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Tsunami di liquidità in arrivo in Europa?

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MILANO (WSI) – In un sogno Freud incontra Irma a casa di amici. Irma ha mal di gola e Freud la porta vicino alla finestra per visitarla. La gola gli appare come un antro insolitamente alieno e inquietante. Lacan dedicherà un celebre seminario alla gola di Irma, carne primordiale che si apre e si chiude in un pulsare ritmico che è l’essenza della sostanza vivente, misteriosa e inconoscibile.

L’universo stesso, secondo alcuni cosmologi, dopo la fase di espansione, il Big Bang, è destinato a implodere nel Big Crunch per poi forse tornare a esplodere di nuovo e poi a contrarsi, in un pulsare senza fine.

La cosmologia monetaria dell’euro, nei suoi primi otto anni di vita, vide il dominio incontrastato della teoria del Big Crunch. Il collasso lento ma continuo degli spread fece arrivare il debito greco a soli 4 punti base di distanza da quello tedesco. La cosmologia dell’epoca descrisse questo movimento come definitivo e irreversibile.

Definitivo non fu. Il Big Bang che ne seguì nei quattro anni successivi portò all’allargamento progressivo e sempre più rapido dello spread, che nel caso greco arrivò a sfiorare i tremila punti. Molti cosmologi di scuola anglosassone dichiararono definitivo e irreversibile questo movimento centrifugo.

Irreversibile non è stato, nemmeno questa volta. Da luglio ha preso avvio un nuovo Big Crunch. Tra i cosmologi è iniziata la gara a chi azzarda l’obiettivo più aggressivo di riduzione dello spread. L’ottimo Erik Nielsen, che nel buio 2011 ha difeso coraggiosamente la tesi della solvibilità dell’Italia, ipotizza uno tsunami di liquidità sull’Europa e lo spread a 150 come destinazione di medio termine.

Si coglie del resto nell’aria la sensazione che il processo di unificazione europeo abbia imboccato finalmente la dirittura d’arrivo e sia ormai definitivo e irreversibile.

L’Europa, si dice, ha superato la più dura delle prove possibili, è restata in piedi, ha di fatto mutualizzato il debito senza ricorrere agli eurobond. Sono bastate le parole di Draghi e la conferma della Merkel pochi giorni dopo. Il miracolo si è compiuto e non c’è stato bisogno di estenuanti negoziati, di nuovi trattati o di rischiosi referendum. A questo punto la strada è spianata.

Perché, allora, fermarsi a 150 punti? Forse perché a dire 100, 50 o 20 si suonerebbe poco credibili?

Sappiamo che la Fed ha dichiarato di volere tenere i tassi a zero fino al 2015. David Rosenberg, che in questi anni ha avuto la vista più lunga di tutti sui bond, vede zero fino al 2018. Zero a perdita d’occhio nel tempo, dunque, ma anche nello spazio dei paesi sviluppati, dall’Europa al Giappone.

Una volta che la Germania ha rinunciato all’eccezionalismo della Bce, la banca centrale di nessun paese europeo è diventata dalla sera alla mattina la banca centrale di tutti i paesi europei, garante di ultima istanza del loro debito esattamente come la Fed o la Banca d’Inghilterra. Il debito garantito, in questo contesto, è destinato ad attrarre gli spread verso zero in modo irresistibile. È una legge fisica.

A un certo punto ci si azzufferà, tra italiani e stranieri, per accaparrarsi la carta italiana e spagnola. I tedeschi saranno gli ultimi a mettersi in fila per comprarla per una tipica questione di finanza comportamentale. Dopo essere scappati dai Btp a 80 o 70 faranno fatica a riacquistarli a 110. I giapponesi no, loro lo fanno sempre.

L’allineamento astrale è quasi perfetto. La Merkel è a un nuovo massimo di consenso personale e il suo avversario socialdemocratico, dopo lo scandalo dell’aeroporto di Berlino, è su nuovi minimi. La nuova legge elettorale tedesca, ancora più proporzionale della precedente, penalizzerà leggermente la Cdu, ma darà in compenso qualche possibilità in più ai liberali.

Se a settembre i liberali non supereranno la soglia di sbarramento, la Merkel potrà permettersi il lusso di potere scegliere un altro partner tra i Verdi e la Spd, mettendoli in concorrenza tra loro e privandoli di ogni forza negoziale.

