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Mercati ignorano segnale di “rottura”, Goldman Sachs teme “flash crash reale”

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Ormai viviamo in un mondo in cui la maggiore minaccia per i mercati non è più quella rappresentata dai livelli di indebitamento dei grandi investitori bensì da periodi di improvvisa e accentuata perdita di liquidità. Lo sostiene Goldman Sachs, che cita i casi di flash crash del recente passato.

Nel maggio del 2010 abbiamo assistito a quello dei mercati azionari degli Stati Uniti, a ottobre 2014 al “flash rally” dei Titoli di Stato americani decennali, a ottobre 2016 è stata la volta del flash crash della sterlina e nel febbraio di quest’anno è stato il turno del balzo della volatilità, che è stato talmente repentino e inaspettato da provocare la chiusura di alcuni fondi – come il popolare XIV – che speculavano al ribasso sul VIX.

Parlando di questi eventi, Brian Levine, co-head of Global Equities Trading della banca, ha sottolineato come un periodi di scarsa liquidità in un mercato volatile non è nulla di nuovo e che pertanto non è troppo preoccupato dalle pratiche sempre più diffuse di trading ad alta frequenza.

Tale rischio è sopravvalutato mentre c’è un aspetto della struttura dei mercati finanziari che dovrebbe preoccupare molto di più e che difatti non lo fa trascorrere notti tranquille: si tratta del “flash crash reale” non quello delle macchine. L’analista lo descrive come una situazione in cui “il mercato si rompe“, letteralmente.

È uno dei rischi che più temono i trader, secondo Levine, e comporterebbe l’interruzione a tempo indeterminato dei mercati. Se si definisce un flash crash in base alla percentuale di operazioni svolte fuori dalle regolamentazioni NBBO (National Best Bid and Offer), stando ai calcoli di Goldman Sachs una delle maggiori mai registrate è stata quella del 2008, immediatamente successiva al fallimento del testo di legge sul TARP, il programma di bailout governativo “Troubled Asset Relief Program” messo a punto dal governo americano per superare la grande crisi finanziaria di dieci anni fa.

Il mercato con l’indice S&P 500 che ha chiuso in ribasso del 10% quel giorno, ai minimi storici. Non si è parlato di flash crash nei giorni seguenti ma a fallire non è stato solo il passaggio del testo legislativo, anche il mercato ha fatto strutturalmente crac quel giorno. “Questo ci dice che, se arrivano notizie veramente negative, la struttura attuale dei mercati Usa potrebbe non essere in grado di resistere all’impatto, e si potrebbe scatenare una spirale ribassista“.

Senza contare che per la prima volta in un decennio di tempo si sta prosciugando la liquidità fornita con grande generosità e a grandi ondate dalle banche centrali (vedi grafico qui sotto).

Anche se gli strategist di Goldman Sachs non sono preoccupati dagli alti livelli di indebitamento, altri analisti come Joseph Harvey, presidente e chief investment officer presso Cohen & Steers, la pensano diversamente e dicono che potrebbero essere il segnale di un capitombolo dei mercati nel prossimo futuro.

CIO in coro: troppa leverage minaccia stabilità mercati

Harvey è uno degli esperti di Wall Street che segnala di essere bombardato da un numero sempre maggiore di allarmi, di “bandiere rosse”, che minaccia la fase rialzista che dura ormai da nove anni.

I livelli di indebitamento hanno raggiunto un record. In particolare Harvey cita il balzo impressionante dell’attività di leveraged-buyout (LBO), che si appresta ad avere i volumi in dollari più sostenuti dal 2007, stando alle cifre di Dealogic.

Per lo strategist questo tipo di operazioni – che prevede prendere prestito in denaro per comprare società – è un classico allarme di fine ciclo. Anche se Harvey ammette di non avere idea di quando esattamente il ciclo rialzista si concluderà, si sta preparando al meglio per resistere ai tempi di turbolenza in arrivo.

“Visto il periodo del ciclo in cui ci troviamo – dice il manager – gli investitori dovrebbero assolutamente cambiare le strategie di portafoglio”. Bisogna avere un approccio più conservatore. Io nel mio portafoglio di investimento personale l’ho fatto”.

Anche Michael Fredericks, head of income investing della squadra di strategie multi-asset di Blackrock, gli ha fatto eco. Anche il manager del fondo ha notato una quantità significativa di leverage nel mercato Usa e questo lo preoccupa per via di quello che potrebbe significare per la salute del ciclo attuale.

Il problema riguarda soprattuto lo state of mind dell’investitore tipo, che è convinto che con tanti soldi in mano deve usarli per comprare qualcosa anche se in condizioni normali non sarebbe così attraente in termini di rapporto tra rischio e ritorno da investimento. Lo stesso Fredericks riconosce di aver vissuto in prima persona un dilemma simile.

“Tutti quelli che conosco, dal mondo del private equity parlano di società da comprare e di voler acquistare società private”, ha spiegato durante l’UBS CIO forum. “Anche sei multipli al quale scambiano questi titoli sono a livelli elevati, che non si vedevano da tempo, c’è tanto di quel denaro a disposizione che si sentono in dovere di utilizzarlo in qualche modo”.