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Prezzo banche non quotate “fuori dalla realtà”

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ROMA (WSI) – Siete soci di una banca locale? Magari non quotata? O conoscete qualcuno che l’ha fatto in questi anni? Convinto dal proprio banchiere o bancario di riferimento e attirato in questo investimento per le ragioni più disparate?

Come per esempio i dividendi promessi, la solidità dell’istituto, il legame col territorio, le performance passate, la voglia di diventare un cliente speciale un pochino proprietario della banca con la quale opera o semplicemente l’incapacità di dire “no”.

Bene anzi male perché essere soci di queste banche potrebbe diventare un bel problema per alcune di queste la cui valutazione sembra oramai completamente slegata dalla realtà e dal mercato.

E se volete essere più prudenti di una lepre e realisti del Re dovreste valutare attentamente questo consiglio: andare dal vostro funzionario di banca, dirgli che avete un amico o un parente che forse vorrebbe acquistare azioni della sua banca e poi dirgli il giorno dopo che il vostro amico non può più perché su pressione della moglie ha preferito optare per un paio di scarpe “gioiello” e un vestito di Cavalli mentre voi pensandoci sopra sull’argomento avete pensato di uscire dalla banca e comunicate al vostro interlocutore che a quel prezzo volete voi liquidare le vostre azioni della banca perché avete bisogno disperato di liquidità.

A quel punto non stupitevi se nel volto del vostro banchiere “amico” inizierete a vedere un certo pallore, lo sguardo farsi più vitreo. Lo sventurato si aprirà magari l’ultimo bottone della camicia e inizierà a biascicare una frase del tipo :” Di questa cosa bisogna parlarne alla Direzione. Il prezzo che le ho detto era per chi voleva acquistare. Occorre fare una domanda e vedere se viene accolta ehhm ehhm…”.

Soci di una banca non quotata? Attenti al prezzo

Gli azionisti in Italia di banche non quotate, quasi sempre piccoli risparmiatori, sono stimati nell’ordine di grandezza di oltre 300.000 persone. Un vero e proprio piccolo esercito di azionisti di banche popolari e di credito cooperativo ai quali nel passato le cose sono andate anche bene in molti casi visto che le azioni di queste banche, lontane dai listini quotati, hanno visto fra la seconda metà degli anni ’90 e il decennio successivo le quotazioni crescere in modo sensibile e staccare dividendi non disprezzabili.

Quando si sono verificati negli anni passati crolli in Borsa come è avvenuto per i “cugini maggiori” i titoli delle banche non quotate resistevano come Highlander, oltre l’infinito. Non essendo quotate e avendo di fatto un unico compratore che ne faceva il prezzo (sostanzialmente la banca stessa) i risparmiatori ne erano rassicurati non vedendone le quotazioni oscillare o ricevendo rassicurazioni dalla propria banca: “Dotto’ vada tranquillo, i nostri titoli sono una roccia…”.

Di seguito potete vedere per esempio le quotazioni di Veneto Banca in questi anni come illustrato nel loro ultimo bilancio.

Rialzi contenuti ma regolari hanno, infatti, contraddistinto per anni questi titoli con prezzi di fatto manovrati dal manovratore. Per comperare queste azioni era necessario aprire un conto presso l’istituto e mettersi spesso in fila perché la coda degli aspiranti soci (attratti dai rendimenti passati) era talvolta piuttosto lunga.

I nomi di queste banche che negli anni passati hanno visto talvolta anche le quotazioni trattate all’ex Terzo Mercato poi diventato Temex e poi all’Hi-Mtf?

Banca popolare del Mezzogiorno, Banca Popolare di Puglia e Basilicata, Popolare Crotone, Popolare Ravenna, Popolare Aprilia, Popolare Lanciano, Banca Campania, Banca Popolare Sviluppo, Banca Sassari, Carifac insieme alle star del settore che sono banche venete come Veneto Banca o Banca Popolare di Vicenza.

