Società

Patto di stabilità: i “frugali” sfidano l’Italia di Draghi

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Mentre si aprono questo venerdì (10 settembre) le discussioni informali dell‘Ecofin in Slovenia, un gruppo di Paesi “frugali” ha fatto trapelare su alcuni organi di stampa un documento che prepara il terreno di battaglia in vista della riforma del Patto di Stabilità della zona euro. Una battaglia che, di certo, vedrà l’Italia di Mario Draghi sulla barricata opposta.

A firmare il documento che sancisce una visione conservativa (e forse anche superata) del Patto di stabilità che verrà sono stati i ministri delle Finanze di Austria, Paesi Bassi, Finlandia, Danimarca, Slovacchia, Lettonia, Svezia e Repubblica Ceca. Per il momento resta esclusa dalla contesa la Germania, che attende di sapere l’esito delle elezioni del 26 settembre.

Secondo i firmatari, guidati dall’Austria, la revisione delle regole fiscali difficilmente potrà essere completata prima del ritorno in vigore degli attuali vincoli, nel gennaio 2023. Tale ripristino riporterebbe in vita una disciplina di bilancio ancor più difficoltosa rispetto al passato, dal momento che i livelli di debito sono saliti (così come le proiezioni sulla spesa per il pagamento degli interessi, in basso).

“La disattivazione della clausola generale di fuga”, che ripristinerà le attuali regole fiscali “e una possibile riforma del patto di stabilità e crescita non dovrebbero essere collegate”, affermano i ministri nel documento citato da Politico e da La Stampa, “le discussioni sul miglioramento dell’attuale quadro del governo economico richiedono molto tempo e dovrebbero basarsi su ampie consultazioni da parte della Commissione… La qualità è più importante della velocità“.

Riforma del Patto: i “frugali” mostrano minori ambizioni

Secondo punto: la disponibilità al dialogo da parte dei paesi più rigoristi è limitata alle “semplificazioni e adattamenti” del Patto, “che favoriscano un’applicazione coerente, trasparente e migliore, nonché l’applicazione delle regole”. Ma gli auspici espressi nei mesi scorsi, a partire dal commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, erano ben più estesi.

I Paesi favorevoli a una revisione più ampia del Patto di stabilità, fra cui Italia guidata dal premier Mario Draghi e Francia, puntano fra le altre cose, a rendere meno procicliche le attuali regole – in modo da consentire più spesa pubblica in caso di una crescita inferiore a quella preventivata e scongiurando il rischio di una spirale che penalizza progressivamente la crescita potenziale (qui il nostro approfondimento sul tema).

“La riduzione dei rapporti di debito eccessivo deve rimanere un obiettivo comune”, hanno affermato i frugali, riferendosi al percorso di convergenza al 60% del rapporto debito/Pil che pure si è drasticamente allontanato dopo le spese straordinarie dovute al Covid. Secondo varie analisi (compresa quella dello European Fiscal Board) il ritmo di convergenza previsto nelle attuali regole Ue costringerebbe ad avanzi primari (spese – interessi per il debito pubblico) di portata insostenibile per i Paesi più indebitati. Ciò si tradurrebbe nell’esigenza di realizzare maggiori entrate fiscali e/o minori spese per gli Stati.

Nel frattempo, sul tavolo dell’Eurogruppo/Ecofin di Lubiana è stato depositato uno studio del think-tank Bruegel, nel quale l’esigenza di mettere mano alle regole fiscali viene giudicata come potenzialmente controproducente. Il Patto di stabilità, secondo gli autori, avrebbe già sufficiente flessibilità e sarebbe, invece, più opportuno limitarsi a scorporare dal calcolo sul deficit gli investimenti “green”.

La riforma del patto di stabilità è già nell’agenda del premier Mario Draghi che più volte ha confermato la necessità di ammorbidire le regole europee dopo il Covid. Vedremo come finirà.