Una recessione nei prossimi cinque anni sembra inevitabile. Assumere dei rischi in un contesto di ciclo avanzato potrebbe essere premiante in una prima fase, ma diventerà sempre più impegnativo con il passare del tempo.
Su un orizzonte quinquennale ci aspettiamo che i rendimenti delle diverse asset class rimangano al di sotto delle rispettive medie storiche. Per chi investe in euro l’outlook relativo non è tuttavia negativo, soprattutto se l’obiettivo dell’investitore è battere la liquidità.
Questo perché le diverse classi di rischio presentano delle prospettive migliori rispetto ai rendimenti attesi della liquidità, che insieme ai titoli di stato europei dovrebbero registrare le performance più deludenti. Per gli investitori statunitensi le prospettive del rendimento assoluto sono più rosee, dato che secondo le nostre previsioni beneficeranno di un apprezzamento delle valute estere e del carry positivo garantito dai differenziali dei tassi di interesse.
È possibile che i tassi a breve termine siano superiori alla fine dell’orizzonte quinquennale rispetto ai valori attuali, ma nel nostro scenario di base non prevediamo grandi interventi da parte delle banche centrali. Crediamo infatti che adotteranno una posizione cauta, accettando un eventuale picco dell’inflazione.
BCE e BOJ rimarranno probabilmente ferme, mentre ci aspettiamo un leggero rialzo da parte della Fed, cui seguirà un’inversione della rotta a seguito dell’inizio della recessione. Ci aspettiamo un rendimento quinquennale dell’1,6% della liquidità in dollari, mentre per Europa e Giappone un rendimento negativo pari a -0,5% e -0,1%, rispettivamente, in valuta locale.
I bond governativi con rating elevato tradizionalmente offrivano agli investitori la garanzia di una piena protezione del capitale quando portati a scadenza. L’attuale contesto di debito a rendimento negativo capovolge questo assunto, implicando una perdita certa per gli investitori al raggiungimento della maturità. I premi a termine appaiono artificialmente bassi e riflettono il nostro assunto di base, ossia che le banche centrali abbiano deliberatamente ridotto i premi a termine senza spingere però l’inflazione a livelli in linea con la stabilità dei prezzi nel medio termine. Come detto in precedenza, uscire dalla trappola della liquidità in cui liquidità e obbligazioni sono di fatto sostituti sarà difficile, e il QE complicherà ulteriormente la situazione dato che non sta rilanciando l’inflazione.
Potrebbe rivelarsi necessario un nuovo “whatever it takes” per invertire la tendenza, e non da parte di un banchiere centrale ma piuttosto da una figura inattesa: il governo tedesco, attraverso lo stimolo fiscale. Certo sembra improbabile, ma un deficit fiscale da parte della Germania (o di altri Paesi core dell’area euro) aumenterebbe l’offerta e il flottante del mercato dell’obbligazionario AAA e spingerebbe verso l’alto i premi a termine.
Questo favorirebbe anche una sinergia tra politiche monetarie e fiscali, dato che una maggiore offerta di obbligazioni diminuirebbe i limiti tecnici di implementazione del QE, come il capital key e i limiti agli emittenti. Prevediamo un rendimento negativo pari a -1,5% per i titoli di stato di alta qualità dell’area euro nei prossimi cinque anni. Negli Stati Uniti ci aspettiamo un aumento dei rendimenti: l’inflazione supererà il 2% e i Treasury andranno oltre il 3%. Tuttavia, con il prendere piede dell’inflazione, questo trend si invertirà.
I Treasury offriranno agli investitori circa il 3% in dollari, pari a un premio dell’1,4% rispetto alla liquidità, il che li rende una delle asset class più interessanti per i prossimi cinque anni.
L’anomalia dei rendimenti negativi dei bond governativi dei Paesi sviluppati ha portato a un paradosso nei mercati obbligazionari rischiosi: obbligazioni high yield europee a breve termine con rendimenti negativi. La spinta dei governativi a rendimenti sempre più bassi si è chiaramente fatta sentire nell’universo del credito.
