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Mps: bancomat della sinistra. Il patto con Santander e JP Morgan

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ROMA (WSI) – Clientele, soldi agli amici degli amici, finanziamenti alla politica. Ecco sganciata la bomba. «Per essere più espliciti, la Fondazione (Mps, ndr) nell’arco temporale dal 2001 al 2005 si stava comportando come una famiglia che spendeva più di quanto si fosse posto come obiettivo di guadagno nel medio-lungo termine, in altre parole stava erogando non guadagni bensì patrimonio, calcolato a valore contabile, e tali squilibri, se valutati a mercato sarebbero stati anche maggiori, ma la politica di valorizzazione delle partecipazioni della Fondazione stabilita dalla Direzione era di calcolarle a costo storico, e non a mercato data la loro valenza strategica.

La voce contabile che distorceva in maniera netta tale calcolo di rendimento era rappresentata dalla partecipazione in Banca Mps che negli anni passati era contabilizzata a euro 1,08, livello molto inferiore ai corsi di mercato…».

Lo sfogo messo nero su bianco è di Nicola Scocca, direttore finanziario della Fondazione Mps fatto fuori all’indomani di una memoria di 8 pagine dove – di fatto – evidenziava un «sistema» anomalo quanto a erogazioni esagerate saccheggiando il patrimonio. Il documento è agli atti dei pm di Siena, che hanno interrogato l’ex direttore finanziario ripetutamente ottenendo informazioni straordinarie sul sistema Siena-Banca-Partito.

In soldoni, per quel che ha scritto nel documento e per quanto riferito ai pm, anno dopo anno Scocca avrebbe segnalato ai vertici della Fondazione l’assurdità di spendere più di quanto si aveva in cassa. Propose invano di vendere azioni di Banca Intesa, per rientrare delle perdite. Niente.

Quella denuncia, di fatto, lo portò a essere mandato via da Mps col risultato che – come ha ricordato Scocca agli inquirenti – dai 13 miliardi di patrimonio del 2005 si è arrivati al miliardo e mezzo di oggi. Una debacle. Anche su questo sta lavorando la Procura di Siena. Gli inquirenti avrebbero raccolto elementi significativi su condotte fraudolente messe in campo già dal 2007 dai manager Mps per reperire parte significativa dei dieci miliardi di euro versati per Antonveneta e per finanziamenti a favore della Fondazione.

Di mezzo ci sarebbero anche interventi per alterare il valore del titolo Antonveneta, tali da configurare il reato di manipolazione del mercato.

Ma vediamo nello specifico come andarono le cose, seguendo il ragionamento della «gola profonda» dei pm senesi. Quando Scocca, nel 1999, viene chiamato alla Fondazione Mps con l’incarico di direttore finanziario, studia come prima cosa un «obiettivo di rendimento» per l’ente, allora (e ancora per molti anni) azionista di maggioranza della Banca Mps.

Il nodo sta nel calcolo del corretto tasso di erogazione della Fondazione, cioè il tasso a cui vengono concessi i finanziamenti da parte della ricchissima cassaforte di Siena. Il direttore finanziario Scocca stabilisce un valore (2%) capace di mantenere costante nel tempo il patrimonio della Fondazione e anche di farlo aumentare per il futuro, coprendo quindi tutte le uscite di Palazzo Sansedoni.

Il piano viene approvato dal Cda e diventa quindi il criterio di gestione dell’enorme patrimonio della Fondazione. Qualche anno dopo, precisamente nel 2005, Scocca effettua un’analisi degli ultimi bilanci per vedere se quel tasso ha reso i benefici previsti, e lì trova una brutta sorpresa. «Veniva fuori che la fondazione aveva erogato ad un tasso più alto, del 2,44% nel 2005».

Questo giochetto significava che la Fondazione stava erogando più di quanto stava guadagnando. E quindi erogava patrimonio, dava contributi agli amici, alla politica, in maniera clientelare. È a quel punto che scrive la nota di 8 pagine che gli costerà, di fatto, il licenziamento in tronco.

Direttore e vicedirettore generale della Fondazione si oppongono alla correzione consigliata da Scocca, cioè o rivedere gli obiettivi di rendimento oppure alzare il tasso di erogazione o infine ridurre le erogazioni. Ipotesi, in particolare quest’ultima, vista come «fumo negli occhi» dai vertici della Fondazione, ha spiegato l’ex direttore finanziario.

E naturalmente, col suo allontanamento la linea dei finanziamenti a pioggia prosegue e aumenta. La Fondazione ha continuato a erogare anche nel 2006, nel 2007 (anno di Antonveneta), poi nel 2008, continuando a incassare il dividendo dalla banca ma erodendo il patrimonio della Fondazione.

Come se una famiglia che ha un reddito di 2mila euro ne spende tremila ogni mese, vendendo il proprio patrimonio, contando sugli introiti «virtuali» prodotti dalle operazioni sui derivati della banca Mps. Un meccanismo infernale che ha messo in seria crisi la Fondazione. Dettato dalla volontà tutta politica di ottenere consenso sul territorio, irrigato dalla pioggia di soldi della Fondazione Mps. Finché ce n’erano.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Giornale – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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Un patto tra acquirente e venditore per truccare i conti e far salire il prezzo di Antonveneta. Un accordo non scritto tra gli spagnoli del Santander e gli italiani di Monte Paschi per dividersi la «plusvalenza» di quell’affare. Gli atti contabili, le comunicazioni interne, le relazioni trasmesse agli organi di vigilanza sequestrate otto mesi fa per ordine della magistratura di Siena e analizzate dagli specialisti della Guardia di Finanza, hanno consentito di trovare indizi concreti su questo intreccio illecito. E di aprire una nuova fase d’indagine che si concentrerà sui testimoni da ascoltare.