Fra le “blue chip” del settore fino a qualche tempo fa c’erano anche Tercas e Banca Marche.
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La banca abruzzese Tercas è stata nel maggio 2012 commissariata e le cose non stanno andando proprio bene. Molti piccoli azionisti avevano acquistato le azioni anche a 9 euro e la valutazione attuale è sensibilmente più bassa e da tempo è stato deliberato un aumento di capitale per cui molti dei nodi con i piccoli risparmiatori dovrebbero venire al pettine.

Per Banca Marche la situazione è ancora più scottante perché è emerso un forte disavanzo nei conti, crediti deteriorati alle stelle e la necessità di un rafforzamento patrimoniale nell’ordine di 300-400 milioni di euro per cercare di raddrizzare la barca, anzi la banca. Si sta battendo la strada di coinvolgere ancora i piccoli azionisti come alcuni degli imprenditori locali ma se questa mossa non dovesse riuscire il commissariamento della Banca d’Italia potrebbe essere il passo successivo nonostante il neo presidente Rainer Masera, ex ministro, sta cercando disperatamente di tagliare su tutti i fronti per fermare l’emorragia.

I problemi di sotto patrimonializzazione e di crediti deteriorati delle banche italiane dovrebbero essere noti ai risparmiatori e sono sempre più drammatici tanto che la Banca d’Italia in queste settimane è tornata a stringere le maglie delle vigilanza su otto istituti medi tra cui Carige, Bper, Etruria, Banca Marche e Veneto Banca.

Peraltro come molte delle banche quotate anche fra le non quotate numerose si trovano oggi a dover valutare la necessità di aumentare il capitale, chiedendo alle proprie fondazioni azioniste ma anche ai piccoli azionisti di aprire il portafoglio. E la cosa non è assolutamente facile. Di soldi in giro non ce se sono molti, di investitori disposti a investire nelle banche con l’attuale congiuntura economica non c’è proprio la fila e salta all’occhio soprattutto il problema valutativo. Ed è questo il vero problema. Quanto vale una banca?

“Se guardiamo alle banche quotate a Piazza Affari (e non solo ma anche su altri listini) il mercato dice – spiega Roberta Rossi, consulente finanziario indipendente e titolare dello studio MoneyExpert.it – che mediamente oggi un istituto di credito viene valutato nei casi migliori 0,6-0,7 volte il patrimonio netto come dichiarato in bilancio. A essere ancora un po’ più analitici il rapporto capitalizzazione di borsa/patrimonio tangibile (price/book value tangible) è di 0,7 per le banche considerate più solide (tipo Banca Intesa) mentre 0,3-0,4 volte per quelle considerate più problematiche (come per esempio Banco Popolare e Banca Popolare di Milano)”.

Quanto vengono invece valutate (o più correttamente auto valutate visto che il prezzo lo fanno lo stesse banche con pareri commissionati da loro stesse a esperti del settore) alcune delle banche non quotate? Difficile generalizzare ma in diversi casi le quotazioni che le banche non quotate si danno appaiono certamente più generose di quelle delle banche quotate.

Ed è possibile così trovare banche non quotate che si “auto-valutano” più del doppio e anche il triplo delle banche quotate.

Il rapporto capitalizzazione/mezzi propri si calcola, bilancio alla mano, dividendo il valore della banca (quotazione o stima della singola azione x numero delle azioni in circolazione) per il valore della voce patrimonio (capitale sociale più riserve).

“Se la Banca XXX fosse quotata a Piazza Affari nel mercato più liquido verrebbe valutata a fronte di un patrimonio netto per azione di 100 mediamente 50 o 70 – spiega Roberta Rossi di MoneyExpert.it – Ma siccome la Banca XXX non è quotata sul listino è riuscita in questi anni a far passare la quotazione di 200 e anche 300.

