di Ugo Montrucchio (Schroders)

Inflazione elevata o crescita debole, cosa preoccupa di più gli investitori?

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Per interpretare il presente e affrontare il futuro dobbiamo prima comprendere il passato. Per chi fa asset allocation, sapere in quale fase del ciclo si trovano le economie è sempre stato importante, in quanto può aiutare a determinare il mix più appropriato di asset da inserire in portafoglio nei diversi momenti. Ma questo significa che per investire nel contesto odierno bisogna attenersi alle regole del passato?

Negli ultimi decenni si è verificato un solo caso di stagflazione prolungata: tra il 1973 e il 1974 il prezzo del petrolio è aumentato del 300%, con conseguente razionamento dell’offerta, elevata disoccupazione e bassa produttività. L’abbandono degli accordi di Bretton Woods ha fatto sì che diverse banche centrali in tutto il mondo avviassero politiche monetarie di stimolo proprio nel momento in cui le aspettative inflazionistiche si stavano disancorando, il che significa che i prezzi sarebbero diventati instabili. Ma le condizioni di oggi sono molto diverse da quelle degli anni ’70, per almeno tre motivi:

  1. la produttività è a livelli molto più elevati;
  2. la disoccupazione è più bassa e i governi stanno gradualmente ritirando parte del sostegno fiscale creato sulla scia della pandemia;
  3. i mercati finanziari negli anni ’70 erano meno interconnessi e gli investitori avevano meno accesso ai mercati.

Ciononostante, può essere utile esaminare sia i dati passati sia gli indicatori prospettici per capire dove potrebbero dirigersi le economie e i mercati. In particolare, dare un peso relativo ai rischi di inflazione e a quelli di crescita può aiutare a capire se e quando gli investitori dovrebbero riposizionare i loro portafogli in vista di una recessione.

L’attenzione del mercato si sta spostando dall’inflazione alla crescita

Durante il primo trimestre del 2022, molti investitori multi-asset (noi compresi) si sono posizionati in modo deciso a favore degli asset più adatti a proteggere dalle pressioni inflazionistiche. Le materie prime sono state una posizione strategica fondamentale e la performance positiva di questa asset class, fino ad oggi, è stata coerente con i periodi di stagflazione del passato.

Anche gli stili azionari hanno rispecchiato le preoccupazioni di chi ha cercato riparo dall’aumento dei prezzi, con una sovraperformance dei titoli energetici e dei settori con flussi di cassa esplicitamente legati all’inflazione reale (ad esempio REIT o infrastrutture).

Non sorprende che gli asset con rendimenti nominali, come i titoli di Stato, abbiano faticato a soddisfare il loro status di beni rifugio. Con un’inflazione ai massimi livelli degli ultimi 10 anni e ancora in crescita, gli investitori si sono affrettati a capitalizzare il rapido riprezzamento dei rendimenti.

Tuttavia, dall’inizio del secondo trimestre del 2022, abbiamo visto segnali di una potenziale rottura della narrativa sull’inflazione. Sebbene sia prematuro trarre conclusioni sulla base dei movimenti dei prezzi delle ultime settimane, notiamo che gli operatori di mercato sono diventati più equilibrati nel valutare il braccio di ferro tra i rischi di inflazione e di crescita in futuro.

Si tratta di una pausa naturale in quello che è stato un forte rally degli asset che proteggono dall’inflazione? O piuttosto un’avvisaglia dei timori degli investitori per un prossimo rallentamento della crescita? È difficile dirlo con certezza, ma di sicuro si tratta di un aspetto da monitorare con maggiore attenzione nella seconda metà dell’anno.

Le obbligazioni saranno un buon diversificatore?

Nel breve termine, i banchieri centrali si concentreranno sul controllo dell’inflazione, anche se questa azione potrebbe comportare un inasprimento delle condizioni finanziarie e, di conseguenza, un percorso difficile per l’economia reale e i mercati finanziari.

Una domanda molto importante per chi si occupa di asset allocation, è se le obbligazioni possano continuare a fungere da diversificatori del rischio azionario in un contesto in cui le pressioni inflazionistiche rimangono elevate. Pur ritenendo molto difficile prevedere le correlazioni future, ci aspettiamo che le proprietà di diversificazione delle obbligazioni siano più limitate in un mondo in cui i rischi inflazionistici prevalgono sulle preoccupazioni per la crescita.

Inoltre, è plausibile che l’aumento della volatilità registrato quest’anno possa essere indicativo della direzione di marcia futura, dato che in passato la maggiore volatilità dei tassi d’interesse è stata associata a correlazioni azionarie e obbligazionarie più elevate. Con le obbligazioni nominali apparentemente meno utili come copertura dal rischio azionario, per molti investitori sarà importante cercare altre forme di protezione.

E l’oro?

L’oro tende a registrare buone performance dopo i primi rialzi dei tassi, quando iniziano ad affacciarsi i primi timori di recessione. Il rischio per questa asset class è probabilmente rappresentato da un rapido aumento dei rendimenti reali (uno scenario in cui i metalli preziosi tendono a registrare performance inferiori). Guardiamo con favore all’oro in questo momento per la sua risposta convessa ai rischi geopolitici, per la sua tipica sottorappresentazione all’interno di portafogli diversificati e per il suo ruolo di diversificatore nelle riserve concentrate delle banche centrali.

Infine, riteniamo che le materie prime probabilmente resteranno un’importante fonte di diversificazione anche nei prossimi mesi. Prevediamo che l’equilibrio disomogeneo tra domanda e offerta persisterà, a meno di scenari estremi di shock al rialzo dell’offerta o di forti rallentamenti della domanda.

Verso un ritorno della liquidità?

La liquidità sta riemergendo come possibile diversificatore dei rischi a breve termine. Il suo potere d’acquisto si sta chiaramente erodendo in un mondo in cui l’inflazione rimane elevata e i rendimenti reali a breve termine continuano a essere negativi. Tuttavia, con il graduale aumento dei tassi di risparmio, il costo opportunità associato alla detenzione di liquidità dovrebbero diminuire di conseguenza.

Conclusioni

È probabile che nel prossimo futuro l’inflazione rimanga superiore al livello target. Inoltre, i rischi di transizione verso un contesto di stagflazione sono aumentati in modo significativo. Detto questo, è possibile che le banche centrali riescano a controllare il problema, rallentando lo slancio economico e riducendo la domanda aggregata. D’altra parte, il rallentamento della crescita causato sia dalle tensioni geopolitiche sia dalle restrizioni sul lato dell’offerta è molto più difficile da controllare per i policymaker.

La guerra in Ucraina, la recente recrudescenza del Covid in Cina e le strozzature della logistica globale sono tutti fattori che convergono in una tempesta “perfetta” sul lato dell’offerta. Ovvero, un aumento dei prezzi e un rallentamento della crescita che finora è stato difficile da domare.

Date le incertezze che abbiamo di fronte e la sfida di prevedere quali forze economiche guideranno le percezioni degli investitori, riteniamo che posizionare un portafoglio in modo troppo aggressivo verso uno scenario di inflazione oppure di rallentamento sia probabilmente un errore.

Continuiamo a ritenere che la migliore linea d’azione per i prossimi mesi sia un portafoglio ben diversificato che incorpori due tipi di asset. Da un lato, gli asset che dovrebbero proteggere da scenari di un’inflazione sostenuta, come le materie prime, i metalli preziosi e i settori azionari più orientati agli asset reali. Dall’altro lato, gli asset che possono rispondere positivamente a un rapido calo dello slancio economico (obbligazioni nominali e inflation linked).