Personaggi che potrebbero conoscere dettagli inediti di quanto accadde nel 2007 quando Santander acquistò la banca per 6,3 miliardi di euro e appena due mesi dopo riuscì a venderla a Mps per 9,3 miliardi di euro con un’aggiunta di oneri che fecero lievitare la cifra a 10,3 miliardi. Un ulteriore miliardo che potrebbe rappresentare la «stecca» aggiuntiva e coinvolge direttamente Jp Morgan.

L’armadio dei documenti – Nell’elenco c’è anche il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior e da vent’anni responsabile di Santander per l’Italia che ha più volte incontrato l’ex presidente Giuseppe Mussari, come dimostrano le agende sequestrate a quest’ultimo.

Lo scorso anno, indagando sui conti dell’Istituto opere religiose, le Fiamme gialle sequestrarono nel suo ufficio un armadio pieno di documenti sulle operazioni condotte da Santander nel nostro Paese. E contenevano i nomi di alcuni consulenti che negli anni hanno affiancato l’istituto spagnolo e potrebbero aver avuto un ruolo importante anche nella vendita di Antonveneta.

Tra i nomi spicca quello di Marco Cardia, avvocato che si occupò di alcuni aspetti dell’acquisizione per conto di Mps all’epoca in cui suo padre Lamberto era presidente della Consob. Sono diverse le persone che in questi mesi avrebbero già aiutato gli uomini del Nucleo valutario a ricostruire il percorso dei soldi. Denaro trasferito all’estero e in parte fatto rientrare grazie allo scudo fiscale.

Ma ancora molto ne manca all’appello e soprattutto altre speculazioni sono state effettuate negli ultimi mesi. Per questo, come viene confermato dai magistrati senesi, si continua a indagare pure per aggiotaggio. Non escludendo che anche in queste ore ci siano nuove manovre illecite sul titolo. Testimone chiave in questa fase si è dimostrato Nicola Scocca, l’ex direttore finanziario della Fondazione che sarebbe stato interrogato già quattro volte.

Il patto tra le banche – Sono gli ordini di perquisizione notificati il 9 maggio scorso a svelare quale sia il nocciolo dell’inchiesta. E per quale motivo siano finiti nel registro degli indagati l’ex direttore generale Antonio Vigni e gli ex sindaci Tommaso Di Tanno, Leonardo Pizzichi e Pietro Fabretti. Adesso l’indagine si è allargata coinvolgendo Mussari, il presidente della Fondazione Gabriello Mancini, l’ex direttore generale dell’ente Mario Parlangeli e l’attuale, Claudio Pieri.

E con un faro acceso sull’attività di Gianluca Baldassarri, direttore dell’Area finanza fino allo scorso anno. Dopo l’esborso di oltre 10 miliardi e l’accollo dei debiti per ulteriori otto miliardi, bisogna ripianare il bilancio. Le ricapitalizzazioni e i prestiti del Tesoro non sono evidentemente sufficienti. E così i titoli Mps in portafoglio alla Fondazione finiscono in pegno a undici istituti di credito, una sorta di cordata guidata da Jp Morgan che coinvolgeva anche Mediobanca.

I finanziamenti arrivano attraverso contratti di Total Rate of Return Swap (Tror) e per questo i magistrati chiedono ai finanzieri di sequestrare le «note propedeutiche agli accordi di stand still siglati con la Fondazione, la documentazione relativa alle contrattazioni che hanno determinato il rilascio di garanzie in favore delle banche o del “Term loan” da parte della Fondazione Mps, la loro novazione, documentazione concernente il ribilanciamento del debito contratto dalla Fondazione».

Le manovre speculative – L’esame dei documenti effettuato in questi otto mesi dimostra che per sanare la voragine nei conti aperta con l’acquisto di Antonveneta furono messe in piedi operazioni ad altissimo rischio come i bond fresh del 2008 e quelle sui derivati. Ma non solo. I magistrati sono convinti che il valore delle azioni sia stato gonfiato dai dirigenti di Mps e che queste manovre speculative siano andate avanti anche negli anni successivi, in particolare tra giugno 2011 e gennaio 2012.

Obiettivo: nascondere un disastro finanziario che i vertici del Monte Paschi avevano invece escluso. Non a caso nei decreti di perquisizione del maggio scorso viene evidenziato come «la documentazione acquisita e le informazioni testimoniali fanno emergere l’ostacolo all’attività di vigilanza della banca d’Italia poiché risulta che organi apicali e di controllo di Mps, contrariamente al vero rappresentavano che la complessiva operazione realizzava il pieno e definitivo trasferimento a terzi del rischio d’impresa e che la stessa non contemplava altri contratti oltre quelli già inviati».

Il falso su Jp Morgan – Agli atti c’è una lettera trasmessa il 3 ottobre 2010 dal direttore generale di Mps Vigni a Bankitalia sull’aumento di capitale da un miliardo riservato a Jp Morgan. Dieci giorni prima Palazzo Koch aveva chiesto «delucidazioni circa la computabilità della complessiva operazione di rafforzamento patrimoniale da un miliardo di euro nel core capital ».

Vigni risponde che «in ordine all’assorbimento delle perdite Jp Morgan ha acquistato le proprietà delle azioni senza ricevere alcuna protezione esplicita o implicita dalla Banca». Affermazioni «non rispondenti al vero» secondo i pubblici ministeri che contestano al direttore generale di aver mentito «anche sulla flessibilità dei pagamenti riconosciuti alla stessa Jp Morgan». E di aver provocato un’ulteriore, gravissima perdita finanziaria a Mps.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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