Gli affari dell’industria bellica italiana hanno sperimentato, fra il 2014 e il 2016, una forte crescita. Secondo i dati della Relazione annuale al parlamento del ministero della Difesa il valore delle esportazioni di armi italiane è passato dai 2,6 miliardi di tre anni fa, ai 7,8 del 2015 per poi salire ancora a quota 14,63 miliardi nel 2016: un aumento del 462,69% in soli due anni.
A dare risalto a questi dati è lo storico mensile dei missionari comboniani, Nigrizia, nel numero giugno. Per quanto riguarda, invece, le spese militari dello Stato italiano i dati, forniti dal rapporto Sipri, (l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma) parlano 27,9 miliardi di dollari nel 2016.
Quali sono i primi compratori di armi italiane? Secondo i dati della relazione, dopo la maxi commessa che di Leonardo che ha fatto del Kuwait il facile numero uno del 2016 (da soli gli Eurofighter valgono oltre 7 miliardi), gli altri Paesi in testa alla classifica sono tutti dell’area mediorientale: Arabia Saudita (427,5 milioni), Qatar (341 milioni), Turchia (133,4 milioni), cui si aggiunge poi il Pakistan (97,2 milioni).
Nigrizia poi, ricorda come nel Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, il governo ha scritto di ritenere “essenziale che l’industria militare sia pilastro del sistema paese, perché contribuisce al riequilibrio della bilancia commerciale”. Poco importa che a comprare siano Paesi come l’Arabia Saudita, protagonista in Yemen di una delle maggiori catastrofi umanitarie in corso (e di cui si parla relativamente poco in Italia, forse proprio per questa scomoda realtà).
La rivista, infine, sottolinea come i gruppi bancari abbiano “definitivamente seppellito ogni tentennamento morale per rituffarsi a corpo morto sul business delle armi” con un volume di transazioni legate all’export definitivo di armamenti arrivato a quota 4 miliardi nel 2015 e a 7,2 miliardi del 2016 (con un aumento dell’80%). I dati provengono dalla Relazione annuale della Presidenza del consiglio dei ministri.