Economia

Wef: reddito di cittadinanza costa meno di quel che sembra

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“Perché tutti dovrebbero avere un reddito minimo”, il titolo di questo articolo che ricorda da vicino le battaglie del Movimento 5 stelle a casa nostra è ospitato, in realtà dal World Economic Forum, il cui meeting annuale è ai nastri di partenza. Quest’argomento, com’è noto incontra molto spesso resistenze sia nel mondo politico che accademico. L’autore del post, Scott Santens è fondatore dell’Economic Security Project. Come cambierebbero le scelte degli individui se potessero disporre di un reddito di cittadinanza (qui chiamato reddito base universale o Ubi)? Il punto fondamentale dell’analisi di Santens è che garantire il necessario per un’esistenza dignitosa a chiunque non solo sarebbe d’aiuto all’abbattimento delle diseguaglianze, un tema che sta alimentando la carica dei movimenti anti-elite in tutto il mondo, ma anche che i suoi benefici economici supererebbero i relativi costi.

“La verità”, si legge in un passaggio chiave dell’articolo, “è che i costi delle persone che non hanno reddito sufficiente sono collettivamente enormi. Gravano il sistema sanitario, giudiziario, l’istruzione, la produttività, il potere d’acquisto dei consumatori e, perciò, l’intera economia. Il costo di tutte queste zavorre eccede i mille miliardi di dollari l’anno e dunque le poche centinaia di miliardi di costo addizionale del reddito di cittadinanza”.

Per “reddito base” (Ubi) il Wef intende un ammontare di denaro erogato mensilmente tale da assicurare tutti al di sopra della soglia di povertà, in sostituzione di tutti gli ammortizzatori temporanei che intervengono in casi di particolare emergenza come la mobilità. Sarebbe una “promessa di pari opportunità”, “una nuova linea di partenza al di sopra della soglia di povertà”, non certo la promessa della parità dei redditi di memoria socialista.
Santens cerca anche di smontare la principale obiezione al reddito minimo, ossia che offrire denaro in cambio di nulla sia un costosissimo incentivo per la pigrizia. Sul capitolo costi, che in termini assoluti il Wef stima a 3mila miliardi annui per garantire mille dollari annui a ogni adulto e 4mila a ogni bambino. Ma considerando i trasferimenti fiscali già pagati dalla cittadinanza, calcola il Wef, il costo reale sarebbe solo il 30% di tale cifra (900 milioni) e questo prima di integrare il nuovo reddito minimo con la sostituzione totale o parziale dei sussidi esistenti.

Dal punto di vista della produttività l’autore parte dalla considerazione che negli Usa il 70% dei lavoratori non è coinvolto o disprezza il proprio lavoro, con conseguenze negative su produttività e coesione sociale. “Fornendo incondizionatamente reddito fuori dall’impiego, la gente può rifiutare i lavori che non apprezza. Questo apre le porte ai disoccupati che potrebbero essere coinvolti da quei lavori e crea il potere contrattuale per tutti di negoziare migliori contratti. Quanti lavori diverrebbero più attraenti se fossero pagati meglio o richiedessero meno ore?”, scrive il Santens.
Il risultato di questo nuovo scenario, secondo il forum ginevrino sarebbe un mercato del lavoro nel quale si è più “coinvolti, più occupati, meglio pagati, più produttivi”.