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La cura Cottarelli contro gli sprechi. Tagli a politica, difesa, stretta su statali

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ROMA (WSI) – Molto più di una sforbiciata ai contestatissimi F35. Il piano Cottarelli per 7 miliardi di possibili risparmi già quest’anno, che dovrebbero diventare 18 l’anno prossimo e 33,9 nel 2016 è una caccia spietata ai soldi.

Cottarelli propone di recuperare subito 2 miliardi dagli aiuti alle imprese, alle società partecipate, al trasporto ferroviario.

Propone di risparmiare 2,2 miliardi dalle spese dirette dello Stato sull’acquisto di beni e servizi, sugli stipendi dei dirigenti, sulle auto blu, sui corsi di formazione.

Infine ipotizza altri 400 milioni di risparmio dalla Difesa e dalla Salute. Ci sarebbe stato anche un altro forte taglio sulle pensioni, per quasi 1,8 miliardi di euro, ma Renzi questo capitolo l’ha già cassato.

Comunque sarà dura. Lo stesso documento di Cottarelli, pubblicato in esclusiva ieri dal Il Tempo, è pieno di cautele. «I risparmi di spesa indicati – scrive – sono al lordo di possibili effetti sulle entrate».

Ci sarà poi da fare i conti con le proteste. Piaceranno molto all’opinione pubblica i 400 milioni che dovrebbero venire dai minori costi della politica e di Quirinale, Parlamento e Corte costituzionale.

Più arduo il taglio dell’8/12% allo stipendio per i dirigenti pubblici, magistrati compresi. E tecnicamente complesso s’annuncia l’intervento sulle pensioni d’oro, già colpite da Letta con il blocco dell’indicizzazione.

Altre proposte più strutturali sono all’esame da anni e mai realizzate. Cottarelli, ad esempio, ha aperto la riflessione sulle forze dell’ordine: mantenere cinque corpi di polizia ha ancora un senso? Peraltro s’interrogava così già il suo predecessore Piero Giarda due anni fa e nulla è accaduto. Molto cautamente, Cottarelli chiede al Viminale di recuperare, tramite «sinergie» tra le forze di polizia, 800 milioni l’anno prossimo e 1,7 miliardi nel 2016. Al ministro Alfano il difficile compito.

In effetti al ministero dell’Interno c’è già in piano in discussione: prevede la chiusura di circa 300 presidi di polizia ferroviaria, postale, stradale, più qualche commissariato, e 50 squadre nautiche. Molti uffici dovranno trasferirsi in sedi demaniali e smetterla di pagare l’affitto. Il sindacato di polizia Sap, però, è assolutamente critico: «Ipotizzano risparmi inesistenti. I presidi che vogliono chiudere sono quasi tutti ospiti di enti, dalle ferrovie alle autostrade, alle autorità portuali, ai Comuni. In qualche caso ci pagano persino la luce. Ci costano pochissimo. Alla fine, sarà solo un modo per spostare 3000 agenti e mettere una pezza al mancato turn-over».

Anche i carabinieri sono chiamati a fare la loro parte. L’Arma ipotizza la chiusura di 17 stazioni e di 7 compagnie. Può evitare chiusure più drastiche perché il comandante generale Leonardo Gallitelli ha dimostrato di avere recuperato già 10 mila unità, raschiando ogni sacca di improduttività.

A questo punto, però, sono i numeri stessi delle forze di polizia a far discutere: in servizio ci sono 95 mila agenti di Ps, 105 mila carabinieri, 60 mila finanzieri. Nel giro di due anni saranno ancora meno: 238 mila; dovrebbero essere 296 mila. E allora ecco la provocazione del Sap: «Occorrono scelte coraggiose. Alfano faccia assorbire dalle due forze di polizia maggiori gli altri, ossia Forestale, Penitenziaria e Finanza. E poi si proceda con direzione unitaria al Viminale, sale operative comuni e centrale unica degli acquisti. Risparmieremmo sul serio. Almeno 2 miliardi».

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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ROMA (WSI) – Tagli alla difesa, assegni di accompagnamento per gli invalidi, prefetture, vigili del fuoco e capitanerie di porto, tagli ai trasporti, dai Tir a bus e ferrovie. Nel mirino pensioni di guerra e reversibilità. E poi costi della politica: dai Comuni alle Regioni agli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale. Tagli ai costi per la riscossione fiscale, tagli alle partecipate locali e ai trasporti pubblici. Ed altro ancora.

Il piano Cottarelli, il successore di Mr. Forbici Enrico Bondi a capo della spending review, prima di cedere totalmente la titolarità della revisione della spesa a Palazzo Chigi, dove la regia sarà di Renzi e Delrio, consegna al governo le sue proposte che valgono solo per quest’anno 7 miliardi. Settanta slide che ieri sono filtrate dalle maglie strette del governo e oggi vengono pubblicate dal “Tempo” di Roma.

La tabella, se confermata, non lascerebbe dubbi. La cura sarà dolorosa. Anche se alcune delle proposte di Cottarelli sono già state cancellate da Renzi stesso intervenendo l’altra sera a Porta a Porta: ad esempio il miliardo e 400 milioni dal contributo speciale sulle pensioni non ci sarà. Il premier lo ha già escluso.

