Economia

Bankitalia sapeva che MPS mascherava maxi perdite

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

SIENA (WSI) – Bankitalia sapeva già due anni prima dei pubblici ministeri che il Monte dei Paschi di Siena aveva una perdita di quasi mezzo miliardo. A renderlo noto alcuni documenti rivelati dal tribunale di Milano.

Un rapporto della Banca d’Italia datato 17 settembre 2010 e contrassegnato come “privato”, mostra come gli ispettori erano consapevoli del fatto che un’operazione commerciale del 2008 intrapresa con Deutsche Bank era lo specchio di un precedente accordo che Monte Paschi aveva con il mutuante tedesco. La banca italiana ha perso circa 370 milioni di euro (431 milioni di dollari) a seguito di una precedente operazione, denominata Santorini, a dicembre 2008. Per salvare la situazione ed evitare che gli investitori scoprissero l’entità delle perdite di MPS che avrebbe prodotto un sell-off sulla banca, un cambio di gestione o peggio, Deutsche bank presenta un nuovo trade che avrebbe fatto scomparire la perdita di MPS.

Un trade semplice da dividere in due parti. Per la metà della transazione, MPS si sarebbe mantenuta sul terreno sicuro, facendo soldi scommettendo con la Deutsche Bank e utilizzando le vincite per estinguere le sue perdite da trading del 2008. Per la seconda metà della transazione, la banca italiana avrebbe dovuto scommettere su un qualcosa su cui fosse sicuro perdere. Ma, mentre la prima operazione sarebbe stata immediata, la seconda si sarebbe svolta lentamente, nel corso di molti anni. Come scrive Bloomberg, non ci sarebbe stato più alcun bisogno di riportare quei 367 milioni di euro di buco.

Si tratta di una trade che Bankitalia decise di non contabilizzare evitando così di rilevare le perdite. In questo momento Deutsche Bank è sotto processo a Milano per aver colluso con MPS con l’accusa di manipolazione del mercato e falso in contabilità. Nel corso di un’udienza del 3 ottobre scorso, il  legale di Deutsche Bank, Giuseppe Iannaccone, ha chiesto ad un funzionario della Banca d’ Italia se Palazzo Koch sapeva che la perdita era compensata.

Alla domanda se la Banca d’Italia avesse tentato di sondare o intentare una denuncia contro Monte Paschi dopo le sue ispezioni, egli rispose negativamente. Dal 2008, i contribuenti e gli investitori privati italiani hanno investito oltre 8 miliardi di euro per sostenere la travagliata MPS, la banca più antica del mondo.

La Banca d’ Italia ha dichiarato che le sue ispezioni del 2010 non hanno rivelato nulla dell’operazione sul derivato Santorini che richiedesse l’allerta dei pubblici ministeri o l’imposizione di sanzioni e ha invece concentrato le sue attività di vigilanza sull’effetto che gli scambi hanno avuto sulla liquidità di Monte Paschi.

La Banca d’Italia ha condotto poi un’ altra ispezione del Monte Paschi nel settembre 2011, e nel novembre dello stesso anno, due settimane dopo che Draghi divenne presidente della BCE. Sarà poi in seguito nel 2012 quando il Monte Paschi comunica alla Banca d’Italia di aver trovato, in una cassaforte presso la sede di Palazzo Salimbeni a Siena, una documentazione cartacea non divulgata. Tale documento, un accordo quadro, fondamentale per comprendere un’ operazione simile in derivati che coinvolgeva la Nomura Holdings Inc. con sede a Tokyo,  ha spinto la Banca d’ Italia ad allertare i pubblici ministeri. Il processo dovrebbe durare almeno un altro anno.

Banche venete, “Banca d’Italia ha segnalato irregolarità per tempo”

Il capo della vigilanza di Bankitalia Carmel Barbagallo ha difeso l’operato della banca centrale dicendo che ha “segnalato tempestivamente le irregolarità” rilevate sulle vicende legate alle banche venete “all’autorità giudiziaria con la quale l’interlocuzione è stata continua e aperta, al pari della collaborazione con la Consob“.

Intervenendo in un’audizione davanti alla commissione d’inchiesta sulle banche, Barbagallo anzi rivendica che è stata Bankitalia “ad aver rilevato le criticità che connotavano le due banche: crediti erogati con modalità anomale, non di rado in conflitto di interessi; inadeguate modalità di determinazione del prezzo delle azioni; operazioni di ricapitalizzazione cosiddette baciate, non dedotte dal patrimonio”.

Questo, ha sottolineato, “nonostante e malgrado l’indisponibilità di poteri investigativi commisurati alla gravità dei comportamenti“.