Qualche esempio? Se guardiamo il bilancio 2012 di Veneto Banca guidata da Vincenzo Consoli scopriamo un patrimonio netto consolidato di circa 3086 milioni di euro. La stessa banca si auto-valuta (con il parere di un consulente esterno) 40,75 euro per azione che moltiplicato per il numero di azioni (circa 100,347 milioni) significa una valutazione complessiva di 4089 milioni di euro. Circa 1,3 volte il patrimonio. Ed è curioso osservare dalla lettura del bilancio 2012 che la società dichiara che lo scorso anno oltre 15.855 nuovi soci hanno voluto (spontaneamente?”) acquistare lo scorso esercizio le azioni di Veneto Banca con un incremento del +34,1% della base soci.

Nel caso della Banca Popolare di Vicenza guidata da Giovanni Zonin il valore per azione stimato nell’ultimo bilancio è stato di 62,5 euro (uguale a quello dell’anno precedente) e porta a un valore di capitalizzazione dell’Istituto di circa 4983 milioni di euro pre aumento di capitale (in questi giorni si sta concludendo una nuova operazione mista). Anche in questo caso una volta e mezzo il patrimonio.

Valori che diversi analisti del settore bancario giudicano generosi vedendo i conti e le valutazioni degli istituti quotati a Piazza Affari come si può evidenziare nella tabella pubblicata più avanti realizzata dall’Ufficio Studi di BorsaExpert.it dove abbiamo confrontato alcune banche quotate e non con la loro capitalizzazione borsistica o stimata (nel caso di quelle non quotate in base ai valori che queste società danno alle loro azioni), col patrimonio netto e per trovare un valore facilmente confrontabile abbiamo anche diviso la capitalizzazione di Borsa per il numero di filiali.

E si evidenzia così anche su questo fronte un’altra “stranezza”: mediamente oggi il mercato valuta in base ai prezzi di Borsa uno sportello bancario circa 1,5 milioni di euro mentre nel caso delle banche non quotate in questa lista (Veneto Banca e Banca Popolare Vicentina) il valore che emerge oscilla fra i 7 e gli oltre 8 milioni di euro per sportello.

“Sulle banche non quotate in effetti – osserva Alfonso Scarano, analista finanziario indipendente – effettivamente ci sono parecchie cose che non vanno ed in particolare il valore di queste banche… che viaggiano spesso a multipli pazzeschi ed insostenibili… oltrechè irragionevoli. Ed evidenziano situazioni che prima o poi potrebbero degenerare”.

Qualche esempio?

“L’ultimo aumento di capitale di Banca Popolare di Vicenza che assomma a quasi 600 milioni di euro fra aumento di capitale, obbligazioni convertibili e collocamento di azioni stabilisce il valore del titolo in un rapporto prezzo patrimonio netto (P/BV) di quasi quattro volte il P/PN (prezzo/patrimonio netto) di banche quotate e giustifica così come scritto sotto in rosso nel prospetto informativo l’incredibile prezzo in raffronto a quello medio delle banche quotate”.

(la spiegazione data da Banca Popolare di Vicenza al prezzo di 62,5 euro assegnato alle proprie azioni)

“Il prezzo di Euro 62,5 per azione, determinato secondo le logiche sopra esposte, evidenzia, quale
specifico fattore di rischio connesso agli strumenti finanziari offerti relativamente ai moltiplicatori
“Price/Earnings” e “Price/Book Value” riferiti all’Emittente e calcolati sulla base dei Prezzi di Offerta,
un disallineamento rispetto ai multipli di mercato di un campione di banche con azioni quotate, in
ragione del fatto che il valore delle azioni dell’Emittente viene determinato annualmente dall’assemblea
dei soci e non in un mercato regolamentato”.

Quindi secondo i vertici di questa banca il disallineamento è giustificato “in ragione del fatto che il valore delle azioni dell’Emittente viene determinato annualmente dall’assemblea dei soci e non in un mercato regolamentato”.

