Economia

L’economia post-covid19 può solo essere più sostenibile

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di Maria Concetta Rizzo, dottore Commercialista – revisore Legale

Passato lo tsunami che ha travolto quasi tutti i Paesi del mondo, occorre ripensare ad una nuova economia orientata verso il perseguimento dello sviluppo sostenibile. Un ruolo fondamentale sarà quello dell’economia sociale e solidale in cui tema centrale è l’attenzione alla persona e all’ambiente. Le imprese saranno più coinvolte nel porre le persone e l’ambiente al centro del loro modo di operare anteponendo valori etici alla logica del profitto.
Le imprese for profit e orientate alla sostenibilità operano con l’obiettivo di generare sì profitti, ma anche benefici sociali e ambientali. Il profitto non può più rappresentare il fine ultimo, ma al contrario può essere uno strumento per l’inclusione delle persone, la difesa del lavoro, una distribuzione più equa delle risorse, una riduzione delle esternalità negative prodotte.

In questo periodo storico difficile caratterizzato dall’emergenza sanitaria causata dal virus Covid-19, di giorni drammatici, sospesi e di incertezza, viene spontaneo pensare che nulla sarà come prima, e che soprattutto quello che era prima non lo si vuole più. Vi è la consapevolezza della necessità di riconciliare il mondo economico e sociale con l’ambiente, con il suo ecosistema. Un monito arriva da molti studiosi e ricercatori sulla correlazione tra il virus Covid-19 e i cambiamenti climatici.

Secondo Ilaria Capua, virologa che dal 2016 dirige uno dei dipartimenti dell’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida “Tre coronavirus in meno di vent’anni (Sars, Mers, Covid19) rappresentano un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi. Se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio. Che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani”.

“Le gravi catastrofi naturali reclamano un cambio di mentalità
che obbliga ad abbandonare la logica del puro consumismo e
a promuovere il rispetto della creazione”
Albert Einstein

Si rende necessario, oggi più che mai, ripensare ai nostri comportamenti abituali nella vita quotidiana affinché prevalgano comportamenti virtuosi, sia nei confronti di noi stessi e degli altri sia nei confronti dell’ambiente.
Ognuno diventa parte attiva di un nuovo processo volto a raggiungere uno sviluppo più sostenibile sia economico, sia sociale e ambientale. In primis, sono necessarie da subito azioni politiche attuative di sostegno all’impresa a livello di domanda e di consumi, per innescare un percorso circolare virtuoso. Ma sono altresì necessarie azioni politiche attuative per incentivare le imprese ad adottare nuovi modelli di business con un approccio alla sostenibilità e alla responsabilità sociale nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con gli stakeholder.

È necessario dare valenza giuridica allo sviluppo sostenibile inserendolo definitivamente come principio nella nostra Costituzione così come già previsto in una proposta di Legge n.240 del 23 marzo 2018; e ancora rendere vincolante per tutte le imprese l’impegno a integrare nelle proprie strategie economiche alcuni obiettivi di sviluppo sostenibile, i cd. SDGs previsti dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 dandone poi rilevanza mediante la redazione di un bilancio sociale.
In Italia sono state introdotte due prime “timide” iniziative in tal senso: il D.lgs. 30 dicembre 2016 sull’Informazione Non Finanziaria e la Legge 208/2015 con l’ammissibilità della qualifica giuridica della società benefit.
L’adozione della Direttiva UE 95/2014 con il D.lgs. 30 dicembre 2016 sull’Informazione Non Finanziaria prevede l’obbligo per le società quotate, banche e assicurazioni di allegare al bilancio una relazione che contenga informazioni relative al modo in cui l’impresa opera con riguardo ai temi ambientali, sociali, attinenti al personale, relativi al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.
La società benefit, nata in Italia nel 2016 con la legge 208/2015 rappresenta una realtà imprenditoriale profit che coniuga lo scopo di lucro con l’ulteriore fine di migliorare il contesto ambientale e sociale in cui opera mediante una previsione statutaria. La normativa che introduce questa innovativa tipologia di impresa è una normativa di avanguardia che attribuisce legittimità a questo nuovo modo fare impresa e una innovazione per l’impresa che per la prima volta può impegnarsi a misurare gli impatti che la sua attività genera per il territorio e la collettività.

