Economia

Ue, imprese Club Med: investimenti 27% sotto livelli pre crisi

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Nell’ultimo triennio, grazie soprattutto al contributo delle imprese, più che di famiglie e governi, gli investimenti sono aumentati del 3,1% annuo in Europa, un tasso percentuale inferiore al tasso medio registrato prima dell’inizio della crisi economica. Ma in ogni modo “ben al di sotto” dei tassi di crescita degli investimenti durante i periodi di ripresa post-crisi finanziarie.

È quanto mostrano i dati pubblicati nel report della Banca europea per gli investimenti, un’indagine che ha coinvolto 12.500 imprese dell’Unione Europea, di cui 622 italiane. L’incremento non ha coinvolto tutti i paesi europei in egual misura: alla metà del 2016, gli investimenti nei “paesi centrali” – termine con il quale lo studio indica le economie meno colpite dalla crisi economica (Belgio, Germania, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito…) – avevano raggiunto i livelli precedenti alla crisi economica.

Nei “Paesi periferici” del Club Mud europeo– oltre all’Italia, l’elenco comprende Cipro, Grecia, Spagna, Irlanda, Slovenia e Portogallo – gli investimenti sono ancora il 27% sotto al livello pre-crisi.

Le imprese hanno contribuito in misura maggiore alla lenta ripresa degli investimenti rispetto ai governi e alle famiglie. In questo caso il discorso vale tanto per i paesi più forti, dove gli investimenti delle imprese hanno raggiunto il picco pre-crisi, quanto in quelli più deboli come l’Italia.

Detto questo, il rapporto tra gli investimenti delle imprese e il Pil rimane inferiore alla media registrata tra il 1999 e il 2005.

Non mancano poi fattori di incertezza che potrebbero mettere a rischio la ripresa graduale degli investimenti. La BEI indica il declino della crescita di produttività, i livelli relativamente bassi di investimento in immobilizzazioni immateriali – ovvero gli investimenti in ricerca&sviluppo, brevetti, innovazione… – e il calo di quelli in infrastrutture, passati dal 2,3% all’1,7% del PIL dal 2009, ma l’elenco include anche le difficoltà di accesso al credito bancario.

Questo vale soprattutto per le imprese italiane, che dipendono più delle concorrenti europee da fonti di finanziamento esterno (il 45 contro il 36%): il 9% degli imprenditori italiani, coinvolti nell’indagine, ha difficoltà a ottenere dei finanziamenti.