Restano comunque sul capitolo pensioni alcuni interventi piuttosto sensibili: come le pensioni di reversibilità (previsti 100 milioni dal 2016), oppure l’intervento sugli assegni di accompagnamento per gli invalidi totali (100 milioni dal 2015), la revisione delle pensioni di guerra (200 milioni già da quest’anno) oppure l’innalzamento dell’età contributiva delle donne per la pensione di anzianità da 41 a 42 anni (come gli uomini).

Il commissario straordinario: “Nel 2014 3 miliardi di risparmi”

Nel mirino anche la difesa (circa 100 milioni fin da quest’anno) e la sanità (circa 300 milioni dall’introduzione dei costi standard). Recupeate anche idee di Bondi: come l’operazione “cieli stellati” da 100 milioni per combattere l’inquinamento luminoso. Circa 100 milioni dalle auto blu, 500 dai dirigenti dello Stato, 1,4 miliardi dai trasferimenti alle imprese e blocco dei fondi che vanno regolarmente all’autotrasporto.

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ROMA (WSI) – Nei primi venti giorni da ministro ha scelto di non intervenire nel dibattito, anche quando è stata tirata in ballo per la sua gravidanza, rinviando il momento di dire la sua ai primi atti esecutivi del suo ministero.

Così, ieri, dopo aver firmato una circolare che dà attuazione a una norma del precedente governo per cui i lavoratori pubblici non possono cumulare lavoro e pensione oltre 311 mila euro (lo stipendio del primo presidente di Cassazione), il ministro della Pubblica amministrazione e la Semplificazione, Marianna Madia, ha deciso di raccontare cosa sta facendo. Partendo da un dato: che il suo primo atto sia questo, non è per niente casuale. [ARTICLEIMAGE]

Perché ha voluto questo come suo primo atto da ministro?

«E’ una scelta politica, per segnalare una priorità: l’attenzione all’equità sociale e al tema di un’intera generazione esclusa. In un’epoca in cui oltre il 40% dei giovani non trova lavoro, un milione e mezzo di persone, tra pubblico e privato, cumula lavoro e pensione. Capisco chi ha pensioni basse, ma ritengo non sia etico quando il cumulo porta a soglie di reddito molto alte».

Il tetto di 311 mila euro è comunque molto alto…

«Io sarei d’accordo ad abbassarlo. E il premier ha già detto che non hanno senso, nel pubblico, redditi superiori a quello del presidente della Repubblica. Ora la circolare, che il precedente ministro non aveva ancora voluto fare, rende operativa una norma, questo non significa che non si possa intervenire successivamente».

La norma vale però solo per i dipendenti pubblici…

«Per i dipendenti privati non si può intervenire sul reddito da lavoro, ma da deputata avevo presentato una proposta per agire sulle pensioni: chi percepisce una pensione oltre 6 volte la minima e continua a lavorare, deve lasciare metà pensione allo Stato. È una proposta che non impegna il governo. Ma bisogna affrontare il tema».

Intanto, anche il suo ministero dovrà mettere mano alla spending review…

«Mi impegno a portare avanti il piano di Cottarelli, ma credo che la spending review debba andare di pari passo a una visione. Immagino una razionalizzazione che porti a rimuovere blocchi, a riportare dinamicità e nuove energie nella Pubblica amministrazione».

Come farà? Molti prima di lei si sono scontrati con forti resistenze…

«Mi sento forte del fatto che questa è una delle priorità della nostra squadra di governo».

Per aprile è annunciata la riforma della P.a: a che punto siete?

«Ci stiamo lavorando, a breve andrò in Parlamento a dare le linee programmatiche, che toccheranno vari aspetti. Di certo, la riforma conterrà il tema dell’accesso alla dirigenza, perché è importante ripartire dall’alto e non dal basso. E credo non abbia senso che i dirigenti restino inamovibili nello stesso posto fino a fine carriera».

A proposito di dirigenti, toccano a lei nomine importanti…

«Come il presidente dell’Istat e i 4 membri dell’Anticorruzione: dobbiamo ancora definire le modalità, ma la mia intenzione è di richiedere autocandidature per dare trasparenza a processi che finora non l’hanno avuta. Con l’invio del curriculum, ma soprattutto vorrei che chi si candida descrivesse il progetto che ha in mente per quella particolare posizione».

Sta partendo il Jobs Act di cui anche lei s’è occupata, già ci sono critiche dei sindacati…

«C’è un tema di rilancio dell’economia a cui si lega il desiderio di tutti di aumentare i contratti a tempo indeterminato. Nel frattempo, le scelte di Poletti vanno nella direzione giusta, anche valorizzando la maggior parte del lavoro della segreteria del Pd, e possono comunque essere migliorate nei tecnicismi in Parlamento».

Un’ultima cosa: ha letto che c’è chi ritiene inopportuna la nomina di un ministro incinta?

«So di essere in un momento di maggiore debolezza fisica, anch’io mi sono posta il problema. Ma fa parte dei rischi che si è assunto questo governo: se metti in gioco dei 30enni, può capitare che ci sia pure una donna incinta. Certo se avessimo continuato come sempre a nominare dei 60enni, il tema non si sarebbe posto…»

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