Quindi un rincaro di tre/quattro volte il mercato perchè lo decide l’assemblea… che si trova palesemente in conflitto di interessi.

“E alla Banca d’Italia come alla Consob, alle cosiddette autorità di controllo, questo approvvigionamento di risorse di capitale assai rincarato solo perchè lo stabilisce l’assemblea, non pare interessi affatto – osserva Alfonso Scarano – Oppure, buon affare per la banca, penserà forse il controllore bancario…”.

eraltro l’ultima operazione di rafforzamento patrimoniale lanciata da Banca Popolare di Vicenza prevede anche “un ampliamento della base sociale da realizzarsi attraverso un aumento di capitale ordinario fino ad un massimo di 100 milioni di euro che consenta esclusivamente la sottoscrizione di 100 azioni della banca, quantità prevista dallo statuto sociale per richiedere l’ammissione a socio».

In pratica come sta avvenendo in molte banche non quotate per migliorare i coefficienti patrimoniali si fa pressing allo sportello per convincere i correntisti a diventare soci, facendoli entrare a prezzi non proprio da discount.

“Peraltro l’asimmetria informativa e il conflitto d’interessi fra banca e risparmiatori e correntisti è evidente – osserva Scarano – Quale logica ci sarebbe per esempio che un cliente della banca con dei mutui aperti verso la la banca vada ad investire nella banca stessa? E chi si preoccupa in queste banche non quotate dello sbilanciamento di forza contrattuale? Perché ci possono essere clienti di queste banche indotti, forse anche per mantenere le linee di credito, a sottoscrivere titoli carissimi e soprattutto titoli senza un vero mercato, perchè così li valuta l’assemblea, e la cui controparte è di fatto la sola stessa banca? C’è qualcosa che non funziona in questo potenzialmente rischioso connubio da cliente e debitore della banca ad azionista che investe a caro prezzo nella banca stessa con queste regole”.

Citiamo nella tabella i casi delle 2 banche venete perché queste società sono pure fra le più trasparenti nel mondo delle banche non quotate ma le cui azioni sono molto diffuse fra i piccoli risparmiatori ma simili ragionamenti si possono fare per numerose banche non quotate.

Simili valutazioni così tirate (per quanto naturalmente tutte queste banche avranno sempre un professionista cosiddetto indipendente a cui hanno commissionato una perizia) nel passato poteva forse essere giustificata perché diverse di queste realtà bancarie erano state gestite meglio delle consorelle maggiori anche per via del forte radicamento territoriale in zone spesso molto ricche ma oggi secondo molti analisti (noi compresi) diventa sempre più difficile riuscire a giustificare queste extra valutazioni e gli ultimi bilanci di molte di queste banche non quotate non esprimono affatto una redditività fuori dal comune.

E molte delle stesse banche non quotate quando si trovano a dover ricomprare le proprie azioni da clienti che vogliono uscire sono in forte difficoltà: è cronaca degli ultimi mesi. Tempi di attesa biblici nei casi peggiori, rimandi continui, scuse balbettate a mezza voce, spiegazione di difficoltà a trovare altri soci disposti a rilevare quelle azioni (come se si trattasse di una catena di Sant’Antonio) visto che la banca non è attualmente in grado per le motivazioni più disparate.

Questo è per esempio un post che è stato pubblicato qualche giorno fa sul blog di Beppe Grillo e ha raccolto già le segnalazioni di altri risparmiatori che raccontano di analoghe difficoltà a uscire da questo tipo di investimenti o del fenomeno crescente che molte banche (anche “sistemiche” possiamo assicurare) per dare un finanziamento a piccoli o grandi imprenditori hanno preso il vizietto di chiedere ai propri clienti di acquistare o titoli della banca o sottoscrivere gestioni sempre della banca. “Se vuoi avere dei soldi dalla tua banca devi dimostrarci di crederci” è quello che si stanno sentendo dire sempre più correntisti.