Anche se solo una piccola parte del mercato high yield è interessato da questo fenomeno, titoli AAA denominati in euro erano entrati in territorio negativo già nel 2015. Ci aspettiamo comunque una crescita del numero di obbligazioni corporate a rendimento positivo nei prossimi cinque anni.
Anche durante le moderate recessioni USA del 1991 e del 2001, i tassi di default dell’high yield hanno raggiunto la doppia cifra, e ci aspettiamo che la prossima recessione non sarà differente. Gli spread si amplieranno a causa del rischio di default più elevato e del peggioramento della liquidità.
Dato che prevediamo una recessione contenuta, l’ampliamento di questi spread dovrebbe offrire valore agli investitori in futuro, con le società che assumeranno posizioni più favorevoli nei confronti del mercato obbligazionario nel periodo successivo alla recessione. Inoltre, ci aspettiamo che le banche centrali acquisteranno credito e, forse, obbligazioni high yield per favorire una ripresa.
Ne seguirebbe una significativa compressione degli spread nella fase conclusiva del periodo quinquennale considerato. Prevediamo un extra-rendimento del credito investment grade di 40 punti base e dell’high yield di 75 punti base.
Anche questa volta hanno vinto gli ottimisti: negli ultimi cinque anni l’azionario globale ha realizzato una performance annualizzata pari all’8,6% (annualizzato, MSCI World in valuta locale), ben al di sopra del 5,5% che avevamo previsto nel 2014. Caso opposto quello dell’azionario emergente, per il quale eravamo stati noi ad essere troppo ottimisti: l’asset class ha reso, sempre in valuta locale, il 5,3% su base annua nell’ultimo quinquennio, al di sotto del 6,75% da noi anticipato.
Crediamo che l’azionario globale batterà comunque la liquidità, ma che questa vittoria non sarà così semplice.
Se guardiamo all’attuale ciclo, iniziato nel marzo del 2009, dividendo i fattori che hanno determinato i rendimenti azionari in settori, Paesi e mercati, scopriamo che la performance è sempre più slegata dai fattori macro globali. Fattori come le politiche accomodanti delle banche centrali hanno contribuito per il 65% alla performance dei portafogli azionari globali nei primi anni del ciclo, mentre oggi il dato si ferma al 50%.
I fattori locali, di contro, hanno guadagnato importanza e sono ora responsabili per il 25% dei rendimenti azionari – la stessa percentuale si registra per l’esposizione settoriale. È interessante notare che nonostante il successo dei FAANG la corsa del mercato non è dettata dal settore tecnologico statunitense, contrariamente a quanto successo nei primi anni 2000, quando il contributo dei settori alla performance raggiunse il 50%.
Le materie prime sono forse l’unica asset class di rischio che non ha registrato performance positive nel corso di questo ciclo espansivo da record, con il dato del GSCI commodity index che registra un -30% negli ultimi dieci anni. Gli studi mostrano che i rendimenti attesi più elevati per le materie prime sono frutto di un contesto in cui il prezzo spot è superiore al prezzo dei future, condizione che si verifica spesso in uno scenario macroeconomico di calo dei livelli delle scorte.
Nel nostro scenario di base, ci aspettiamo una diminuzione dei rendimenti roll negativi, con il crescente protezionismo che porta a livelli di incertezza senza precedenti e accresce quindi i rischi legati all’offerta per il futuro, portando la curva dei future verso la backwardation.
La componente più volatile dei rendimenti delle materie prime è il rendimento spot, che è determinato in larga parte dalla crescita cinese nei prossimi cinque anni, dato che è il primo consumatore di materie prime. Considerate le incertezze macroeconomiche e politiche che ruoteranno intorno a Pechino nel prossimo quinquennio, crediamo che le autorità del Dragone adotteranno politiche più accomodanti, preferendo il mantenimento della crescita economica a una riduzione dell’indebitamento attraverso una stretta monetaria.
Questo dovrebbe sostenere i prezzi delle materie prime. L’asset class presenta interessanti proprietà nelle fasi avanzate del ciclo e storicamente ha performato meglio dell’azionario nel periodo precedente a una recessione e successivo all’inversione della curva dei rendimenti. Tutto considerato, le materie prime appaiono come un’eccezione dato che presentano un rendimento atteso prossimo o addirittura superiore al dato storico del 4%.