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Perchè abbiamo smesso di parlare di coronavirus dopo la guerra in Ucraina? Il parere di psicologi e sociologi

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Siamo passati dai virologi ai generali, dal rischio di contagio a quello di contaminazione nucleare, dai respiratori alle bombe. Tutto è accaduto dall’oggi al domani a partire dal 24 febbraio scorso, data in cui ha avuto inizio l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Da allora, la guerra in Ucraina ha “sconfitto” il coronavirus, che è passato in sordina sui mass media e sui social media. Ieri il Governo Draghi ha annunciato in conferenza stampa la fine delle restrizioni e le tappe dell’uscita dall’emergenza innescata dal Covid-19. Ma al di là delle rassicurazioni governative e della narrativa dell’uscita dalla crisi pandemica, permangono delle notizie preoccupanti, anche se sono meno diffuse. Ieri l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha definito l’aumento dei casi di coronavirus a livello globale “la punta dell’iceberg”, consigliando ai paesi di monitorare la situazione. Ciononostante, il coronavirus è passato in secondo piano sui mass media e sui social media, dove ormai non si parla d’altro che della guerra in Ucraina. Come mai? Wall Street Italia ha raccolto i pareri di sociologi e psicoterapeuti.

De Masi: “La stanchezza comunicativa ha portato il virus a cedere il passo a una guerra, anche di comunicazione”

Domenico De Masi, sociologo e professore emerito all’Università La Sapienza di Roma, ritiene normale che una tematica che si ripeteva da almeno 700 giorni in tutti i media come il coronavirus vada incontro a una “stanchezza comunicativa“. E ricorda che “la  guerra è una regressione infantile, non solo perché si fa a botte invece che discutere, ma anche sul fronte della comunicazione. Le guerre sono anche di comunicazione e l’Occidente si è dato da fare in tal senso, come dimostra la sovraesposizione della guerra in Ucraina, con cui siamo schierati e che porta a una sua narrativa parziale. Ma questo è tipico della comunicazione bellica, in cui l’oggettività e la comunicazione superpartes sono quasi impossibili”, afferma il sociologo.

Un altro motivo dietro la sovraesposizione mediatica del conflitto in Ucraina è lo spauracchio della guerra nucleare, che a differenza delle altre guerre, è in grado di distruggere un intero continente in poche ore. “I morti di coronavirus sono decisamente inferiori alla potenziale distruzione dell’intera umanità che porterebbe la guerra nucleare paventata da Putin. Siamo seduti su un vulcano: occorre lanciare un movimento mondiale per la distruzione delle armi nucleari”, propone De Masi.

Gelo: “In presenza di una serie di pericoli, ci focalizziamo sul maggiore”

Omar Gelo, psicoterapeuta e docente di psicologia dinamica presso l’Università del Salento, riconduce la focalizzazione dei media sull’Ucraina alla “tendenza alla polarizzazione”, che porta a focalizzarci su un elemento al di fuori delle righe. E racconta: “Questo fenomeno è dovuto a una dinamica emozionale, di pancia, per cui ci focalizziamo sul pericolo maggiore e più attuale, in presenza di una serie di pericoli”.

Menichini: “Focus spostato sulla guerra in Ucraina perché è poco gestibile e ci fa paura”

La psicologa e psicoterapeuta Mirella Menichini riflette sul fatto che gli ultimi due anni sono stati pesanti per tutti rispetto alla gestione della pandemia: “Abbiamo vissuto ansia e preoccupazione per quanto successo, forse anche un po’ troppo in alcuni momenti, creando allarmismo invece di contenere le preoccupazioni delle persone. Ora si sta facendo lo stesso, spostando l’attenzione dalla pandemia che pare essere sotto controllo alla guerra Ucraina, che sfugge dal nostro controllo e costituisce un’altra fonte di ansia, perché è poco gestibile e ci fa paura”. La psicoterapeuta poi avanza un dubbio: “Forse stiamo correndo dietro troppo a questa ansia, ingigantendo la situazione che stiamo vivendo. Siamo tutti emotivamente carichi e stanchi dopo il coronavirus, ma questo non ci non aiuta a gestire ansie e paure”.

Cristante: “Stiamo vivendo un esperimento giornalistico di massa”

Per Stefano Cristante, docente di sociologia di processi culturali e comunicativi presso l’Università del Salento, lo spostamento dell’attenzione mediatica dal Covid-19 alla guerra in Ucraina innanzitutto è giustificato dal fatto che “le notizie che arrivano da Kiev sono enormi: si tratta di un evento di importanza paragonabile a quella della pandemia nei valori notizia di un giornale. Inoltre questa notizia può essere seguita giorno dopo giorno, come se fosse una serie giornalistica”.

Il sistema giornalistico si sta infatti avviando a privilegiare eventi con una narrazione continuativa, andando verso la “serializzazione delle notizie”, che non sappiamo quanto possa durare nel tempo e quanto possa essere sopportabile a livello psicologico. “Quello che stiamo vivendo è una sorta di esperimento giornalistico e inedito di massa: per la prima volta abbiamo due notizie così forti e così prolungate nel tempo, con notizie positive poi negate da recrudescenze del virus o affossamento dei negoziati”. Dietro la focalizzazione sulla guerra in Ucraina vi è poi la predisposizione a “ospitare temi monologici del giornalismo contemporaneo“.

