Editoriali

Occupazione: quando ci sarà la ripresa dei posti di lavoro persi?

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Sarà possibile tornare ai livelli di occupazione precedenti allo scoppio della Pandemia? Quanto ci vorrà perché ciò accada? Man mano che le campagne di vaccinazione continuano e alcuni paesi iniziano ad allentare le restrizioni COVID, si prevede che la crescita economica acceleri. I livelli senza precedenti di assistenza che i paesi hanno fornito attraverso programmi di mantenimento del lavoro e sostegno al reddito hanno salvato fino a 21 milioni di posti di lavoro e hanno aiutato molte famiglie a superare la pandemia. Sembra proprio esserci luce alla fine del tunnel.

Ma questa luce splende più intensamente per alcuni che per altri. Sappiamo che la pandemia di COVID-19 ha aggravato i divari sociali ed economici già esistenti, tra chi ha competenze elevate e redditi elevati e chi non ne ha. Ha ampliato le distanze tra generazioni, tra uomini e donne, tra chi ha un buon lavoro e chi ha un lavoro precario o non ne ha affatto.
La disoccupazione è alta e non si prevede una rapida ripresa dei posti di lavoro.

Occupazione, quando ci sarà la ripresa dei posti di lavoro

Il raggiungimento dei tassi di occupazione pre-pandemia potrebbero richiedere diversi anni. Nella grafica vediamo i riferimenti Paese per Paese delle previsioni fornite dall’OCSE. Come si vede dal grafico per l’Italia bisognerà aspettare la metà del 2022 per ritornare alla situazione del 2019 pre pandemia.

ll peso della crisi COVID-19 grava in modo sproporzionato sui gruppi già vulnerabili. Lo shock iniziale della crisi dovuta al COVID-19 è stato avvertito in ampie aree dell’economia, in quanto la paura del contagio e le rigide restrizioni ai contatti sociali hanno fortemente rallentato l’attività economica nei Paesi dell’OCSE.
Apprendendo man mano come convivere con il virus, le persone hanno adattato i propri comportamenti. Così i Governi hanno allentato le restrizioni, rendendole più mirate, consentendo a molti di tornare al lavoro. Tuttavia, la natura profondamente settoriale della crisi e le divergenze nelle tutele offerte dai vari tipi di impiego fanno sì che il peso della crisi in termini di perdite di posti di lavoro e riduzione dell’orario lavorativo gravi maggiormente solo su alcuni.
I segni della crisi sono particolarmente visibili per coloro che hanno una professione scarsamente retribuita, spesso con contratti a tempo determinato e un basso livello di istruzione. Altra distinzione evidente per i giovani sta nelle ore lavorate.  Queste sono diminuite in modo sproporzionato e la riduzione dell’occupazione ha costituito il margine più importante di aggiustamento.
Altri gruppi, invece, sono stati in grado di adattarsi meglio alla situazione mediante una riduzione dell’orario di lavoro e il telelavoro.
Le aziende, dal canto loro, stanno procedendo a ristrutturazioni che accelerano le mega-tendenze già esistenti, quali l’automazione e la digitalizzazione.
Tutti questi elementi incideranno sull’intensità e sull’entità della ripresa. La crescita della disoccupazione di lunga durata è un rischio tangibile.
A circa un anno e mezzo dall’inizio della crisi, molte persone non sono ancora state in grado di ritrovare un lavoro a tempo pieno. Con l’eliminazione graduale dei programmi di mantenimento dei posti di lavoro, coloro che non hanno ancora ripreso un lavoro a tempo pieno rischiano sempre più di entrare in una condizione di disoccupazione manifesta.
I programmi di mantenimento dei posti di lavoro hanno contribuito a limitare l’aumento della disoccupazione. Non  vi è alcuna indicazione che essi abbiano avuto un considerevole impatto negativo sulla creazione di nuovi impieghi.
Se, da un lato, il sostegno deve continuare per i settori ancora pesantemente colpiti dalle restrizioni di distanziamento fisico, dall’altro occorre progressivamente adattare la struttura di tali programmi per gli altri settori.
Tutto questo consentirà, dove si è riavviata l’attività economica,  di stimolare la ripresa e procedere, in una fase successiva, alla graduale limitazione del loro uso di tali programmi. Ma l’obiettivo resta quello di fare in modo che quante più persone è possibile ritrovino spazio e dignità proprio attraverso l’attività lavorativa.