Sicuramente la società benefit rappresenta, oggi, uno dei validi strumenti giuridici affinché si possa coniugare quella riconciliazione tra mondo economico, sociale e ambientale da cui bisogna ripartire dopo questa emergenza sanitaria. La società benefit ha nel proprio DNA quella determinazione e abnegazione del voler prendersi cura del bene comune fondamentale oggi per superare la crisi post Covid-19 e prevenire le eventuali future crisi se non si provvede fin da subito con azioni concrete. La responsabilità sociale d’impresa è la leva vincente per uscire dalle crisi.
Nel dicembre 2019 è nata AssoBenefit, l’associazione per le società benefit al fine di promuove e diffondere questo modello di business e aumentare la competitività nel sistema italiano.

In occasione di un convegno tenutosi presso l’Ordine dei dottori commercialisti e esperti contabili di Milano ho avuto modo di porre qualche domanda al presidente di Assobenefit Mauro Del Barba, nonché primo firmatario del disegno di legge che ha introdotto le società benefit in Italia, primo paese in Europa ad aver adottato tale strumento giuridico.
MCR: Il modello di impresa che coniuga lo scopo di distribuire utili con le finalità di beneficio comune e la misurazione degli impatti per le imprese italiane sono una vera e propria innovazione nel mondo imprenditoriale.

Come si è giunti all’introduzione di questo nuovo modello di fare impresa in un periodo storico in cui non si era molto sensibili a tali tematiche?
MDB: Si ha ragione, da una parte questa proposta è stata un po’ un fulmine a ciel sereno in Italia, nessuno se l’aspettava; dall’altro, però, secondo una mia valutazione personale come legislatore tanti elementi facevano ritenere che proprio il tessuto economico italiano fosse all’avanguardia per la sua lunga tradizione di responsabilità sociale di impresa, per l’introduzione di bilanci sociali, e comunque per la presenza di imprese familiari con una tradizione secolare di attenzione al territorio, di solidarietà e attenzione alle future generazioni. Questo ha portato a ritenere che l’Italia fosse matura per imitare quanto gli USA avevano già fatto con le Benefit Corporation e quindi proporre il disegno di legge delle società benefit. Disegno di legge che si è tramutato in legge in un batter d’occhio in quanto apprezzato da subito dal Parlamento, tanto da essere integralmente inserito il testo del disegno di legge nella legge di stabilità 2016.

MCR: Ad oggi, numeri alla mano, sembra che questo modello di impresa sia scelto consapevolmente sempre più dalle imprese orientate ad un cambiamento radicale e riformista coinvolgimento tutti i soggetti che ruotano intorno all’azienda. Le imprese italiane sono ormai pronte a quel salto di qualità dato dalla misurazione degli impatti generati dalla propria attività d’impresa. Secondo lei, quali sono le motivazioni ulteriori che potrebbero spingere gli imprenditori a scegliere la società benefit come nuovo paradigma imprenditoriale?

MDB: Fin qui chi ha scelto di “trasformarsi” o di crearsi direttamente come società benefit lo ha fatto perché sostanzialmente ha riconosciuto nella legge un modello di impresa che era quello che aveva già adottato; come dicevo prima, imprese tradizionali a carattere familiare che da decenni rispettavano già determinati principi e che con questa legge hanno indossato un vestito come se fosse stato fatto su misura per loro.
Ora si tratta di passare ad una nuova fase in cui anche altre imprese “diverse” scelgano le società benefit, perché per il sistema Italia possono e devono costruire un fattore di maggior competitività. Nel mondo, ormai, i temi legati ai criteri ESG sono temi imprescindibili e le società benefit sono la veste giudica all’avanguardia, decisamente un avamposto nel dominare tali temi. Pertanto, ritornando alla sua domanda, la prima motivazione è il vantaggio di competitività, poi i primi dati che stiamo analizzando attraverso delle ricerche mostrano sia all’estero sia in Italia come queste scelte portino con sé una maggior resilienza, soprattutto una maggior redditività e una diminuzione dei rischi correlati agli imprevisti di mercato, agli andamenti climatici e sociali che stanno diventando problemi sempre più pervasivi per le imprese.

