di Massimiliano Comità (AISM Luxembourg)

Investimenti sostenibili e armamenti, cosa fare

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L’uomo è un essere dalle molteplici personalità che spesso semplifichiamo a due: il Gramo e il Buono, come nel caso del Visconte Medardo di Terralba di Calvino. Quando ispirato, l’uomo crea capolavori senza tempo, come la Gioconda, il Colosseo o la Divina Commedia; quando iroso, semina distruzione, atrocità e terrore.

E mai come ora, questi due estremi emergono in seno all’Europa!

La guerra in Ucraina, di per sé umanamente atroce, ha evidenziato in Europa due necessità per loro natura contrapposte: la parte grama ha lanciato un appello al riarmo bellico, la parte buona a un riarmo di energie alternative quale unica possibilità per sperare in un’indipendenza energetica futura.

Nell’ultimo mese si è sentito spesso parlare del Patto atlantico e, in particolare, della dichiarazione d’intenti che imporrebbe – ad ogni Paese aderente – una spesa per la difesa pari al 2% del proprio PIL.

Oggi sono pochi a raggiungere questo target. Dopo lo scoppio della guerra in corso, però, sono stati in molti a promettere che non solo raggiungeranno quel valore, ma che lo supereranno. In prima linea, la Germania che ha annunciato, a tre giorni dell’inizio del conflitto, una spesa per la difesa di 100 miliardi di euro, quasi il doppio di quanto investito nel 2020.
L’Italia ha approvato l’aumento della spesa militare fino al 2% del PIL e Macron mette tra i punti per la rielezione all’Eliseo l’incremento della spesa militare: 50 miliardi entro il 2025. I singoli Paesi corrono così al riarmo e la stessa Europa ha approvato la creazione di un esercito di 5.000 uomini e un budget per la spesa militare, al fine di poter intervenire autonomamente in caso di bisogno. Non solo, l’Europa non più tardi del 15 febbraio scorso, prima del conflitto in Ucraina, ha proposto una riduzione delle tasse sulle armi prodotte nel Vecchio Continente.

C’è dunque da chiedersi se gli investimenti sostenibili, che come primo passo eliminano dal proprio universo investibile, tra gli altri, il settore delle compagnie che producono armi, stiano andando nella direzione giusta. Vero è che secondo la normativa SFDR fra i cattivi ci sono solo le armi non convenzionali, ma nel mondo ancora acerbo dei fondi ESG spesso si fa di tutta l’erba un fascio.

Passando al secondo riarmo, quello degli investimenti in energie rinnovabili, le cose stanno andando nella direzione di quel mondo ESG, e della sostenibilità in generale, più consono al pensiero comune.

Il conflitto in corso ha messo ancora una volta in luce la vulnerabilità energetica dell’Europa per la propria dipendenza dall’estero, Russa in particolare. E ancor più, ha mostrato la necessità di essere rapidi, di dotarsi di un’indipendenza energetica il prima possibile, senza ulteriori indugi.

Anche in tal caso, la prima a riarmarsi di 200 miliardi di euro per accelerare questo passaggio è stata la Germania, a voce del suo Ministro delle Finanze, Christian Lindner, dopo che i Verdi della coalizione guidata da Scholz hanno protestato in piazza, per paura che un investimento di 100 miliardi di euro per la difesa potesse intaccare il budget messo a disposizione della rivoluzione verde. Pensiero che non è venuto solo a loro, ma anche agli investitori.

Investimenti e guerra

Seppur poi smentita, la notizia fatta inizialmente circolare da Bloomberg, riguardante l’emissione di un secondo eurobond per finanziare la difesa e l’energia, ha messo le ali alle società legate ai due settori. In particolare, dal 23 febbraio alla prima decade di marzo, società legate alle energie rinnovabili, quali Orsted, Vestas o Nel, hanno messo a segno ritorni vicini al 40%/50%, e l’indice S&P Clean Energy ha registrato un rialzo di oltre venti punti. Del resto, se il primo eurobond annunciato a marzo 2020, con il programma Next Generation EU, ha portato ai nove mesi più brillanti per il settore delle rinnovabili, con rialzi multipli dei prezzi, perché non si può avere una seconda ondata?

I rialzi marcati registrati nella prima settimana di guerra, con il resto dei mercati in territorio negativo, suggeriscono come gli investitori nell’anno passato si siano allontanati da questi investimenti, nonostante nessun mutamento nelle intenzioni dell’Europa e dei governi mondiali riguardo ai temi sostenibili. Certo, sono emersi diversi punti critici, quali l’aumento dei prezzi delle materie prime, i problemi di supply chain, il procrastinamento dei progetti e l’aumento dei tassi di interesse che penalizzano società growth e del settore utility, rientranti nel panorama delle energie alternative, ma forse i prezzi di queste compagnie sono scesi oltremodo, quasi che la crescita promessa sia in forte dubbio.
A quest’ultimo riguardo, basti pensare che tra i motivi che hanno allontanato gli investitori nell’anno passato da questi temi c’è stata la maggiore competizione nei settori, quali il wind e il solare,  seppur si possa intuire, dalla necessità di energia da queste due fonti, quanto la domanda sia maggiore dell’offerta.

Ora gli investitori tornano, se non a puntare, quanto meno a non essere privi di società legate alle energie alternative e lo fanno nonostante i su menzionati problemi non siano alle spalle; anzi, con la guerra in corso possono solo aggravarsi. Non è poi detto che, nel caso in cui davvero l’Europa emetta un nuovo eurobond, il tema non torni a surriscaldarsi, data l’elevata sensibilità degli investitori rispetto a questi temi, con conseguente volatilità dei prezzi azionari.

Come abbiamo sempre detto, la trasformazione energetica si basa spesso su nuove tecnologie, vendute da società che vedranno utili solo fra qualche anno, perché oggi è il momento degli investimenti massicci. Ma è un viaggio che durerà trent’anni e siamo ancora ai blocchi di partenza. Ci vuole calma.