Economia

Innovative e vitali, le 50 aziende del futuro secondo l’indice Fortune

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Innovative e vitali, le 50 aziende del futuro secondo l’indice Fortune

Società capaci di reinventarsi continuamente e quindi di mantenere una crescita costante, anche nelle fasi economiche più critiche, come la recessione causata dalla pandemia da Covid.

Queste alcune delle caratteristiche alla base dell’indice Fortune Future 50, elaborato dal Bcg Henderson Institute (BHI), che ha appena pubblicato la sua quarta edizione, e che vede spiccare ai primi tre posti della classifica Service Now (software), seguita da Veeva System (cloud computing) e  Atlassian (software).

Tesla guadagna trenta posizioni

Nel ranking c’è posto anche per Tesla, costruttore di auto elettriche, produttore di batterie, sviluppatore di software, assemblatore di vaccini, che il suo fondatore, Elon Musk, ha una catena di startup che svolgono attività non necessariamente correlate fra loro.

Il mercato crede a tal punto nelle potenzialità di questo ecosistema innovativo da aver riconosciuto alla società una valutazione di borsa superiore ai 500 miliardi di dollari.

Per le stesse caratteristiche Tesla rientra stabilmente nell’indice Fortune Future 50, Anzi, in un anno nero per l’industria dell’auto, Tesla è addirittura riuscita a scalare 30 posizioni. Segno che le imprese vitali riescono a cogliere le opportunità offerte dalle crisi, tornando velocemente a prosperare, spiega l’ultimo report di Boston Consulting Group dal titolo “The Durable Benefit of Corporate Vitality”.

L’indice di vitalità aziendale

Strategia, investimenti, persone: le qualità delle imprese vitali. Ricavi, margini, utile. I tradizionali indicatori di bilancio sono una misura dei risultati già ottenuti da una società, ma non sempre un buon indicatore delle performance future.

Per valutare le prospettive di successo delle grandi imprese, perciò, il BHI ha elaborato l’indice di vitalità aziendale, utilizzando algoritmi di machine learning per selezionare e soppesare i fattori predittivi della crescita a lungo termine.

L’indice poggia su due pilastri.

  • Il primo ha un peso del 30% sul giudizio e misura le aspettative del mercato finanziario sull’avvenire di un’azienda. Definito come valore attuale delle opzioni di crescita (Pvgo), questo parametro stima la quota di capitalizzazione di borsa non attribuibile al potenziale delle attività già avviate dalla società.
  • Il secondo pilastro conta per il 70% e combina 19 fattori rappresentativi della capacità di un’impresa di innovare e prosperare nel lungo termine. Fra gli elementi determinanti del giudizio ci sono, per esempio, una strategia che abbracci scopi ulteriori rispetto alla mera performance finanziaria, la spesa in ricerca e sviluppo, la consistenza del portafoglio brevetti, la quantità di donne negli organi decisionali e più in generale nella forza-lavoro. Nonostante anche le aziende vitali siano ancora ben lontane dal raggiungere la parità di genere, metà delle società nell’indice mostra una presenza femminile superiore al 25% nelle posizioni apicali.

Avanza la presenza europea

Cina e Stati Uniti dominano la mappa della vitalità. Stati Uniti e Grande Cina (includendo Hong Kong e Taiwan) sono sede per 40 delle 50 imprese vitali. Il dato non sorprende dato che nei due Paesi si concentra anche il 70% delle imprese a più alta crescita negli ultimi tre anni.

La quota europea nella lista Fortune Future 50 è lievemente aumentata per il secondo anno consecutivo a spese della Cina che ha visto scendere la sua rappresentanza dell’8%. Nondimeno, con sole quattro società nell’indice, tra cui l’olandese Adyen (6°) e la svedese Spotify (10°), il Vecchio Continente rimane molto lontano dalle due superpotenze. Il divario si spiega in parte con la mancanza in Europa di campioni digitali che ancora una volta occupano la maggioranza dell’indice.

Quest’anno, d’altra parte, è salito dal 12 al 22% il numero di aziende appartenenti al settore farmaceutico e biotecnologico che nella pandemia hanno dovuto dirottare i loro sforzi di ricerca sul vaccino contro il coronavirus oppure trovare soluzioni innovative per compensare i danni del rinvio delle cure non urgenti. In generale, infine, le imprese vitali tendono a essere giovani e di medie dimensioni perché di norma maturità e grandezza irrigidiscono i processi decisionali, ostacolando l’innovazione.

Come dimostrano Amazon, Adobe e Dassault il declino non è però inevitabile. L’importante è mantenere vivo lo spirito imprenditoriale nella forza-lavoro, adottare piani di sviluppo flessibili per cogliere le opportunità quando si presentano e misurare i propri risultati con parametri prospettici quale, per esempio, la percentuale di vendite derivante da nuovi prodotti o servizi.

L’impatto del COVID

La ripresa delle aziende vitali è più veloce e più ampia. La pandemia è stato uno choc anche per le imprese vitali che, però, hanno saputo recuperare più in fretta e in misura più ampia. Le società incluse nella lista Future 50 del 2019 hanno impiegato 15 settimane per tornare ai livelli pre-Covid-19 in borsa rispetto ai sei mesi dell’indice Msci World e oggi viaggiano il 20% al di sopra quella soglia.

La crisi ha infatti reso improvvisamente attuali tendenze di lungo termine a cui le imprese vitali erano già preparate da tempo o verso cui hanno saputo con prontezza riorientare i loro piani strategici. La loro capacità di guardare avanti e reinventarsi continuamente si è così trasformata in un immediato vantaggio competitivo. Parafrasando lo scrittore Francis Scott Fitzgerald, la vitalità non si dimostra solo con la tenacia, ma anche con la capacità di ricominciare da zero.