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Siria, Amnesty International: raid Russia da crimini di guerra

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MILANO (WSI) – I bombardamenti russi in Siria sono costati la vita a centinaia di civili, colpiti senza apparenti obiettivi militari: lo denuncia Amnesty International, l’organizzazione umanitaria britannica. E’ una guerra, quella in Siria, nella quale non si distinguono i buoni dai cattivi; le testimonianze e i video raccolti dagli attivisti, che hanno monitorato 25 attacchi russi che avrebbero provocato almeno 200 morti civili, lasciano pensare che Mosca nasconda parecchi crimini inconfessabili. Fra i target dei bombardamenti Amnesty parla di zone in cui erano presenti convogli umanitari, a nord di Azaz, così come in un mercato ortofrutticolo ad Ariha, nel quale sono morte più di 35 persone. Secondo Philip Luther, direttore di Amnesty per il Medio Oriente e Nord Africa:

“Sembra che alcuni raid aerei abbiano direttamente attaccato civili od obiettivi civili, colpendo aree residenziale senza chiari target militari. Tali attacchi possono essere considerati crimini di guerra.

Non è compito semplice accertare se quei raid fossero davvero russi: su questo i gruppi di osservatori non hanno grande accesso alle informazioni necessarie: il rapporto di Amnesty si fonda da remoto su testimonianze e documentazioni audiovisive compiute da attivisti presenti in Siria.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha documentato casi in cui sia attacchi russi che della coalizione internazionale hanno provocato morti civili, anche se, affermano, i danni maggiori sono stati di gran lunga provocati dai russi.

I casi restano sempre controversi, visti i grandi interessi in gioco. Amnesty, ad esempio, ha prodotto la documentazione di un attacco russo nel quale la moschea di Omar Bin al-Khattab sarebbe stata colpita uccidendo un giovane e ferendo molti altri presenti. Pronta la replica della Russia, che ha presentato immagini satellitari della moschea integra; ma non era quella la moschea bersagliata, risponde Amnesty, che accusa apertamente Mosca di essere in malafede.

Fonte: Financial Times