MCR: Molte imprese adottano già un bilancio di sostenibilità con la misurazione dei propri impatti che comunicano all’esterno, senza pertanto avere nel proprio statuto l’obbligo di perseguire il duplice scopo lucrativo e di beneficio sociale. Inoltre, nel collegato fiscale alla legge di bilancio 2020 è stata introdotta una premialità nei contratti di appalti con l’introduzione di criteri di valutazione di impatto anche per le imprese che non hanno la qualifica di società benefit. Ci si chiede, a questo punto, perché una società deve scegliere di assumere la qualifica di società benefit. Lei come risponderebbe.

MDB: Intanto, spero che non lo facciano per quest’ultima innovazione importante, ovvero per il vantaggio che ora hanno le società benefit e, in generale, le società che operano una valutazione di impatto nei bandi pubblici; indubbio questo è un vantaggio tangibile, in realtà il motivo per cui diventa importante la “trasformazione” in società benefit lo capiamo ribaltando la domanda: io direi a queste imprese perché non si dovrebbero trasformare in società benefit?
Soprattutto se adottano già il bilancio sociale e che, quindi, hanno creduto e investito in questo tipo di attività; con la qualifica giuridica di società benefit possono cristallizzare e consolidare per il futuro questa loro scelta e misurarsi con uno strumento, che è riconoscibile dal mercato italiano e dal mercato estero, in particolare “si misurano” attraverso la valutazione di impatto che è una novità rispetto a chi adotta il semplice bilancio sociale. E io direi proprio a quelle imprese che hanno investito nel bilancio sociale di fare un passo in più o, come dice il nostro slogan chi benefit comincia, quindi, per cominciare davvero questo nuovo campionato essere società benefit è fondamentale.

MCR: Lo scorso anno è nata AssoBenefit, l’associazione nazionale per le società benefit, di cui lei è fondatore e presidente. Quali obiettivi si pone e quali strategie intende attuare.
MDB: Noi abbiamo un obiettivo decisamente ambizioso che possiamo condividere con molti partner, ovvero l’obiettivo di modificare lo sviluppo economico italiano rendendolo sostenibile. Crediamo che le società benefit, o meglio accrescere il numero delle società benefit sia uno dei fattori, forse il fattore primario, per raggiungere questo obiettivo.
Con riferimento alle strategie proprio per l’ampiezza di questo obiettivo abbiamo bisogno di costruire una rete di soggetti, tra cui concorrano sicuramente i professionisti come attori principali, ma anche le stesse università e i centri di ricerca. Inoltre, molte associazioni e fondazioni che abbiamo incontrano hanno deciso che il tema delle società benefit ben si intersecava con la loro vocazione nativa. Vorremmo quindi costruire questa alleanza molto larga con l’obiettivo di rendere l’Italia quel luogo al mondo in cui la sostenibilità viene pratica dall’impresa prima di tutto.
Pertanto, “Chi Benefit comincia” sicuramente è sulla buona strada per prendersi cura del bene comune. Una società benefit e sostenibile coinvolge nella sua strategia tutti i propri stakeholder. Gli azionisti e i soci in primis sono consapevoli che è l’unico modo per sopravvivere nel mercato, che i fornitori devono essere educati e coinvolti nel cambiamento verso l’implementazione di pratiche sostenibili rivolte alla misurazione e diminuzione del proprio impatto, che occorre pensare al benessere dei propri dipendenti, che i clienti crederanno nella reputazione del brand e come anche la comunità in cui l’azienda opera sarà fidelizzata.