Ecco la testimonianza:

Sono una correntista di Banca Marche e sono una piccola imprenditrice. Tempo fa, per poter accedere a un fido di 5.000 euro, la direttrice di una filiale di Banca Marche mi ha praticamente “costretta” ad acquistare il pacchetto minimo di azioni (1.025 per la precisione), perchè, a suo dire, se la banca da una mano a me, io devo essere disposta a un “piccolo” sacrificio, altrimenti potevo scordarmi il fido. All’epoca per l’operazione spesi quasi 1.000 euro. In questo momento di difficoltà, se potessi venderle e riprendere quanto speso sarebbe un enorme aiuto, ma… indovina un po’? A rivendere le azioni oggi, il valore delle stesse si aggira intorno a 350 euro”

E.B.

Il 32,5% del capitale di Banca Marche è distribuito tra circa 40.000 piccoli azionisti. I correntisti sono 550.000. (fonte http://www.beppegrillo.it/2013/07/i_piccoli_azionisti_di_banca_delle_marche.html)

Se volete essere azionisti di queste banche valutate bene quindi l’aspetto della liquidabilità dell’investimento perché se nel passato le banche regionali o locali potevano ricomprare queste azioni (valutando in modo arbitrario le proprie azioni e in evidente conflitto d’interessi) con una certa generosità e pure assecondare una politica di graduale ma lenta salita dei corsi oggi questo è un bel problema. Sono sempre più i problemi nei bilanci nelle banche e soprattutto s’inizia a ingrossare la fila di coloro che vogliono uscire mentre la “seconda mano” di chi vuole subentrare scarseggia di brutto. E valutare una banca più di una volta il patrimonio netto per azione di questo periodo diventa difficile salvo che la vostra banca abbia un Roe (utile netto diviso patrimonio) superiore al 10% e una capitalizzazione Prezzo / Utile inferiore a 10-12 e prospettive di crescita brillanti, crediti incagliati sotto la media con la capacità di poter continuare a generare anche nei prossimi anni simili risultati e magari staccare dividendi generosi nell’ordine del 3-4%.

La vostra banca ha queste caratteristiche e multipli? Nella maggior parte dei casi dubitiamo.

Lo speriamo per voi, infatti, ma sono veramente sempre più rare le banche in Italia che possono vantare multipli di questo tipo e prospettive eccellenti e quindi se volete un’opinione spassionata se l’istituto di credito di cui siete azionisti ha un valore presunto patrimoniale superiore a una volta il patrimonio e non sia una banca in crescita reddituale e buone prospettive fareste bene a chiedere di uscire dalla lista soci e farvi il più in fretta possibile farvi liquidare il valore delle azioni.

Attenti a restare col cerino in mano. E comunque se volete dormire sonni più tranquilli fate una piccola “due diligence” come quella consigliata, valutate in modo più oggettivo la vostra banca (non chiedendo certo all’oste un consiglio ovvero alla vostra stessa banca) e nel caso uscite.

“Di questi tempi di massima meglio stare alla larga da investimenti non scambiati su mercati quotati, poco liquidi, il cui valore è stabilito in modo troppo discrezionale e auto referenziale dagli stessi soggetti emittenti – consiglia Roberta Rossi – Soprattutto quando gli investimenti immobiliari la fanno da padrone nella nostra asset allocation meglio non ingessare anche il nostro patrimonio mobiliare. E meglio non concentrare tutto il patrimonio su un unico asset: il Belpaese”.

Diversificate i vostri investimenti e riducete il rischio di rimanere intrappolati in investimenti poco liquidi e legati solo al destino dell’Italia: immobili, obbligazioni bancarie italiane e titoli di stato dello stivale. Un mix concentrato su un unico asset, che rischia di diventare esplosivo e di farvi finire al tappeto.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Money Report – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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