Colombo: “La parabola di notiziabilità del coronavirus sta scemando, quella della guerra in Ucraina sta salendo”

Fausto Colombo, docente di Media and Communication Theory, responsabile del dipartimento di Media and Performing Arts e vicerettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, chiama in causa la “parabola della notiziabilità“. Il ciclo della notiziabilità prevede che gli eventi traumatici provocano abbassamento della soglia di notiziabilità di altri fatti. Questi eventi traumatici hanno una parabola di attenzione, in cui giornali investono molte risorse in questo. “La pandemia ha avuto un andamento oscillante, ma la parabola della sua rappresentazione sui media è matura, per cui ora tende a scendere, anche perché pubblico non ne può più di sentirne parlare”, spiega il sociologo. Parallelamente, è avvenuto un nuovo evento traumatico: la guerra in Ucraina. “Quest’ultima ha avviato una nuova parabola della notiziabilità, attivando diverse professionalità: dagli esperti di geopolitica agli inviati di guerra, che hanno preso il sopravvento sulla parabola discendente della pandemia, in esaurimento dal punto di vista simbolico”, precisa Colombo.

La logica della notiziabilità replica la parabola dell’attenzione pubblica: non vediamo l’ora che finisca la pandemia, ma non potendo terminarla, facciamo finire le notizie sulla pandemia. “Il fenomeno riguarda sia i mass media che i social media, che hanno esportato i criteri di notiziabilità”, chiarisce il sociologo dell’ateneo milanese.

Quali sono i rischi del silenzio sul coronavirus e della focalizzazione sull’Ucraina?

Secondo il sociologo Cristanti, rischiamo “un risveglio di attenzione sul coronavirus molto negativo, con una situazione complicata e nuova ondata di avversione verso istituzioni”. Allora bisognerà capire se mantenere le misure di sicurezza, come e con quali finalità.

Lo psicologo Gelo ammonisce sul rischio di contribuire ad alimentare nei singoli individui una percezione sclerotizzata delle cose del mondo, per cui si vede la realtà solo a spicchi. “In situazioni angoscianti, si rischia di essere sopraffatti da angoscia e paura oppure di negare il problema, come è già accaduto con il coronavirus tra i negazionisti e le persone che si sono barricate in casa. Entrambe le situazioni indicano che soggetto non è in grado di relativizzare ciò che accade, soccombendo o rifuggendo il pericolo”.

Per la psicologa e psicoterapeuta Menichini, rischiamo un ulteriore aggravamento del nostro stato psicologico, già molto provato dal coronavirus. “C’è il rischio che aumentino ansie e paure nei soggetti più fragili. I ragazzi delle scuola medie e superiori con cui lavoro sono allarmati e terrorizzati, stanno perdendo di vista l’obiettività”, racconta la psicoterapeuta. I mass media e i social media stanno gettando benzina sul fuoco, diffondendo immagini della guerra. “I bambini si chiedono cosa possa succedere se entriamo in guerra e se succederà anche qui qualcosa di simile a quello che sta accadendo in Ucraina. Temo un ulteriore crollo, con un aumento di ansia e panico, disturbi alimentari, insonnia, disturbi psicosomatici, separazioni e conflitti a livello familiare”, avverte Menichini.

I consigli degli esperti

Lo psicoterapeuta Gelo invita in generale a non farsi sopraffare dalle notizie negative. “In medio stat virtus, per cui occorre sentire che sta accadendo qualcosa di negativo, ma al contempo si può riuscire a fare i conti con esso. Se avessi la bacchetta magica, mi piacerebbe che i media non fossero monopolizzati da una sola tematica, in modo da permettere meglio alle persone di relativizzare gli eventi problematici e quindi di farci maggiormente i conti”.

La psicologa e psicoterapeuta Menichini consiglia di non fingere che la guerra non ci sia o non esista, perché “quando non si parla di qualcosa, nella mente si ingigantisce, ma rielaborare quanto successo”. A suo avviso, bisogna parlare della guerra in Ucraina con i ragazzi e i figli con il giusto linguaggio, per rassicurarli sul fatto che genitori e insegnanti sono presenti, trasmettendo loro un senso di protezione. E informarsi bene sul tema, da fonti attendibili e non da programmi o social media che cercano solo di fare audience.

Per quanto concerne il coronavirus, secondo la psicologa è opportuno chiarire che se ne parla di meno perché stiamo imparando a conviverci, grazie alle cure e ai vaccini.

A che punto è il coronavirus in Italia?

Oggi, Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, nel nostro paese si sono registrati 76.250 nuovi contagi (+44% su base settimanale) e 165 morti, con un tasso di positività in aumento dal 15,1% al 15,5%. A livello regionale, il maggior numero dei contagi è avvenuto in: Lazio (+9.004), Lombardia (+8.555) e Puglia (+8.521). Il monitoraggio dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) diffuso oggi rileva un aumento dell’incidenza dei casi e dell’indice di trasmissibilità Rt, salito a quota 0,94. L’ISS inoltre ha classificato quattro Regioni italiane e a rischio alto “a causa di molteplici allerte di resilienza”, mentre altre 15 sono a rischio moderato. Nell’ultima settimana è stato registrato un aumento del 36% di casi di Covid-19 a livello nazionale, rispetto ai 7 giorni precedenti, ed è frenata la discesa dei ricoveri in area medica (-3,5%); mentre è rimasta stabile quella di terapie intensive (-16,4%) e decessi (-18,7%). È emerso dal nuovo monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe, sull’andamento della pandemia, riferito alla settimana 9-15 marzo 2022. Secondo il suo presidente, Nino Cartabellotta, “nel nostro Paese la circolazione virale è ancora molto elevata e la curva dei contagi ha ripreso a salire”. A suo avviso, l’inversione di tendenza è figlia del “rilassamento della popolazione alla diffusione della più contagiosa variante Omicron BA.2, dal calo della protezione vaccinale nei confronti dell’infezione alla persistenza di basse temperature che costringono ad attività al chiuso”.