Economia

Pensione in due tempi: spunta una nuova proposta

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Niente di concreto all’orizzonte in merito alla riforma pensioni. Complice la crisi Ucraina e l’impegno del governo alla stesura del decreto Taglia Prezzi, al momento di modifiche all’attuale regime previdenziale non se ne parla ufficialmente. Nel DEF approvato poco tempo fa di riforma pensioni non se ne parla.

Il governo deve mantenere l’attenzione sulle riforme strutturali, con particolare riguardo “all’assetto del sistema pensionistico per il quale, nel pieno rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici, della sostenibilità del debito e dell’impianto contributivo del sistema, occorrerà trovare soluzioni che consentano forme di flessibilità in uscita ed un rafforzamento della previdenza complementare … Occorrerà, altresì, approfondire le prospettive pensionistiche delle giovani generazioni”.

Così ha detto qualche giorno fa il ministro dell’Economia, Daniele Franco, nell’introduzione al Def.

Pensioni in due tempi: l’ultima proposta

Ma sul tavolo rimangono comunque delle ipotesi. Tra le più gettonate nelle ultime ore e che avrebbe preso più appeal delle altre c’è la cosiddetta “pensione a due tempi“, una forma di pensionamento anticipato, che quindi renderebbe possibile l’uscita dal mondo del lavoro prima dei 67 anni. Il meccanismo della “pensione a due tempi”  prevede che una parte della pensione, quella contributiva, venga erogata prima dei 67 anni mentre la seconda parte, la quota retributiva, venga integrata quando si saranno raggiunti i requisiti stabiliti per la pensione di vecchiaia

La prima quota ad arrivare sarebbe quella relativa ai contributi versati, calcolata con il sistema contributivo; la seconda quota, quella retributiva, arriverebbe in un secondo momento. Una volta raggiunta la pensione di vecchiaia al lavoratore spetterebbe l’assegno pieno, completo di quota retributiva e quota contributiva.

Per accedere alla “pensione a due tempi“ occorrerà rispettare due requisiti: uno anagrafico quindi occorre aver compiuto 63 o 64 anni e uno contributivo con un’anzianità alle spalle di almeno vent’anni e aver maturato una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Si dichiara a favore della pensione in due tempi Pasquale Tridico, presidente dell’Inps che l’ha descritta come l’unica soluzione “davvero flessibile e finanziariamente compatibile” nei costi rispetto alla platea.

Secondo le stime dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, sarebbero circa 203mila le pensioni aggiuntive attivabili tra il 2022 e il 2024, cui sommarne altre 129mila dal 2025 al 2027 per un totale complessivo di 332mila pensioni dal 2022 al 2027. I costi? Attorno ai 4,2 milioni di euro tra il 2022 e il 2027, che sarebbero poi recuperati da risparmi di spesa che dal 2027 al 2031 potrebbero ammontare a circa 2 miliardi di euro.

Le altre misure sul tavolo

Sul tavolo di riforma pensioni ci sono anche le proposte dei sindacati. Qualche tempo fa Paolo Capone, Segretario Generale dell’Ugl aveva dichiarato:

L’apertura del Governo alla previsione di meccanismi che incentivino la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro va nella direzione auspicata dall`UGL, tuttavia non siamo favorevoli al ricalcolo interamente contributivo. Quota 102, attualmente in vigore, scadrà a fine anno e, in assenza di una riforma previdenziale, a partire dal 2023 tornerebbe in vigore la Legge Fornero che prevede il pensionamento a 67 anni … ci opponiamo fortemente ad un graduale ritorno della Legge Fornero e riteniamo che la soluzione migliore resti Quota 41, che prevede 41 anni di contributi a prescindere dall’età lavorativa. E’ fondamentale, dunque, tutelare i diritti acquisiti dei lavoratori, garantendo, al contempo, il turnover generazionale e l`ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”.

Capone in sostanza sottolinea che In Italia da 10 anni si va in pensione a 67 anni di età, mentre in Europa la media solo ora raggiunge i 63 anni. Anche il presidente InpsPasquale Tridico ha messo nero su bianco poco tempo fa la sua proposta di riforma previdenziale, preparando una legge – che sarebbe sostenibile per le casse dello Stato, andando a costare 400 milioni all’anno invece dei 10 miliardi di quota 41 –  e che prevede di dare a chi va in pensione a 64 anni solo la parte contributiva dell’assegno maturata fino a quel momento, per poi pagare la quota retributiva totale della pensione una volta raggiunti i 67 anni, seguendo quanto stabilito dalla legge Fornero.

È un binomio che ripeto già da qualche anno. La flessibilità è possibile all’interno del modello contributivo. Io propongo un compromesso: si può anticipare l’uscita a 64 anni ottenendo solo la quota contributiva dell’assegno. Poi dai 67 anni si riceverebbe anche la parte retributiva. Credo che sia una soluzione accettabile anche per i sindacati. Ma credo anche che dovremmo imparare a maneggiare con cura l’informazione sulla sostenibilità dei sistemi previdenziali… La sostenibilità del nostro sistema – continua il presidente – è fortemente connessa al fatto che ci sono troppe poche persone che lavorano, soprattutto giovani. Da decenni siamo inchiodati a un numero: 23 milioni di lavoratori”.