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Pensione: età anagrafica più importante dei contributi versati

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ROMA (WSI) – Roberto Lombardi consulente Cna servizi, analizza lo stato del sistema pensionistico italiano e dà alcuni consigli a chi spera prima o poi di andare in pensione.

Recentemente è stata pubblicato il rapporto 2014 della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico. Quali sono in sintesi i risultati di questo rapporto in riferimento anche alla recente riforma delle pensioni?

Il rapporto della Ragioneria evidenzia come il tasso di sostituzione, ovvero l’importo dell’assegno previdenziale rispetto all’ultimo stipendio, tenderà a diminuire nei prossimi anni, com’era del resto prevedibile, a seguito della recente riforma, che ha definitivamente introdotto come unico sistema di calcolo per la pensione il metodo contributivo a fronte del retributivo.

Per il sistema retributivo la pensione è una percentuale (tanto più alta quanti più anni l’individuo ha lavorato) della retribuzione pensionabile, ossia una media dei redditi percepiti negli ultimi anni di vita lavorativa. Nel calcolo contributivo, invece, la pensione è calcolata sulla base dei contributi versati. Tali contributi vengono utilizzati anno per anno per pagare le pensioni in essere, ma è come se venissero investiti in una sorta di conto corrente e rivalutati in base alla crescita del Pil.

Al pensionamento la somma dei contributi e delle rivalutazioni costituisce il montante contributivo che si trasforma in pensione moltiplicandolo per un coefficiente di trasformazione legato all’età al pensionamento. Come si evince dal rapporto per effetto del coefficiente di trasformazione l’importo delle pensioni future sarà maggiormente influenzato dall’età anagrafica in cui si andrà in pensione più che dagli anni di contribuzione.

Insomma a parità di contributi versati chi si ritirerà dal lavoro più tardi avrà un tasso di sostituzione migliore. Altro elemento importante è la crescita del PIL, che nel rapporto si considera pari al 1,5%, in quanto determinante per la rivalutazione dei contributi versati. Un perdurare della crisi a tassi di crescita inferiori impatterebbe notevolmente sul sistema.

In sintesi per fare un esempio sulle proiezioni presenti del rapporto: un lavoratore che nel 2020 andrà in pensione con 38 anni di contributi avrà un tasso di sostituzione del 68,0% lordo, nel 2050 del 63,7% lordo, comparato ad un lavoratore pensionato nel 2010 che avuto un tasso di sostituzione pari al 74,1%.

Secondo lei era proprio necessaria questa riforma che abbiamo visto peggiora le condizioni ed eventualmente quali soluzioni ci possono essere?

La riforma andava fatta per eliminare gli squilibri al nostro sistema previdenziale. Detto questo per ovviare alla minore rendita pensionistica bisogna assolutamente puntare sulla previdenza complementare, il cosiddetto secondo pilastro. Oggi rimangono ancora insufficienti le adesioni a tali fondi prospettandoci un futuro in cui senza tali versamenti aggiuntivi una gran parte degli attuali lavoratori avranno prestazioni pensionistiche insufficienti. Purtroppo la crisi ha effettivamente creato delle situazioni di non facile soluzione, dove i lavoratori devono più occuparsi del presente che programmare la propria strategia previdenziale e le aziende già in difficoltà non possono assumere costi aggiuntivi rispetto al costo del lavoro. Rimane che l’unica strada possibile per colmare la riduzione delle rendite future è puntare su soluzioni che integrino la pensione Inps attraverso appunto i fondi pensione o piani individuali pensionistici. A tal proposito Vittorio Conti, commissario straordinario dell’INPS, ha rilanciato la busta arancione. Questo strumento permetterà ad ogni lavoratore di avere una fotografia in merito ai contributi versati, nonché proiezioni sulla potenziale rendita pensionistica futura, aiutandolo ad avere contezza di quello che sarà e permettigli di impostare il più possibile al meglio la propria pianificazione previdenziale.

Da più parti si critica questa riforma in quanto si sostiene che la maggiore permanenza in azienda sia un freno per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

In realtà questo che potrebbe sembrare quasi un automatismo non è così evidente. Se si prendono ad esempio alcuni paesi con maggiore tasso di occupazione giovanile si riscontra anche un tasso di occupazione di 60enni elevato e viceversa. Il 60enne che lavora guadagna di più, consuma di più, non preleva dalla fiscalità generale risorse che possono essere investite altrove, insomma situazioni queste che non possono che generare effetti occupazionali positivi per i più giovani.

In tema di pensioni il governo Renzi ha deciso di intervenire. Ci può fare il punto?

Le due questioni più urgenti riguardano la nota questione della quota 96 scuola e gli esodati. L’intervento sulla questione “quota 96 scuola”, problema che derivava da una lacuna della riforma Fornero, permetterà a quattromila insegnanti, bidelli e dipendenti delle scuole di tutta Italia di accedere alla pensione dal 1° settembre. Proprio in questi giorni per accelerare i tempi si è deciso di inserire tale emendamento all’interno del decreto sulla Pubblica Amministrazione. La seconda questione riguarda il nodo delicato dei cosiddetti esodati. E’ stata infatti recentemente approvata dalla Camera la sesta salvaguardia esodati. Il provvedimento estende la salvaguardia a altri 32.100 lavoratori, prevedendo l’allungamento di un anno (fino al 6 gennaio 2016) del periodo entro il quale può scattare la decorrenza della pensione dei lavoratori interessati con le vecchie regole. Si attende pertanto l’approvazione definitiva dal Senato entro la pausa estiva con l’immediata pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Secolo XIX – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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