La Merkel ha da superare solo le elezioni in Bassa Sassonia e il voto del Bundestag su Cipro. Superati questi ostacoli, fino a settembre dovrà limitarsi a fare il meno possibile e a garantirsi tranquillità in Europa. La Germania ha iniziato da mesi a chiudere prima uno e poi due occhi sulle violazioni della disciplina di bilancio in mezza Europa.

La Spagna doveva raggiungere nel 2012 il 5 per cento di disavanzo e alla fine arriverà all’8 e forse al 9, nel totale e assoluto silenzio di Berlino e Bruxelles. Una cifra simile si prospetta anche per il 2013.

L’Europa è sparita dalle prime pagine dei giornali americani e giapponesi.

Il segretario americano al Tesoro era solito venire tutti i mesi in Europa per cercare di sistemare le nostre cose. Ora il successore di Geithner, Lew, dovrà dedicarsi interamente allo scontro in Congresso con i repubblicani. Per l’Europa, no news is good news. Sono ormai mesi che i mercati internazionali l’hanno dimenticata per dedicarsi all’America e alla sua interminabile rissa fiscale.

I fondamentali importano sempre meno. In un mondo in cui le banche centrali alzano ogni giorno il livello della liquidità è fuorviante concentrarsi troppo sull’economia americana in crescita simbolica o sugli utili di Wall Street che non crescono più.

Allo stesso modo è fuorviante, per un gestore di bond europei, concentrarsi sul disavanzo spagnolo, sulla recessione italiana o sulla crescita zero franco-tedesca. La controparte del gestore, infatti, non è più il singolo paese emittente, ma la Banca centrale europea. Ma è davvero irreversibile il Big Crunch sugli spread? Noi, onestamente, non lo sappiamo. Non possiamo escludere a priori un altro Big Bang.

Il pulsare dell’Europa segue un suo ritmo.

Al restringersi degli spread corrisponde puntualmente un allentarsi della disciplina di bilancio e un rallentamento del processo di unificazione. C’è stata Maastricht, poi tutti si sono messi a violarne gli accordi, poi la Germania ha rimesso tutti in riga e poi adesso c’è un inizio di movimento verso il rilassamento.

Attenzione, alla fine di ogni ciclo di rigore-rilassamento l’Europa si ritrova più unita (buono) ma anche con uno stock di debito più alto (cattivo). La Germania si ritrova così sempre più incastrata in Europa, ma anche con un conto finale sempre più alto da pagare e con un possibile desiderio sempre maggiore di puntare i piedi e sferzare gli altri. Il fatto è che l’unificazione europea è sempre più vicina al punto di non ritorno, ma non è ancora a quel punto. Il potere tedesco è vicino al suo massimo, al di là del quale inizierà un’inesorabile parabola discendente.

Oggi la Germania è in uno stato di piacevole torpore.

Ha il pieno impiego, che rende tutti tranquilli e che però porterà a una diminuzione della produttività e della competitività. L’inflazione è piuttosto alta, ma gli aumenti salariali la rendono sopportabile.

Le imprese avvertono una pressione sui margini, ma la bottom line è salva grazie a un aumento della domanda interna ed estera. Tutti sono soddisfatti, insomma, ma qualcosa, sotto, comincia a guastarsi. La Germania, del resto, crescerà pochissimo nei prossimi anni, proprio perché è già in piena occupazione.

Un’eventuale nuova recessione globale farebbe in tempo a bloccare e rendere reversibile l’unificazione europea, avviando così un nuovo Big Bang.

Al momento, tuttavia, questa è solo un’ipotesi di scuola.

Zoomando sul breve termine e sui mercati, continuiamo a essere favorevoli al vendere qualcosa sull’azionario per avere risorse a disposizione nelle prossime settimane in caso di ripresa della guerra guerreggiata negli Stati Uniti.

È abbastanza inutile restare pesantemente investiti adesso perché il mercato non oserà salire molto con la doppia spada di Damocle del debt ceiling e del sequester (il taglio automatico di spese militari e sanitarie che scatterà fra poco in mancanza di un accordo complessivo).

Alla peggio, vendendo adesso, si ricomprerà più avanti allo stesso prezzo. Resta naturalmente l’ottimismo strategico.

*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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