Dieci anni dopo la crisi il mercato immobiliare, fra le grandi vittime del crac finanziario innescato dai mutui americani, si è ampiamente ripreso in tutti i Paesi avanzati dell’Occidente.
Nel caso di Canada e Nuova Zelanda i prezzi delle abitazioni in termini reali (ossia depurati dell’incremento del costo della vita) sono cresciuti del 40% rispetto ai livelli pre-crisi. A questo quadro complessivo si sottrae solo un Paese, l’Italia, dove il mattone continua a rimanere uno degli investimenti preferiti.
Secondo un’elaborazione dell’Economist, il mattone della Penisola è l’unico a non aver sperimentato nemmeno un cenno di ripresa in termini reali dall’inizio della crisi. Si tratta di un’eccezione assoluta anche nei confronti di altri due “Piigs”, Irlanda e Spagna, Paesi che assieme all’Italia subirono una successiva crisi dovuta all’instabilità dell’euro nel 2011.
L’immobiliare italiano è l’unico i cui prezzi si ritrovano sotto al livello del 1990, al netto dell’inflazione. Nel grafico in basso l’Italia (con la linea celeste) è ultima nella dinamica dei prezzi delle abitazioni, sorpassata dalla Germania intorno al 2015. Infatti, anche il mercato immobiliare tedesco, che non aveva attraversato alcuna euforia negli anni Duemila, si è lentamente portato verso nuovi massimi.
La tendenza, nel prossimo futuro, è destinata a rimanere la medesima: secondo il modello di previsione dell’Economist, il valore degli immobili italiani è destinato a diminuire nel secondo trimestre del 2020, rispetto a un anno prima.
Sarebbe l’unico Paese del gruppo occidentale a ritrovarsi con il segno meno: “c’è una possibilità su sette che i prezzi italiani diminuiranno di almeno il 5%”. A crescere più velocemente, invece, sarebbero Irlanda e Spagna seguite da Germania e Stati Uniti.