessa banca centrale rischierebbe con le sue azioni di scatenare una nuova crisi nella regione. D’altronde lo ha specificato lo stesso Draghi oggi: una stretta troppo anticipata metterebbe a rischio la ripresa.

Come succederebbe se ciò avvenisse? In breve se il programma di acquisto di asset dovesse essere abbandonato troppo in fretta a causa di un surriscaldamento dell’inflazione, il sistema dei pagamenti Target 2 sarebbe messo sotto pressione e si rischierebbero di avere degli squilibri ancora più ampi tra i paesi principali dell’Eurozona. Questo vorrebbe dire un aumento dei tassi di interesse, un rallentamento della crescita economia e il riaffacciarsi dei timori di insostenibilità dei debiti. A giudicare dalle (non) decisioni prese oggi, Draghi deve essere ben consapevole di tali pericoli.

Bce, è troppo presto per staccare la spina al bazooka monetario?

È ancora troppo presto per staccare la spina al bazooka monetario: su questo molti economisti sono d’accordo con la Bce. Ma la ripresa dell’economia suggerisce che la crescita del bilancio del sistema euro attraverso l’acquisto di titoli principalmente governativi potrebbe fermarsi nel 2018. A meno che non ci sia una frenata improvvisa degli indicatori macro economici principali, un annuncio su un piano di tapering del genere potrebbe arrivare a settembre. A quel punto l’attenzione si sposterà sul come (tempi e modalità) verrà gestito il delicato processo, tenuto anche conto della distribuzione iniqua di ricchezze e debiti.

Draghi se ne andrà a ottobre 2019. Il suo erede apparente è Jens Weidmann della Bundesbank. A lui spetterà un compito veramente arduo: dovrà rimpiazzare l’uomo che a luglio 2012 con le sue parole ha salvato l’euro in un momento molto delicato per le sorti dell’Eurozona. Durante il processo di normalizzazione dei tassi in area euro, infatti, qualsiasi cosa dovesse andare storta – come una lettura erronea della struttura finanziaria e dei dati macro, oppure un piccolo passo falso in strategia monetaria – potrebbe rivelarsi deleteria e causare un disastro.

A complicare ulteriormente il lavoro di Weidmann ci sarà anche il fatto che, lo voglia o no, pur ricoprendo un ruolo per antonomasia neutrale sarà chiamato a difendere “finalmente” gli interessi dei cittadini tedeschi – le cui aspettative sono molto alte nei confronti del numero uno della Bundesbank dopo il mandato della “colomba” Draghi.

Tra i concetti più popolari in Germania ci sono il fatto che i tassi di interesse così bassi e così a lungo sono troppo dannosi per i risparmiatori e che tale contesto porterà a un’inflazione eccessiva, che a sua volta rischia di essere alimentata dai crediti accumulati nel sistema Target 2 – con Germania e Lussemburgo da una parte dello spettro e Spagna e Italia dall’altra.

Gli squilibri del sistema dei pagamenti Target 2 tra banche centrali in Eurozona
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